lunedì 27 giugno 2011

Mandato di arresto internazionale per Geddafi

La “primavera araba” è accompagnata da una serie di avvenimenti che giorno dopo giorno lasciano perplessi. Ultimo, in termini temporali, l’annuncio di oggi che la Corte Penale Internazionale (CPI) ha spiccato un mandato di cattura contro Muammar Gheddafi per i crimini contro l'umanità commessi dal leader libico a partire dal 15 febbraio 2011. Lo ha dichiarato il giudice Sanji Mmasenono Monageng, dando lettura del documento dell’ordinanza che segue quella nei confronti del secondogenito del Colonnello, Saif al Islam e del capo dei servizi segreti libici, Abdullah al Senussi. Il Tribunale internazionale accusa costoro di essere responsabili delle morti e delle persecuzioni commesse dalle forze di sicurezza libiche sulla popolazione civile da quando è esplosa la rivolta a metà febbraio nelle città di Tripoli, Bengasi e Misurata. Il provvedimento è stato ufficializzato dopo il via libera del Consiglio di Sicurezza dell'ONU e contemporaneamente all’inizio dei lavori di cinque Capi di Stato dell’Unione Africana, riuniti da oggi per proporre ogni possibile mediazione per porre fine al conflitto libico che va avanti da quattro mesi. Lavori aperti dal Presidente del Sudafrica che ha, comunque, sottolineato come la NATO stia applicando la risoluzione ONU 1973 con un’interpretazione estrema in quanto alcune azioni di bombardamento dimostrerebbero la volontà di uccidere Geddafi. La decisione del Tribunale internazionale è assolutamente condivisibile sul piano della tutela dei diritti umani dei popoli, ma lascia perplessi nel momento che non viene accompagnata da analoghi provvedimenti nei confronti del siriano Assad o dello yemenita Ali Abdullah Saleh che, invece, sono liberi di continuare a reprimere con la forza le manifestazioni di piazza, provocando migliaia di morti ed inducendo la popolazione siriana a fuggire dalla loro terra. Azioni che in termini numerici hanno ormai superato quelle volute dalla ferocia del Rais libico e che non sembrano essere destinate a finire. Una sentenza che a distanza di due anni segue quella emanata nei confronti del Presidente sudanese Omar Hasan Ahmad al-Bashīr colpevole dei genocidi nel Darfur e che fino ad oggi non ha avuto seguito lasciando il dittatore al suo posto. L’azione di guerra contro la Libia è, quindi, ora accompagnata da iniziative internazionali significative ma che evidenziano una certa incoerenza della comunità internazionale nel garantire il rispetto dei diritti umani e la protezione delle popolazioni soggette a dittatura. L’approccio occidentale assolutamente differente a seconda delle situazioni potrebbe, nel breve - medio termine, influire negativamente sulla stabilità dell’intera area del Centro Africa contraddistinta da situazioni di antica conflittualità. Diverse le zone a rischio. Emergente una nuova tensione fra Eritrea ed l’Etiopia, con il Presidente eritreo Isaias Afwerki palesemente impegnato a consolidare alleanze con l’Iran e la Corea del Nord, mentre l’Etiopia da tempo sta cercando di rinegoziare gli accordi per la distribuzione delle quote delle acque del Nilo fermi al 1951, contrastati dal Cairo che non è disponibile a grandi concessioni e che potrebbe non accettare modifiche se nelle prossime elezioni egiziane si affermassero correnti islamiche estremiste. Un Sudan in continuo fermento dopo l’indipendenza delle regioni meridionali che dovrebbe attuarsi il 9 luglio in conseguenza dei risultati del referendum di gennaio, e che potrebbe indurre il Governo di Kartoom a reprimere con la forza le aspirazioni del Movimento di Liberazione del popolo sudanese (SPLM) coinvolgendo anche la stabilità di altre regioni di confine come il Kordofan del Sud o di altri Stati come il Tchiad. Estrema instabilità, peraltro, concentrata a ridosso dei confini con la Somalia e che potrebbe facilitare l’affermazione di gruppi eversivi pronti ad appropriarsi del controllo del Golfo di Aden e del Mar Rosso con grave rischio per la sicurezza mondiale. I centri decisionali della politica estera e di sicurezza internazionale non possono, quindi, dimostrare differenti approcci nei confronti degli eventi che si stanno verificando su scala globale, per evitare che cellule eversive possano approfittare dello scarsa coerenza decisionale conquistando il consenso delle popolazioni impegnate ad affermare i loro diritti e per questo oggetto di feroci repressioni.
27 giugno 2011, ore 16,50

martedì 14 giugno 2011

La nuova minaccia di Al Qaeda arriva dall'Africa


Molti analisti concordano sulla certezza che Al Qaeda stia organizzando "strutture operative dormienti" nella fascia occidentale del Continente africano. Senegal, Guinea Bissau, Mali, Nigeria, Niger e Togo sono le aree dove è più elevata la probabilità di un futuro radicamento eversivo pronto ad impegnarsi in una futura jihad mondiale estesa, anche, a quei paesi arabi che, sulla scia di ritrovate democrazie, intendono avvicinarsi all’Occidente, superando le divisioni religiose e culturali. Nuove strutture pronte ad attivare un network operativo con i gruppi terroristici già presenti da tempo nel Corno d'Africa, attestati sulle sponde del Golfo di Aden ed in collegamento con i quaedisti in Yemen. La presenza in Africa di importanti esponenti di Al Qaeda è confermata da fatti recentissimi, come la morte di Fazul Abdullah Mohammed, ucciso casualmente ad un posto di blocco in Somalia, nei pressi di Mogadiscio. Fazul, responsabile degli attentati del 1998 in Kenia ed in Tanzania nonché finanziatore ed addestratore dei gruppi eversivi di Al Shabaab i miliziani islamici fedeli ad Al Qaeda, era uno dei terroristi più ricercati al mondo. A lui, lo stesso Osama Bib Laden avrebbe affidato il compito di organizzare strutture terroristiche in Africa Orientale. Dall’altra parte del Golfo di Aden, a Sanha nello Yemen, la situazione è ormai fuori controllo, nonostante che USA ed Arabia Saudita stiano cercando di evitare una possibile crisi che potrebbe trasformare la Regione in un altro Afghanistan. In Siria, sulle sponde orientali del Mediterraneo, la situazione sta precipitando e certamente non sarà risolta attraverso l’inconsistenza delle sanzioni internazionali. Rivendicazioni di democrazia per lo più derivate dalla "primavera araba" che si è presentata sulle sponde del Mediterraneo e che, seppure da molti guardata con la massima simpatia, potrebbe, invece, trasformarsi in un boomerang per chi, come l’Europa, si affaccia sul “Mare Nostrum”. L’inerzia dell’ONU e dell’Unione Europea, certamente non favoriscono l’evolvere costruttivo della situazione in quanto sembrano prediligere soluzioni estemporanee, spesso improvvise ed affrettate. Non in ultimo l’accordo raggiunto in occasione del recente G8 con cui i Paesi Membri si sono impegnati ad aiutare economicamente le nuove democrazie emergenti sulle rive del Mediterraneo. Una cambiale a favore di utenti finali ancora non ben configurati e che potrebbero essere rappresentati, invece, da nuove realtà politiche destinate ad allargare la forbice delle incomprensioni fra Occidente ed Islam. Contrasti che subito, dopo l’estate, potrebbero presentarsi come un vero e proprio “ritorno di fiamma” attraverso ulteriori rivendicazioni, se le aspettative della gente saranno ancora una volta illuse. Le popolazioni islamiche sul Mediterraneo potrebbero, infatti, manifestare di nuovo la loro frustrazione e lasciare spazio ad iniziative eversive destinate quasi sicuramente a sfociare in un vero e proprio confronto armato destinato a dilagare fra l’Africa del nord, la zona sub sahariana ed il Corno d’Africa. Una serie di eventi estremi in cui potrebbero essere impegnati i giovani pronti a sacrificarsi immolandosi, (Shahid - martiri), perchè sconcertati dal mancato rispetto delle promesse di facile democrazia. Giovani che hanno avuto pochissimo dalla vita e sono amareggiati per non essere riusciti a ottenere risultati significativi per la patria e la famiglia. Costoro, potrebbero individuare nel "paradiso di Allah” una ricompensa idealistica di tutta soddisfazione. Se ciò avvenisse, Al Qaeda ed i gruppi terroristici ad essa collegati avrebbero realizzato il loro disegno strategico di espandersi in Africa per controllare consistenti risorse energetiche e di materie prime destinate all’Occidente. L'Europa ed Israele sarebbero le prime realtà occidentali a subire le conseguenze della nuova ondata di terrorismo globale. Qualcosa è, già in fermento. In questi giorni il SITE, il centro americano di monitoraggio dei siti islamici, ha riferito che dopo la morte di Osama Bin Laden i musulmani che vivono in Occidente sono stati chiamati alla jihad in "territorio nemico". Nel video intitolato "siete responsabili di voi stessi" prodotto da As-Sahah, il braccio mediatico di Al Qaeda, compare l’egiziano Al Zawahiri che invoca la guerra santa. Nello stesso video, l'americano Adam Gadaham, portavoce del network, afferma, fra l'altro, che gli islamici residenti in Occidente, "sono nella condizione perfetta per svolgere un ruolo decisivo nella jihad contro i sionisti ed i crociati". Aggiunge, "è importante che costoro colpiscano gli istinti bellicosi dei nostri sporchi nemici prendendo di mira personalità pubbliche, influenti nell'ambito dei media, dei governi e delle economie sioniste e crociate". Esistono, quindi, tutti i presupposti perchè cellule dormienti sparse nel mondo rivitalizzino il ruolo eversivo di Al Qaeda, riannodando le maglie della sua rete da tempo strutturata nel mondo, riproponendo una minaccia terroristica allargata destinata a favorire su scala mondiale lo scontro fra civiltà. Un motivo riscatto della tradizione coranica da parte degli integralisti, per cancellare il decadimento della cultura araba e musulmana provocato dalle ingerenze occidentali e che potrebbe partire dal controllo di Al Qaeda di importanti aree geografiche africane, dall’Atlantico al Mediterraneo. Le alleanze eversive, peraltro, sono in continuo aumento con gente di Al Qaeda che hanno ormai raggiunto anche il sud del Libano, dove sono attivi nuovi gruppi fondamentalisti, che trovano facile copertura nei campi profughi palestinesi, come quello di Ain El Hilweh, vicino a Sidone. Anche i segnali che arrivano dalle aree islamiche che si affacciano sul Mediterraneo e che per prime hanno ospitato la primavera araba, non sono incoraggianti. L'Egitto del dopo Mubarak apre il valico di Rafat strizzando l'occhio ad Hamas e, contemporaneamente, permette il passaggio di Suez a navi da guerra iraniane dirette verso il Mediterraneo. La Tunisia priva di risorse economiche si affida agli aiuti internazionali scegliendo i partner privilegiati solo sulla scia dei ritorni economici. La Libia, ora sconvolta dalla guerra civile è quanto prima destinata a cambiamenti il cui esito, allo stato attuale, è difficile prevedere. In Somalia non esiste un Governo operativo e domina la pirateria contro il naviglio commerciale occidentale diretto verso il Mediterraneo. Obama e l'Europa osservano e scelgono la strada degli aiuti economici, sicuramente più facile e demagogica rispetto ad una seria e costruttiva azione di politica estera. Forse opportuni per ricomperare le antiche alleanze messe in discussione dalla caduta di Mubarak e di Ben Ali' e per accattivarsi la fiducia dei nuovi regimi. Nel frattempo l'Arabia Saudita, autonomamente, si sta impegnando ad avviare una grande alleanza mussulmana, coinvolgendo Pakistan, Indocina, Malesia e gli Stati islamici dell'Asia Orientale. Una situazione in continua evoluzione che potrebbe allargare a tutto il Nord Africa lo stato di conflittualità che ora gravita in Afghanistan in Iraq ed in Palestina. Non è lontano il rischio di una escalation globale che gravitando sul Mediterraneo potrebbe coinvolgere la Siria, il Libano, l’Iran, la Somalia. Se ciò avvenisse, non saranno determinanti gli aiuti economici, ma un concreto e costruttivo impegno occidentale a sviluppare azioni di Capacity Building per favorire le nuove generazioni islamiche che intendono partecipare alla stabilità democratica del mondo, riconsegnando al Mediterraneo il ruolo di collettore della stabilità internazionale.
15 giugno 2011 - ore 16.00

venerdì 10 giugno 2011

Lettera aperta al dott. Michele Santoro

Egregio dottor Santoro,

quasi un anno orsono Le ho inviato una lettera aperta, pubblicata dal quotidiano “il Tempo” che probabilmente non ha letto o non ha potuto riscontrare per i Suoi impegni. Oggi mi accingo ad esprimerle per questo tramite un pensiero, pur nel dubbio che non possa interessarLe considerato che, come traspare dalle Sue parole di ieri sera, Lei si ritiene ben al di sopra dei comuni mortali. Pur rispettando, quindi, la Sua autostima non rinuncio alla mia libertà di espressione.

Ieri sera ho avuto occasione di assistere ad una puntata di Anno Zero che a mio modestissimo avviso non solo non è degna di una televisione pubblica ma che è stata anche e soprattutto espressione di una comunicazione faziosa e poco costruttiva e, per taluni aspetti formali, non condivisibile. Non entro nelle tematiche trattate ma nei contenuti della Sua premessa e dei toni ironici, altezzosi, quasi offensivi dell’intelligenza del telespettatore che il Suo collaboratore “principe”, il dott Travaglio, non ha lesinato di dispensare sia verbalmente sia attraverso una mimica offensiva dell’altrui intelligenza. Le chiedo, quindi, cortesemente e con somma modestia di farmi capire se è lecito auspicare giustamente ad una televisione pubblica non partitocratrica come da Lei più volte richiamato e nello stesso tempo, però, portare come esempi di unica informazione costruttiva solo quella di professionisti RAI che operano in ambito Terza Rete. Gli altri invece, sempre per quanto dato da capire dal Suo dire, sono dei “mantenuti” dai successi di Anno Zero e privi di qualsiasi valenza personale. Se è questa la libertà di espressione a cui Lei giustamente fa riferimento continuamente, allora il vocabolo “faziosità” andrebbe cancellato dal lessico italiano. Non in ultimo, poi, il Suo palese livore evidenziato in occasione del confronto lessicale con l’Onorevole Castelli, altro esempio non condivisibile e di come, si direbbe a Roma “si predica bene ma si razzola male”.

Con l’auspicio di poterLa leggere e fare tesoro di ogni Suo consiglio, Le formulo i migliori auguri per le Sue prossime attività. A tale riguardo, comunque, Le auguro che il Presidente Berlusconi non si ritiri dalla politica, altrimenti Lei rischierà di non avere più tematiche da trattare a danno dell’editore che intenda avvalersi della Sua professionalità.

Una stretta di mano

Roma 10 giugno 2011

dott. Fernando TERMENTINI
mail@fernandotermentini.it

mercoledì 8 giugno 2011

L'evoluzione terroristica dopo gli anni '70

Il terrorismo ha origini lontane. Si ripropone ogni qual volta il confronto democratico non garantisce il raggiungimento di importanti rivendicazioni sociali o economiche , quando, il ricorso alla guerriglia armata rappresenta l’unica possibilità per difendere la sovranità territoriale di uno Stato. Nel tempo, il radicalismo religioso è divenuto sempre di più protagonista della storia eversiva, anche con episodi importanti e determinanti. Dalla seconda metà dello scorso secolo molti dei regimi totalitari e fondamentalisti delle realtà islamiche, hanno favorito il consolidarsi di cellule terroristiche che, nel nome del Profeta Maometto, hanno reclutato proseliti in tutto il mondo, pronti ad immolarsi per la “jihad santa”. Fenomeni di massa di cui, peraltro, molte democrazie occidentali hanno frequentemente approfittato per affermare le loro posizioni storico - politiche e per gestire interessi sopranazionali in aree di crisi. Agli inizi degli anni '90, dopo la caduta del muro di Berlino e dell'ex Unione Sovietica, la matrice di terrorismo islamico che aveva contribuito a liberare popolazioni dal gioco della tirannia o della dominazione straniera, prima fra tutti la jihad dei mujhadin afgani, ha iniziato a mutare trasformandosi ben presto in fanatismo terroristico a livello internazionale. Continuo, il nascere di diversi gruppi eversivi gestiti dagli eredi della "insorgenza storica", per lo più gente colta ed appartenente ad importanti famiglie arabe, impegnati a coagulare intorno a loro masse popolari a cui veniva proposto il terrorismo come unica possibilità per il riscatto delle società povere ed oppresse dalle tirannie ereditarie. Nasce, quindi, una nuova forma di jihad con lo scopo di colpire prioritariamente gli interessi occidentali gestiti dagli “infedeli cristiani”, senza esclusione di colpi pur di esercitare una pressione costante sulla gente ed aumentare la forbice della divisione fra Occidente ed Oriente. Movimenti eversivi che spesso si richiamavano a motivazioni ideali come quelle che dopo il Primo Conflitto Mondiale avevano dato vita al “panarabismo”, bandiera dell’irredentismo anti francese ed inglese, nel momento che Francia e Gran Bretagna si accingevano ad occupare gli spazi lasciati liberi dalla dissoluzione dell’Impero ottomano. Teatro dei conseguenti atti terroristici spesso indiscriminati, il Centro Asia, le coste del Mediterraneo e del Mar Rosso con il coinvolgimento di Paesi come la Palestina, l'Egitto, l'Algeria, il Libano, la Siria e lo stesso Corno d'Africa. Immediata la proliferazione di gruppi eversivi. Gli Hizibollah libanesi vicini alla Siria ed all'Iran di Koemini. I Gruppi Islamici Armati (GIA) ed il Fronte Islamico di salvezza (FIS) impegnati in Algeria a colpire i non islamici perché considerati "impuri". Gruppi spinti da forme estremistiche religiose che ben presto prediligeranno le azioni dei kamikaze per affermare la validità mistica del martirio personale. In questo contesto è stato favorito il consolidamento di organizzazioni come Al Qaeda impegnate ad estendere il loro impegno eversivo anche “oltre l'Occidente”, coinvolgendo i regimi islamici ritenuti complici dell'Occidente, prima fra tutti l'Egitto. Un processo di globalizzazione del terrorismo che dopo l’11 settembre si è allargato sempre di più a macchia di leopardo nonostante il contrasto internazionale e facendo riferimento ad un network ormai strutturato a carattere planetario. Dal Centro Asia all’Africa fino all’Indonesia, colpendo indiscriminatamente l’occidente cristiano e l’oriente islamico pur di affermare una strategia del terrore motivata dalla volontà del riscatto sociale dei “repressi”. L’espansione eversiva ha ben presto raggiunto le rive del Mediterraneo, sponda occidentale del network islamico asiatico e medio orientale, ricucendo i vecchi link che nel passato avevano coeso la cultura araba. Un processo che nella “primavera araba” ha trovato la sua logica e programmata conclusione, cogliendo di sorpresa l’Occidente ed in particolare l’Europa. Un Vecchio Continente latitante, pur rappresentando la meta geografica immediata dei possibili flussi migratori provenienti dalle coste settentrionali africane, quasi sempre gestiti da organizzazioni malavitose vicine alle nuove organizzazioni terroristiche e collegate alla delinquenza europea. Fra costoro sicuramente personaggi destinati ad organizzare e strutturare "cellule terroristiche dormienti" con il supporto della malavita occidentale ricompensata con la fornitura di droga ed armi. Il Mare Mediterraneo è ormai diventato una vera e propria via di facilitazione destinata ad essere percorsa da sud verso nord e da est verso ovest dai flussi migratori provenienti dal Maghreb e dal vicino Medio Oriente. Popolazioni che, “meraviglia delle meraviglie”, fuggono dalle “democrazie appena conquistate” e forse troppo affrettatamente accettate sul piano internazionale. La disattenzione occidentale è stata ben presto sostituita da un improvviso interventismo occidentale che, ancora una volta, ha coinvolto la NATO ad impegnarsi in una guerra lampo che sembra, però, non essere tale. Un impegno militare concentrato sulle sponde del Mediterraneo, ignorando altri avvenimenti che nel frattempo in Siria e nello Yemen accompagnano la primavera araba africana e che potrebbero favorire l’affermazione di nuove realtà terroristiche vicine ad Al Qaeda e finora sconosciute. Decisionismo che per taluni aspetti è difficile condividere quando il Presidente Obama dichiara la volontà di garantire il sostegno economico ad emergenti democrazie non ancora configurate, assicurandosi anche l’appoggio dell’Europa che, nello stesso tempo, non sembra essere interessata a proteggere i propri confini meridionali. Scelte che seppure diverse nella sostanza hanno una modesta differenza sostanziale da quelle con cui l’ex Presidente USA intendeva “esportare democrazia” per contrastare il terrorismo internazionale. Esaltare l’avvento di democrazie “sconosciute” ed emergenti sulle coste mediterranee dell’Africa potrebbe essere, invece, pericoloso e fuorviante nel momento che sono ancora molto attivi gruppi islamici estremisti come il gruppo armato islamico del Maghreb (AQIM), operativo dalla Libia alla Mauritania attraverso l'Algeria ed il Mali e le cellule di Al Qaeda nel Niger e nel Corno d’Africa. Gruppi che sicuramente potrebbero trasformarsi nel braccio armato della futura eversione, strutturato ed equipaggiato per minacciare il flusso delle risorse energetiche e di materie prime naturali verso le economie occidentali. Non a caso, uno dei comandanti del Gruppo Combattente Islamico Libico (LIFG) in una recente intervista rilasciata al quotidiano italiano “Il Sole 24”, informa che jiahidisti, già combattenti in Iraq, sono impegnati in prima linea nella lotta contro Geddafi. Una situazione, quindi, assolutamente in evoluzione che potrebbe influire negativamente sullo sviluppo del bacino del Mediterraneo a favore di economie emergenti come Cina, India e Brasile, che sempre di più affermano ruoli di dominanza come partners commerciali preferiti dell'Africa e delle Americhe latine. Costoro, potrebbero riscuotere la "simpatia" dei terroristi del Terzo Millennio, con grave pericolo per l'Europa e gli Stati Uniti.
8 giugno 2011 - 17,00

venerdì 3 giugno 2011

Il terrorismo ed equilibrio nel Mediterraneo

Il Mediterraneo è sempre stato un modello di multiculturalità e di pluralismo religioso ed etnico. Un crocevia di culture ed ombelico naturale di collegamento con il resto del mondo. Verso Occidente attraverso Gibilterra, verso Oriente con il canale di Suez e su fino al Mar Caspio, attraverso i Dardanelli ed il Bosforo. Nei secoli le rotte marittime del Mare Nostrum, giorno dopo giorno, hanno veicolato verso l'Europa e l'intero Occidente tutto il necessario per lo sviluppo socio economico delle società industrializzate. Spezie dalle Indie, animali da soma, sementi africani, materie prime preziose e spesso anche mano d'opera a basso costo. Nel corso dei secoli i velieri sono stati sostituiti dalle petroliere e dalle pipe line ancorate sul fondo del mare per assicurare il flusso energetico. Nel tempo, con l'aumento della domanda di petrolio e di materie prime essenziali, il Mediterraneo ha iniziato, sempre di più, a raccogliere e veicolare le materie prime provenienti dal Centro Asia e dai Paesi produttori di petrolio, diretto a nord attraverso il Golfo di Aden, il Mar Rosso ed il canale di Suez. Ormai una linea interrotta di naviglio commerciale percorre quotidianamente queste rotte, costeggiando le coste settentrionali ed orientali africane ed attirando sempre di più la curiosità e l’interesse delle popolazioni rivierasche da sempre dedite solo all’agricoltura ed alla pastorizia. La maggior parte delle risorse provengono da Paesi a prevalenza islamica, come mussulmani sono gli abitanti del Corno d’Africa e della costa mediterranea africana, come gli egiziani, i libici ed i tunisini. L'importanza strategica di queste aree è cresciuta con un trend assolutamente positivo, assumendo spesso un ruolo importante sulla stabilità dell’Africa Settentrionale, Subsariana e del Centro Asia e gli avvenimenti che stanno coinvolgendo queste popolazioni dall’inizio dell’anno non hanno un futuro certo. Una volta che coloro che prenderanno il posto dei tiranni deposti inizieranno ad esercitare il governo delle popolazioni “liberate” potrebbero evidenziarsi strategie pianificate prima di quella che oggi chiamano “la primavera araba”. Qualcosa di simile di quanto accadde in Afghanistan, quando la resistenza appoggiata dall’Occidente per scacciare l’invasore sovietico si trasformò ben presto nel regime talebano, lasciando spazio a Bin Laden ed Al Qaeda. Moderne organizzazioni terroristiche potrebbero evolvere accantonando l'esplosivo e configurando una nuova minaccia verso il mondo industrializzato, attraverso forme di ricatto energetico ed economico. Non è, infatti, per nulla da sottovalutare il link sempre crescente fra ciò che è avvenuto ed avviene in Somalia e l’emergente presenza di Al Qaeda nel Maghreb africano, mentre in Yemen la rivolta aumenta ed il siriano Assad si comporta verso il suo popolo forse peggio di Geddafi. L’eversione violenta potrebbe evolvere in azioni di “violenza bianca”, portate avanti sfruttando le immense risorse economiche dei fondi sovrani islamici per colpire gli equilibri degli interessi economici dell’Europa e dell’Occidente. Una mutazione dell’eversione, che forse è già iniziata ed ormai incombe e che deve suscitare la massima attenzione per individuare immediatamente ogni forma di prevenzione che eviti un altro tsnumani mondiale come quello dell’11 settembre. Peraltro, la crisi economica globale sembra non voler diminuire in modo significativo e potrebbe in qualche modo coinvolgere anche una grande componente di popolazione islamica che in questo momento è protagonista dei movimenti di piazza che gravitano proprio sul bacino del Mediterraneo. Parte di costoro potrebbero già essere pronti ad appropriarsi della gestione globale delle risorse energetiche e delle principali materie prime, proprio esercitando il ricatto terroristico. Alleanze che potrebbero coagularsi in miscele esplosive, coinvolgendo anche nuclei eversivi motivati dalle più diverse spinte ideologiche. Eredi delle brigate Rosse italiane, dell'ETA piuttosto che i due gruppi greci del 17 novembre e della Lotta Rivoluzionaria, uniti insieme agli eredi del Fronte Algerino di Liberazione (FNL) ed alle cellule di Al Qaeda, ormai sparse nel mondo. L’evoluzione dell’attuale momento storico non è chiara. Il processo sta coinvolgendo il mondo sul piano globale ed ha come principali protagonisti molte popolazioni islamiche che si stanno interrogando sull'opportunità di procedere ad una modernizzazione dell'Islam escludendo qualsiasi contaminazione occidentale ed assegnare al mondo mussulmano il ruolo di rappresentare il principale e possibile modello futuro, unico garante della difesa “delle società degli oppressi”. L'Europa non può assistere passiva a questo processo e deve mettere da parte l’unico ruolo finora ricoperto, quello di “Holding economica”, per trasformarsi in una realtà politica significativa, in grado di gestire i propri interessi e nello stesso tempo la propria territorialità attraverso il controllo dei confini meridionali prospicienti sul Mediterraneo. Deve essere abbandonato il vecchio modello europeo basato sulle sole iniziative politiche e gestionali della Francia e della Gran Bretagna, apparentemente gli unici fra gli Stati membri in grado di esportare democrazia e stabilità nel bacino del Mediterraneo. Piuttosto, l’Unione Europea deve immediatamente farsi promotrice per favorire un’urgente integrazione di tutto l’Occidente con il mondo arabo moderato, custode di antiche culture da cui nel tempo tutto l'Occidente ha tratto vantaggio. L'Islam è una cultura antichissima che non può essere confusa semplicisticamente con il termine moderno di "movimento islamico". Invece, l’Islam moderno trova origine e motivo di essere proprio dalla continua e secolare trasformazione evolutiva di questa cultura che, a partire dal diciottesimo secolo con il Wahhabidism, inizia a configurare quello che potremmo chiamare la modernizzazione dell'Islam. Lo stesso mondo mussulmano sta dimostrando nervosismo ed è sicuramente preoccupato per quanto sta accadendo oggi sul Mediterraneo ed in Medio Oriente, in particolare per la strisciante affermazione di organizzazioni come i Fratelli Mussulmani, che sostituendosi ai tiranni del passato, potrebbero rappresentare un nuovo motivo di preoccupazione per gli equilibri mediterranei. I Fratelli Mussulmani sono da sempre sul Mediterraneo e sicuramente la "primavera araba" ha permesso loro di consolidare alleanze e posizioni in Tunisia, in Marocco, in Sudan ed in Egitto. Una realtà che il Vecchio Continente non può sottovalutare a meno di non perdere il ruolo politico fondamentale sullo scenario internazionale che la sua posizione geostrategica gli ha conferito nel corse dei secoli e che potrebbe rappresentare per il prossimo futuro l’unico ostacolo perché “novelli Osama” possano pensare di riaprire una nuova era del terrorismo internazionale.
3 giugno 2011 - 18,45
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