mercoledì 31 agosto 2011

Al Qaeda fra i ribelli libici

Gheddafi, anche se in chiave strumentale, ha in passato denunciato che i “pupari” della primavera araba fossero vicini ad Al Qaeda. Una tesi letta con sospetto in quanto ufficializzata da un Rais con l’acqua alla gola e stretto all’angolo dai ribelli libici. Oggi, però, assume connotati più credibili nel momento che Ahmed Shabani, fondatore del “partito democratico libico” e di sicuro orientamento liberale, formula da Londra l’ipotesi che elementi di Al Qaeda siano presenti in maniera consistente fra gli insorti. Un’eventualità da verificare urgentemente e comunque da non sottovalutare e che potrebbe essere sfruttata dallo stesso Gheddafi che, sconfitto, sarebbe capace di ritornare al suo vecchio mestiere di terrorista. Non a caso, sono sempre di più confermate le voci di ruoli determinanti nella rivolta libica di noti ex appartenenti all’organizzazione terroristica di Al Qaeda. Abu Obeid al Jarah impegnato a Bengasi e Abdel Hakim Belhaj a Tripoli, ambedue noti estremisti islamici vicinissimi alla vecchia ideologia di Osama Bin Laden. Per non dimenticare il possibile network che il defunto numero due di Al Qaeda, il libico Atya Abdel Rahman, vice dell’egiziano Ayman al - Zawahiri e da poco ucciso dagli USA in Pakistan, potrebbe aver strutturato in Libia. Un terrorista di vecchio stampo, leader del Gruppo Combattente islamico libico, fondato nel 1990 dai mujaheddin libici che avevano combattuto in Afghanistan, notoriamente molto legato ai clan libici vicini ai militanti di Al Qaeda, da tempo presenti fra le alture della Cirenaica ed in stretto collegamento con le cellule operative in Maghreb. Una vicinanza ad Al Qaeda confermata da tempo da fonti molto vicine all’intelligence israeliana che poco dopo l’inizio dell’intervento militare NATO contro Gheddafi, hanno iniziato a riferire un incremento sempre in crescita della fornitura di armi ai palestinesi di Gaza; SA-7 ed RPG che arrivano proprio dalla Libia per opera di simpatizzanti di Al Qaeda. La guerra in Libia è finita come hanno deciso molti dei media e dei Governi occidentali, ma a Tripoli ed a Sirte si continua a sparare e Gheddafi ancora non è stato catturato. Gli stessi ribelli libici paventano colpi di coda del Rais che potrebbe ricorrere proprio ad atti terroristici anche utilizzando il potenziale di armi chimiche di cui il regime disponeva e che, probabilmente, sono nascosti in depositi vicini al confine con il TChiad. L’indeterminatezza è molta e sicuramente non aiuta a stabilizzare il Paese almeno fino a quando Gheddafi non sarà catturato, nonostante che l’ONU continui a portare avanti iniziative di “esportazione della democrazia” che irrimediabilmente saranno destinate ancora una volta a fallire. Notizie di stampa, infatti, riportano oggi che le Nazioni Unite abbiano già dato mandato a Ian Martin, ex direttore britannico di Ammesty International, di redigere un documento in cui sia indicata la “Road Map” che Tripoli dovrà seguire per raggiungere la democrazia. I berberi che hanno liberato Tripoli, peraltro guidati da un ex di Al Qaeda catturato in Afghanistan e prigioniero fino al 2004 a Guantanamo, sicuramente non saranno disposti ad accettare modelli di democrazia lontani dalla cultura islamica, una realtà che l’Occidente ancora non ha compreso o non vuol intendere a totale danno della sicurezza internazionale.
31 agosto 2011 - 17,30

martedì 23 agosto 2011

Missili Scud su Misurata

23 agosto 2011, 6 mesi di bombardamenti NATO sulla Libia e Gheddafi ancora riesce a lanciare missili SCUD su Misurata. Lanci imprecisi, si affretteranno a dire gli stessi esperti militari che nello stesso modo hanno frettolosamente giudicato un precedente lancio missilistico contro la fregata italiana “Bersagliere”. Un segno della frustrazione degli sconfitti ripeterà la Farnesina, dimenticando, però, di chiarire agli italiani la ragione per cui ad ore dalla sconfitta finale, Gheddafi riesce ancora a gestire un attacco missilistico. Gli eventi stanno precipitando a Tripoli, la gente muore nelle strade, compresi i bambini. Al Jazira continua a gestire l’informazione come ha fatto durante tutta la primavera araba, prediligendo di riproporre le medesime immagini, spesso anche datate; civili che festeggiano la vittoria sparando in aria. Nessuna notizia, invece, sui “colpi di coda” di Gheddafi. Un’informazione parziale ripresa quasi integralmente dalla maggior parte dei mass media occidentali, che non aiuta l’opinione pubblica a capire ed a condividere la spesa dei miliardi di dollari sostenuta dai Paesi che partecipano ai bombardamenti NATO, con lo scopo di “garantire” il rispetto della risoluzione 1973 dell’ONU. Gheddafi, invece, lancia ancora missili ed il figlio primogenito Saif al Islam organizza una conferenza stampa, mentre i ribelli accerchiano la sua residenza. Ancora una volta, dunque, l’informazione unidirezionale è protagonista come lo è stato nel corso di tutta la primavera araba e quando ci propone i massacri in Siria, dimenticando di approfondire tematiche importanti come, ad esempio, la consistente presenza di donne velate in occasione delle manifestazioni libiche, sicuramente distanti nella concezione del Governo provvisorio di transizione libico e forse anche dello stesso Gheddafi. Episodi che, invece, andrebbero proposti per essere oggetto di approfondita analisi, in quanto potrebbero rappresentare un segnale significativo per il futuro delle popolazioni dell’area islamica dell’Africa mediterranea. Popoli che ormai liberi dalle quarantennali dittature monocratiche, potrebbero invece rischiare di essere improvvisamente fagocitati da Governi permeati da fanatismo ed estremismo religioso, sicuramente lontani dall’auspicata conquista di ogni forma di democrazia.
23 agosto 2011 - ore 15,30

lunedì 22 agosto 2011

L’autunno caldo arabo è alle porte

Come era prevedibile i risultati delle “primavere arabe” non sono stati finora rispettati e si inizia a subirne gli effetti. I manifestanti che hanno portato alla caduta di Mubarak e di Bel Alì vedono, infatti, allontanarsi sempre di più la possibilità di raggiungere gli obiettivi che erano stati loro promessi, con la garanzia affrettata di tutto l’Occidente ed in particolare dell’Europa non preparata a valutare con attenzione ciò che avveniva a ridosso dei propri confini meridionali. In queste ore si avvicina sempre di più anche la fine di Gheddafi ed un altro Governo provvisorio, anche esso affrettatamente riconosciuto da molte Cancellerie occidentali, si accinge a prenderne il posto per gestire la stabilità di un Paese che si è sempre riferito agli equilibri tribali, piuttosto che ad una coesione nazionale consolidata. Non è certo, quindi, che alla popolazione libica, ormai dissanguata da sei mesi di guerra civile, potrà essere garantita con immediatezza quella democrazia in nome della quale i giovani di Bengasi sono scesi in piazza contro il Rais. E’ sicuro, invece, che tutte le popolazioni islamiche protagoniste della primavera araba sulle sponde del Mediterraneo, dovranno convivere con un periodo, anche lungo, di instabilità, di cui potrebbero approfittare forze eversive come Al Qaeda od altre organizzazioni terroristiche emergenti. Gli attentati avvenuti nel Sinai il 18 agosto dimostrano che l’eventualità di una nuova minaccia non è lontana dal trasformarsi in realtà. Un pericolo molto simile a quello vissuto alla fine degli anni ’90, quando nel 1997 furono sferrati feroci attacchi a Luxor nella Valle delle Regine contro le comunità occidentali presenti nell’area. Gli avvenimenti di questi giorni avvenuti nella Penisola del Sinai dimostrano che l’Egitto del post Mubarak ha perduto il controllo di questa importantissima fetta di territorio egiziano. Un’area geografica di elevata valenza strategica per la sicurezza di Israele, la stabilità Medio Orientale, e prospiciente al Golfo di Aden, attraversato quotidianamente dal flusso energetico diretto verso il Mediterraneo. L’intelligence egiziana non è stata in grado di prevenire gli eventi nonostante che Gerusalemme da tempo segnalasse il costate aumento del controllo dell’area da parte delle tribù di beduini, molto vicini all’eversione araba ed alla stessa Hamas, ed avesse rappresentato il pericolo che intorno a costoro potessero coagularsi gruppi della resistenza popolare egiziana. Gruppi storicamente molto vicini ideologicamente ad Al Qaeda e sostenuti economicamente e militarmente da Teheran. Cellule che,oggi, sicuramente possono fare riferimento anche al nuovo capo di Al Qaeda, l’egiziano Ayman Al-Zawahiri, che, attraverso costoro, potrebbe vedere realizzato il suo sogno politico di distruggere lo Stato egiziano che l’ex Presidente Mubarak aveva avvicinato all’Occidente e ad Israele. Ma i segnali preoccupanti non si fermano al solo deserto del Sinai. Il Presidente siriano Assad seguita a non mantenere le sue promesse per un cambiamento democratico del Paese e continua a reprimere con la forza le dimostrazioni di piazza, fiducioso della protezione della Russia pronta a sottolineare nelle Sedi ufficiali la scarsa efficacia politica delle dichiarazioni del Presidente Obama sulla situazione di Damasco. Anche dallo Yemen arrivano segnali preoccupanti. Una serie di nuovi attentati sta sconvolgendo il Paese e fonti ben informate della CIA parlano di un risveglio dell’eversione jihadista presente nel Paese che sembra stia preparandosi ad effettuare attentati con l’utilizzo di bombe sporche. E’ stato, infatti, accertato, che alcune cellule eversive di Al Qaeda attive nello Yemen stiano cercando di acquistare notevoli quantitativi di semi di ricino, sostanza che miscelata ad altre sostanze chimiche rappresenta la base per ricavare potenti aggressivi letali per l’uomo. Anche in Iraq è in atto un risveglio terroristico. Dal 15 agosto ad oggi una serie di attentati quotidiani ha provocato oltre 80 morti e più di 300 feriti. Avvenimenti che lasciano pensare ad una ripresa del terrore rivolto a colpire gli interessi Occidentali, coinvolgendo anche coloro che illusi dalle facili promesse delle manifestazioni di piazza dell’inizio dell’anno potrebbero trovare nell’estremismo eversivo il mezzo per affermare la propria identità sociale e politica. E’ certo che nei Paesi emergenti dalla primavera araba tutto ciò che era stato promesso presto e subito, difficilmente potrà essere garantito ed è anche intaccata l’efficienza delle strutture di intelligence che operavano sotto il controllo i Mubarak e Ben Alì. Anche la Libia si avvicina verso un periodo di indeterminatezza dopo che Gheddafi sarà definitivamente sconfitto ed è elevata la probabilità che, seppure temporaneamente, si crei una instabilità interna simile a quella dell’Iraq del post Saddam, sicuramente non favorevole alla popolazione. Un clima che potrebbe favorire il radicarsi di forze eversive nei principali Paesi dell’Africa mediterranea e del Corno d’Africa, a ridosso del Golfo di Aden, preparate ed organizzate per minacciare da vicino l’Europa e gli USA. Un pericolo che l’Occidente potrebbe avere difficoltà a contrastare con immediatezza ed efficacia, in un momento di criticità quale l’attuale, in quanto impegnato a fronteggiare la pesante crisi economica che, peraltro, potrebbe essere parte di un disegno eversivo a livello planetario.
22 agosto 2011 - ore 17.00

domenica 7 agosto 2011

Il decennale dell’attentato alle Torri Gemelle

Ci si avvicina al decennale dell’attentato dell’11 settembre 2011, ma nonostante l’impegno internazionale contro il terrorismo, la minaccia ancora incombe sull’Occidente che nel tempo ha dimostrato la propria incapacità di raggiungere gli obiettivi necessari per garantire stabilità nella aree di crisi. Molti gli insuccessi, a partire da quello afgano negli anni ’80 quando per cacciare l’invasore sovietico fu appoggiata indiscriminatamente la resistenza afgana, aprendo di fatto la strada all’affermazione di Bin Laden ed all’insediamento dei Talebani a Kabul. A seguire, la Prima Guerra del Golfo con un modesto successo limitato alla sola liberazione del Kuwait, ma che non riuscì ad annullare la repressione di Saddam contro le minoranze sciite e curde. Poi, il fallimento dell’Operazione “Restore Hope” voluta dall’ONU per aiutare la popolazione somala ad uscire dal baratro di una sanguinosa guerra civile, finita dopo tre anni senza risultati mentre, giorno dopo giorno, si consolidava nel Paese l’estremismo islamico e si insediavano cellule di Al Qaeda nel Corno d’Africa. Oggi, anche se in un quadro geopolitico totalmente diverso, Si stanno rivivendo, seppure attualizzati, quei momenti. In Afghanistan la Comunità internazionale è impegnata da quasi dieci anni in un intervento militare a suo tempo proposto come un’azione di brevissima durata. I risultati sembrano lontani dall’obiettivo iniziale che voleva restituire al popolo afgano democrazia e libertà. I Talebani, infatti, facendo affidamento solo ai modestissimi lanciarazzi RPG ed ai fucili mitragliatori ereditati dai sovietici, si oppongono con significativi successi alle agguerrite e super equipaggiate Forze della NATO e sicuramente non sono disposti a cedere terreno e potere a Karzai. In Iraq, dopo sette anni dalla cacciata di Saddam, la stabilità raggiunta è quanto mai aleatoria e precaria. Manca un governo credibile ed efficace ed il concetto di democrazia è ben lontano nell’essere applicato in particolare nei confronti delle minoranze. Insuccessi che la comunità internazionale ha accumulato nel tempo e nel mondo e che sempre di più evidenziano la scarsa efficacia del ruolo politico delle Nazioni Unite ancora strutturate secondo un modello organizzativo valido per la fine del Secondo Conflitto Mondiale, ma oggi inappropriato dalla burocrazia politica ed impastoiato dal veto di Paesi come la Cina padrone dei debiti sovrani di molti Stati. Oggi sono assolutamente prive di efficacia le risoluzioni e gli ammonimenti dell’ONU che non aiutano a favorire la crescita della stabilità nel mondo, specialmente se vincolate a schemi di “convenienza”, peraltro diversi da situazione a situazione . Dopo un periodo di relativa calma e proprio a ridosso dell’11 settembre improvviso il ripresentarsi di situazioni estreme che varcando i confini del Centro Asia hanno cominciato ad espandersi verso Occidente arrivando sulle rive del Mediterraneo, minacciando da vicino l’Europa e tutto l’Occidente. Vari gli episodi e le forme di reazione. La “primavera araba” contro i regimi dittatoriali di Egitto e Tunisia e che ha coinvolto tutte le popolazioni islamiche del Medio Oriente fino al Golfo Persico. In Siria, la popolazione da mesi manifesta sulle piazze e subisce la dura repressione del regime sotto la quasi totale indifferenza delle Nazioni Unite. Solo una “paterna” raccomandazione di ieri da parte di Ban Ki - Moon ad Assad, con la quale il Segretario delle Nazioni Unite ha espresso al Presidente siriano la sua ”preoccupazione” per quanto sta accadendo in Siria. In Yemen non c’è giorno che non ci siano attentati o moti di piazza; altrettanto in Barheim ed in Oman. In Algeria ed in Marocco la situazione non è delle più calme mentre l’ennesimo intervento occidentale voluto per fermare Geddafi dura da più di 4 mesi con risultati sicuramente non positivi. La Libia è oggetto di bombardamenti quotidiani realizzati con i più sofisticati sistemi militari dell’era moderna. Fino ad oggi da marzo 2011 quasi 18.000 missioni aeree con 7000 attacchi mentre un massiccio schieramento navale presidia il Golfo della Sirte e tutto il Mediterraneo meridionale. Uno sforzo che però non impedisce che Geddafi continui a lanciare missili e naviglio clandestino parta dalle coste libiche riversando in Occidente migliaia di poveri profughi fra cui, con elevata certezza, una significativa componente di possibili cellule eversive. Un Rais, quello libico, tuttaltro che impensierito dalla pressione NATO e che con le sue reazioni belliche incrementa la propria credibilità agli occhi del mondo arabo e di quello africano, perché dimostra di essere ancora in grado, dopo quattro mesi, di fronteggiare un macchina da guerra modernissima come quella messa in campo dalla NATO. In Somalia la guerra civile è ripresa, i fondamentalisti attaccano la popolazione affamata dalla carestia e si appropriano degli aiuti dell’ONU vanificando l’intervento Occidentale anche se solo umanitario. Le cellule di Al Qaeda dislocate nel Magreb stanno rinforzando le proprie posizioni nella regione africana e guardano con attenzione a quanto accadrà in autunno nella Tunisia e nell’Egitto liberate dai dittatori. L’organizzazione nel frattempo si rifornisce di armi recuperate sul territorio libico e, notizia di oggi, sembra si stia insediando in Sinai dove l’Egitto ha improvvisamente rinforzato i presidi militari. Sicuramente non siamo di fronte ad episodi isolati, ma ad un probabile rinvigorimento dell’eversione terroristica sul piano globale. Episodi non più concentrati come gli eventi dell’11 settembre, ma sparsi a macchia di leopardo, più difficili da controllare e prevenire. Non in ultimo l’attentato di Oslo realizzato sicuramente da un pazzo, un mitomane invasato da spinte ideologiche assurde che però ripropone il rischio di atti terroristici di “lupi solitari” che potrebbero trovare favorevoli condizioni in questo momento di globale incertezza economica e politica. Individui oggetto di plagio da organizzazioni dislocate sul territorio che, approfittando delle debolezze psicologiche del possibile attentatore, potrebbero esaltarne l’approccio estremistico e paranoico. In questi giorni, ai fatti in Norvegia, ai colpi di coda dei Talebani in Afghanistan, alla ripresa seppure modesta delle manifestazioni di piazza in Egitto, si aggiunge un’ulteriore minaccia sul piano globale, quella economica. Tutto il mondo finanziario occidentale, infatti, è toccato da un’incisiva azione speculativa che solo grosse risorse finanziarie, come ad esempio i fondi sovrani, potrebbero concretizzare. A chi giovi tutto ciò non è semplice affermarlo anche se è meno difficile ipotizzarne i motivi. Certo è che il pericolo di instabilità tornato a livelli antecedenti agli eventi dell’11 settembre è oggi incrementato dalle titubanze politiche dei Governi occidentali e dai messaggi dei facili profeti del terzo secolo che, come il Presidente Obama, illudono le popolazioni promettendo loro sicure democrazie e benessere prospettando soluzioni politicamente corrette e coerenti con il rispetto dei diritti umani, ma forse utopistiche sul piano concreto. In questo quadro di situazione non è remoto che la ricorrenza del decennale dell’11 settembre possa segnare un inizio di una nuova stagione, un “autunno arabo” provocato dalla illusione di chi ha rischiato la propria vita per raggiungere determinati obiettivi e si accorge di trovarsi di fronte ad un miraggio.

7 agosto 2011, ore 17,00

giovedì 4 agosto 2011

Geddafi è’ ancora operativo

Da mesi la NATO sta bombardando la Libia impiegando i più sofisticati mezzi militari messi a disposizione dalla tecnologia moderna, ma Geddafi dimostra di essere ancora in grado di contro attaccare. Il Rais non solo non si arrende, ma dimostra di essere pronto ad utilizzare un potenziale bellico importante. Il portavoce del Governo libico, Mussa Ibrahim ieri a Tripoli, in occasione di una conferenza stampa, ha rivendicato il lancio di un missile contro la fregata italiana “Bersagliere” in pattugliamento di fronte alle coste libiche. Il missile è caduto in mare, due chilometri a poppa, probabilmente un lancio “mirato” non andato a bersaglio per un mero errore di calcolo della velocità e della distanza della nave. Un’imprecisione davvero piccola se si considera che la fregata era a 10 km dalla costa ed in movimento parallelo alla terra ferma. Margini di errore modesto che portano a pensare che non si sia trattato di un missile alla fine della gittata e caduto in mare per gravità, come molte fonti ufficiali hanno riferito. Poco condivisibile, inoltre, anche il comunicato della Farnesina che ha catalogato l’episodio come un “gesto di frustrazione del regime”, che invece ha dimostrato, dopo mesi di combattimento, di essere in grado di gestire ancora una parte del proprio arsenale offensivo e non si sente turbato dai possibili esiti della guerra in corso. Altri esperti hanno parlato di un razzo terrestre sfuggito al controllo in quanto l’utilizzazione di un missile avrebbe imposto all’Esercito libico di attivare un radar che sarebbe stato immediatamente rilevato e distrutto. Un parere tecnicamente condivisibile, ma che dimentica che fin dalla Prima del Golfo, Saddam eludeva l’aviazione avversaria lanciando i propri SCUD da rampe mobili e, quindi, difficilmente rilevabili in tempo reale. Piuttosto l’episodio, dovrebbe spingere a chiedersi come mai dopo mesi di bombardamenti e dopo che ormai da tempo sono operative sul territorio libico forze speciali della NATO, il Rais ancora riesce a gestire ed utilizzare missili e/o razzi seppure di media gittata, sottraendone l’esistenza all’osservazione ed all’intelligence avversario. L’Esercito libico ha comunque raggiunto uno scopo di significativa valenza militare. Ha costretto la nave italiana e forse tutte le altre unità navali della NATO presenti nell’area, ad allontanarsi dalla costa, con una conseguente minore efficacia dell’azione di pattugliamento marittimo svolto per garantire un blocco navale contro i possibili rifornimenti diretti ai governativi. Il lancio per fortuna è fallito ma le forze governative libiche hanno dimostrato ancora una preoccupante operatività, nonostante la risoluzione 1973 dell’ONU.
4 agosto 2011 - ore 12,45