mercoledì 29 aprile 2015

Fucilieri di Marina: l’Italia umiliata

Ancora un rinvio, il 58° quello annunciato ieri dalla Corte Suprema indiana che deve ancora decidere se per i due Fucilieri di Marina in ostaggio di Delhi da tre anni debba essere applicata la legge antiterrorismo (Sua Act) o quella ordinaria.  
 
Un aspetto di non secondaria importanza considerando che la Sua Act prevede anche la sanzione della pena di morte, contrariamente a quanto fu assicurato dal Governo Monti nel marzo 2013 e dall’attuale Premier che ha sempre ostentato sicurezza  nella gestione di una  vicenda che invece sembra gli sia sfuggita di mano, analogamente a quanto avvenuto all’Alto Rappresentante per la politica Estera e la Sicurezza europea, Federica Mogherini.  
L’Italia continua ad essere umiliata dalla protervia indiana senza che nessuno a livello istituzionale alzi la voce. Due nostri militari continuano ad essere tenuti in ostaggio e confermano come le Istituzioni non siano in grado di garantire loro ed agli altri colleghi in missione all’estero la più importante delle garanzie, quella dell’immunità funzionale. Tutti rassicurano ma nulla ottengono a partire dal Presidente della Repubblica Mattarella e dal Premier Renzi  che dichiarano in ogni occasione di seguire costantemente la vicenda. Con quale efficacia, però, è difficile constatarlo. Piuttosto, visti i risultati, si ha motivo di pensare che le iniziative portate avanti siano solo di facciata, assolutamente inconcludenti.  
Gli ordini  dell’Esecutivo sono quelli di tacere, i media italiani “obbediscono” supinamente forse perché preoccupati del finanziamento pubblico dell’editoria. La notizia di ieri che il giudice della Corte Suprema indiana, Anil R. Dave, aveva deciso di posticipare a luglio l’udienza che riguardava i due Fucilieri di Marina italiani, è stata resa nota con flash di qualche secondo dai telegiornali nazionali ed oggi solo pochi quotidiani hanno dato spazio alla notizia.  
Noi però non ci arrendiamo, non abbassiamo l’attenzione né ci lasciamo intimorire da raccomandazioni che giorno dopo giorno dimostrano di essere immotivate e derivate solo dallo scopo di tenere in ombra il problema.  
Denunciamo, quindi, la telenovela in cui sono protagonisti due militari italiani, una farsa che si ripete da tre anni sulla pelle di due nostri Fucilieri di Marina e delle loro famiglie. Tre Governi si sono succeduti e ciascuno ha sempre assicurato il massimo impegno ma non ha mai ottenuto nulla di concreto. Un Esecutivo, l’attuale, che ha continuato ad illudere con le affermazioni del Premier che dopo l’incontro con Modi durante un “coffee break” in occasione dell’ultimo G20 assicurava gli italiani e le Forze Armate su una rapida conclusione della vicenda.  
Oggi, invece, l’ennesima beffa indiana e l’Italia, supinamente, si accinge ad ospitare all’EXPO di Milano uno spazio sulla produzione indiana, scelta  che sicuramente sarà giustificata con la motivazione di difendere gli interessi economici italiani, la stessa che fu ufficializzata il 22 marzo 2013 quando si decise di rimandare i due Marò in India.  
Una spiegazione che però non trova riscontro nella realtà delle cose considerato che recentemente il Premier indiano MODI in visita in Europa ha stretto contatti economici con Francia e Germania ignorando l’Italia che, invece, dimentica, ancora una volta, che la credibilità di un Paese è ben altra cosa rispetto alle eventuali commesse di forniture di beni o servizi.  
Forse chi scrive sbaglia nelle sue valutazioni, ma un fatto è certo: la sovranità italiana ormai non esiste più e tutti sono pronti a considerare l’Italia come un Paese pronto ad accettare qualsiasi prevaricazione e quindi da usare piuttosto che rispettare.  
La sudditanza italiana nei confronti di  tutti è ormai palese. Dell’Europa per il problema dei migranti, degli USA per la vicenda dell’uccisione del Cooperante italiano Lo Porto ed dell’India per la vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone colpevoli solo di aver detto “obbedisco” il 22 marzo 2013.  
Fernando Termentini, 29 aprile 2014 , ore 11,00
 

venerdì 24 aprile 2015

La dignità italiana è in vendita per 30 denari


Ieri, quanto deciso dal Consiglio Europeo straordinario convocato per affrontare il problema dei migranti, ha ancora una volta evidenziato come  la nostra sovranità nazionale sia svenduta al migliore offerente per 30 denari,  rinunciando di pretendere  il rispetto concreto dagli altri Paesi dell’Unione Europea.  

Una volta accadde il 22 marzo 2013, quando i nostri due Fucilieri di Marina furono rimandati in India per difendere gli interessi economici di  ristrette lobby perchè potessero continuare a fare affari con Delhi. Valutazioni, peraltro, sconfessate dai fatti nel momento che il Premier indiano MODI, recentemente in visita in Europa, ha stretto relazioni economiche con Francia e Germania ed ha completamente ignorato l’Italia.

Ciò nonostante accetteremo di ospitare rappresentanze indiane all’Expo di Milano come viene riportato da alcuni organi di informazione. Il console indiano Verma, infatti, ci dicono che  abbia dichiarato  che «L’Expo ci permetterà di mettere in mostra le nostre capacità in vari segmenti, le nostre “best practices”, i passi avanti che abbiamo fatto quanto a sostenibilità, ambiente, tecnologia” (http://expo2015notizie.it/blog/expo2015-grandi-temi/9881/le-tre-sfide-dellindia-a-expo/).

Ed ora l’ultimo atto che conferma come il nostro Stato sia ormai orientato ad accettare quel poco che viene concesso dalla UE, per non innervosire i partner europei e per sopravvivere nel quotidiano. Il  nostro Premier, infatti, si è dichiarato soddisfatto per quanto raggiunto in ambito Consiglio Europeo ed ha affermato che era stato compiuto “un grande passo in avanti”.

Quale sia il grande successo non è immediatamente comprensibile, come non è condivisibile l’entusiasmo del nostro Presidente del Consiglio. Infatti,  l’unica cosa che l’Europa ha approvato è stato l’aumento dei fondi destinati a finanziare l’operazione Triton ed a confermare il rifiuto dell’accoglienza dei migranti,  lasciando ancora una volta l’Italia sola ad affrontare l’emergenza.  

Una soddisfazione che deriva, quindi, solo dall’annuncio che arriveranno quattro spiccioli per mantenere in atto il dispositivo aereo navale attualmente operativo, dimostrando ancora una volta che siamo disposti a chinare il capo di fronte a poche briciole rinunciando a pretendere che una volta per tutte la “Holding Europa” riconosca come suoi confini le coste meridionali dell’Italia.

Con ridondanza è stato annunciato che i fondi saranno triplicati dimenticando però di chiarire che l’aiuto economico non  arriverà tutto all’Italia ma sarà destinato a sostenere l’impegno anche delle nuove realtà che entreranno a far parte del dispositivo operativo di Triton (mezzi inglesi, tedeschi, francesi e lituani) ed a retribuire altri funzionari di Frontex che sicuramente approfitteranno dell’occasione per consolidare le loro posizioni di burocrati impegnati a raccogliere unicamente dati statistici, disattendendo lo scopo istitutivo dell’Agenzia che dovrebbe coordinare il pattugliamento delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri degli Stati della UE.

E’ quindi difficile condividere questo “orgoglio nazionale” per i risultati raggiunti. L’aumento dei finanziamenti, infatti, difficilmente potranno essere utilizzati anche per la gestione dei migranti sul territorio italiano e sicuramente  non andranno a coprire i costi di ammortamento dei mezzi aereo - navali italiani impegnati ormai da più di due anni quotidianamente in mare.

Quale sia il  successo raggiunto dall’Italia non è chiaro. E’ invece palese come ancora una volta si confonda il successo politico con scarni ed incerti ritorni economici, confermando che il nostro Paese è ormai in svendita .

Fernando Termentini, 24 aprile 2015 , ore 16,00

 

 

 

mercoledì 15 aprile 2015

I due Fucilieri di Marina : ancora ambiguità

Improvvisamente ieri il Ministro Gentiloni in un intervista rilasciata a Mix 24 su Radio 24, facendo riferimento alla vicenda dei due Marò, ha fatto precisazioni forse indotte in lui, neofita della responsabilità del MAE, da carenza di informazioni su quanto avvenuto in questi tre anni ed in particolare in quel fatidico marzo 2013 quando furono riconsegnati al giudizio indebito dell’India.

A tale riguardo, quindi, sento l’esigenza di riproporre un documento che credo offra un quadro completo di quanto avvenuto in quei giorni, datato 18 marzo 2013 e archiviato sul sito della Farnesina al link  http://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/archivionotizie/comunicati/2013/03/20130318_maro_comunicato_governo.html

Solo due richiami sui contenuti. Il comunicato emesso da un’Istituzione dello Stato è titolato “Marò: comunicato del Governo”  che non risulta essere mai stato smentito dall’allora Premier  Senatore Monti e dal quale nessuno dei Ministri in carica si dissociò, nel quale vengono sintetizzati i passaggi che portarono a decidere di non rimandare i due Fucilieri di Marina in India. In particolare  “Per questi motivi, il Governo italiano è giunto alla determinazione, dopo essersi a lungo impegnato per una soluzione amichevole della questione - nella quale tuttora crediamo convintamente - di formalizzare l'11 marzo l’apertura di una controversia internazionale”.

La decisione, quindi, di rimandarli in India il 22 marzo 2013 smentendo il comunicato del 18 e rinunciando all’Arbitrato internazionale, non può che essere attribuita a chi nel Governo aveva responsabilità di decidere e cambiare l’iniziale approccio al problema.

Quindi, oltre alle affermazioni del Ministro Gentiloni che meriterebbero un approfondimento, sembra essere imprecisa anche  una nota di ieri di  “Italia Unica” che attraverso un’Agenzia informa:  "In merito alle affermazioni dell'onorevole Giorgia Meloni riguardo la vicenda dei maro', ancora una volta e' necessario precisare che i due fucilieri di Marina furono rinviati in India sulla base di una decisione unanime del Consiglio dei Ministri". Infatti, se Consiglio dei Ministri ci fu,  la globalità della decisione non appare comunque tale considerando la posizione dell’allora Ministro Terzi che, il 26 marzo 2013,  si dimise perché proprio contrario alla decisione di rispedire in India i due Marò.


E’ lecito, quindi, dedurre che comunque l’unanimità affermata da “Italia Unica” non fu poi tale e, quindi, è azzardata anche l’affermazione riportata nella stessa Agenzia laddove si scrive “L'onorevole Meloni, dunque, addossando responsabilita' unilaterali allo stesso Monti ed all'allora ministro Passera, afferma il falso” (Rai/ Dire 19:49 14-04-15).

Polemiche che non concorrono a fare chiarezza sul fatto ma che rendono ancora più oscura la vicenda che invece sarebbe auspicabile che fosse affrontata e valutata da una Commissione di inchiesta parlamentare come da tempo auspicato da più parti.

Auspicio vano,  mentre giunge notizia che in tempo quasi reale si sta istituendo un’ennesima  Commissione Parlamentare di inchiesta sui danni dell’Uranio Impoverito come se ormai non fossero acclarati gli effetti negativi insieme all’inquinamento da polveri sottili di metalli pesanti che caratterizza le aree di conflitto, dalla triste realtà di circa 390 morti e più di 3800 ammalati.

Un’altra decisione che fa capire quale sia l’attenzione istituzionale per i militari italiani e quindi forse anche il motivo per cui ancora i nostri due Marò sono ostaggio dell’India da più di tre anni

Fernando Termentini, 14 aprile 2015 - ore 11,15

 

 

lunedì 13 aprile 2015

Libro bianco della Difesa, qualche perplessità


A breve dovrebbe essere ufficializzato il Libro Bianco della Difesa, per ora preceduto da linee guida pubblicate “online”, molto ermetiche e presentate ricorrendo ad un linguaggio complesso, comprensibile solo ad una modesta cerchia di “addetti ai lavori”.
 
In tempi passati l’uso del condizionale era d’obbligo nella redazione dei documenti ufficiali dei vari SM, prerogativa che dava ampi spazi di interpretazione e possibilità di rimodulare “senza danno” posizioni e valutazioni. Nel redigere le Linee Guida, invece, questa tradizione è decaduta, sostituita da un modo verbale diverso,  solo presente e futuro. Un testo  involuto e quindi preda di ogni interpretazione  ritrattabile in qualsiasi momento. Un risultato migliore di quanto la tradizione del  “gerundio” avrebbe consentito e destinata a lasciare poco spazio a possibili soluzioni condivise,  ma rimandando a pochi la decisione finale.

Un testo la cui stesura, con buona certezza, non è stata affidata ad un Gruppo di Lavoro articolato  composto da militari e tecnici del settore, integrati da professionalità consolidate della società civile e che evidenzia anche la mancanza del supporto di pensiero della  rappresentanza militare, il COCER.

Una conferma  della volontà di voler gestire il problema solo sul piano politico, relegando i tecnici del settore a meri esecutori passivi. Un approccio assolutamente diverso da quello seguito da quasi tutti i maggiori Paesi occidentali impegnati a riorganizzare uno strumento militare che in futuro sarò destinato a coniugare la congiuntura economica con l'esigenza di affrontare in maniera affidabile le nuove minacce globali che si affacciano all’orizzonte.

Un’ermeticità di linguaggio che non chiarisce nemmeno in maniera esplicita ed inequivocabile quali saranno le prospettive lavorative dei cittadini che decidessero di arruolarsi. Una grave carenza che se confermata nel testo finale indurrebbe disaffezione per le FFAA, penalizzando pesantemente gli arruolamenti. Chi sceglierebbe, infatti, di fare il militare con la prospettiva di interrompere improvvisamente il rapporto di lavoro senza che lo Stato garantisca nulla sul piano lavorativo ?

Un dubbio  indotto da un passaggio importante delle Linee Guida di un documento che dovrebbe raccontarci come saranno le nostre FFAA nei prossimi quindici anni, quando si fa riferimento all’esigenza di disporre di  Forze Armate giovani. Forse  si pensa ad un tipo di servizio come avviene in molti Paesi europei, ad esempio con una ferma ventennale ?

Un principio condivisibile che tiene conto del peculiarità dello status militare ma che nello stesso tempo manca, però,  di una precisazione fondamentale. Cosa faremo fare  ai nostri militari dopo venti anni di servizio ? Si sarà disposti a riconoscere la peculiarità dello status come avviene in molti Paesi europei ricollocando il personale in altre mansioni pubbliche o saranno semplicemente collocati in congedo ?

In verità ci saremmo aspettati, quindi,  di leggere  Linee Guida più lineari, meno ermetiche nei contenuti, più concrete nella analisi dello scenario politico-strategico e più esplicite sul modo con cui si intenderà interagire con le realtà internazionali di cui l’Italia fa parte. Solo un cenno sfumato e generalizzato ai doveri conseguenti all’appartenenza alla NATO, nessun  riferimento preciso alle Nazioni Unite, poco, e comunque nulla di concreto,  all’Unione Europea.

Non si legge nemmeno  la volontà di affrontare temi importanti, come quello di un’auspicabile modifica della Costituzione che consenta al Consiglio Supremo di Difesa di operare anche come Consiglio di Sicurezza, a totale  vantaggio della sicurezza nazionale qualora  minacciata da eversione interna o terroristica, soluzione già in essere in molti Paesi europei.

Nessun cenno nemmeno sull’opportunità di prevedere una Riserva / Guardia Nazionale dislocata sul territorio su base areale, pronta e formata per essere impiegata anche Fuori Area in interventi di  stabilizzazione a “bassa valenza” e sul territorio nazionale anche e soprattutto in caso di Pubbliche Calamità. Si fa, invece, riferimento all’intenzione di preparare le nuove FFAA  “ad uno stretto coordinamento con il personale diplomatico e di altri dicasteri, ma anche di organizzazioni internazionali, governative e non”.

Una dichiarazione di intenti, questa ultima, che per specifica esperienza pregressa di chi scrive potrebbe essere destinata a fallire in quanto dichiarata unilateralmente in un documento alla cui stesura non è detto che abbiano fornito un supporto di pensiero i rappresentanti delle realtà con cui si auspica il coordinamento. Una scelta completamente diversa da quelle adottate da altri Paesi come la Francia, la Germania la Gran Bretagna e gli USA.

 Si legge, invece, che probabilmente l’intero Libro Bianco sarà elaborato sviluppando un teorema fondato su astrusi acronimi matematici ( “I” ed “E”,  elevato alla terza potenza). Ossia “Interforze, Internazionale, Interoperabile” e che sia “Efficace, Efficiente ed Economico”- Parametri  poco coerenti fra loro nel momento che la collocazione internazionale e l’interoperabilità mal si coniugano con l’economicità e l’efficienza. Peraltro nulla è detto sulla riorganizzazione formativa che dovrebbe portare a conseguire un siffatto obiettivo attraverso un addestramento attualizzato e multidisciplinare, sicuramente costoso ma indispensabile in termini di costo / efficacia. Nemmeno, poi, un  riferimento all'esigenza di formazione e sviluppo nel campo della capacità di una "cyberdefence",  autonoma nella produzione dei sistemi di sicurezza e che accresca l'affidabilità dei sistemi informativi dello Stato e dei grandi operatori.

Quasi certamente un’elaborazione affidata ad una cerchia ristretta di “pensatori” dando anche poco spazio agli Stati Maggiori  di Forza Armata, seguendo un metodo di lavoro molto diverso da quello applicato nei maggiori Paesi europei. In Francia, per esempio, per la stesura del Libro Bianco della Difesa avviata nel 2013 per realizzare un modello di difesa valido fino al 2025  è stata istituita una Commissione composta da 3 deputati (Presidente della Commissione Difesa e due membri della stessa) e 3 senatori (Presidente e due vicepresidenti della Commissione Esteri), responsabili delle amministrazioni della Difesa, degli Affari Esteri, dell'Economia e finanze, dello Sviluppo produttivo, dell'Interno, della Ricerca, nonché numerose personalità qualificate  del mondo scientifico (come la Direttrice dell'EDA omologo francese del CNR), dell'Università, Consiglieri di Stato e della Corte dei Conti. Inoltre ne hanno fatto parte anche  un rappresentante della Germania e uno del Regno Unito, per sottolineare l'apertura dei lavori ad una piena dimensione europea ed internazionale.

La Commissione francese incaricata della stesura del Libro bianco ha sviluppato il lavoro istituendo  gruppi di lavoro tematici, quali: contesto strategico, quadro d'azione e obiettivi politici, sicurezza nazionale, informazione, strategia di ingaggio e coerenza dei sistemi di forza, tecnologia e industria, economia della difesa, gli uomini e le donne della difesa e sicurezza nazionale

Inoltre, il Ministero della Difesa francese ha dato ampia voce al proprio personale aprendo nella rete Intranet (Intradef) un sito dedicato alla riflessione sul Libro Bianco consentendo  al personale civile e militare della Difesa (compresa la Gendermerie), di seguire i lavori ed esprimere pareri, anche sotto pseudonimo. Contributi di pensiero, soprattutto in materia di risorse umane, raccolti e consegnati alla Commissione che le ha recepiti ed inseriti nel Libro Bianco.

Leggendo le Linee Guida del Libro Bianco della Difesa italiana.  non emerge, invece, un concorso di pensiero così allargato. Piuttosto, si ha l’impressione che sia mancato l'auspicabile coagulo di expertise dei vari attori protagonisti nel settore sostituito dall'enunciazione di intenti, riconducibili ad  un gruppo di “intelligenze illuminate” non per esperienza specifica, ma per incarico istituzionale rivestito.

Un dubbio rilevante indotto soprattutto dall’assenza di riferimenti su come si intenda rivitalizzare l’apparto formativo militare e come si intenda gestire il ruolo di una futura rappresentanza militare. Un COCER del domani che ormai in tutte le FFAA delle democrazie evolute costituisce una vera e propria rappresentanza sindacale.

Molti, quindi,  i “buchi neri” nell’ermeticità delle Linee Guida. In particolare come accennato in precedenza nel settore della formazione ed in quello della rappresentanza militare. Per quanto attiene all’aspetto addestrativo poco viene detto e con ogni probabilità poco spazio troverà nella stesura finale del Libro Bianco. Si parla solo di “elemento umano che è e rimarrà centrale in ogni soluzione potenzialmente individuabile al fine di rendere pienamente efficace il modello valoriale ed operativo che sarà definito appare ineludibile interrogarsi sulla coerenza, attualità ed economicità dell’attuale impostazione formativa ….”. Concetti ermetici che poco o nulla dicono.

Nulla è specificato sul diritto dei militari di poter avere una rappresentanza sindacale, disattendendo un aspetto importante della futura riorganizzazione di FFAA del futuro, destinate ad avere un ruolo attivo in una democrazia moderna. Tutto ciò  nonostante che i diritti sindacali rappresentano una legittimità costituzionale anche per i militari e nonostante i pronunciamenti della Corte Europea dei diritti umani che ha depositato due sentenze affermando in entrambe la violazione dell’Articolo 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo da parte degli Stati che vietano la costituzione di sindacati o di associazioni professionali tra i militari.

Un diritto sancito fin dal 1981 dalla “Convenzione relativa alla protezione del diritto di organizzazione e alle procedure per la determinazione di impiego della Funzione pubblica entrata in vigore il 25/02/1981, (Convenzione OIL C151/78), che all’articolo 1 riporta testualmente “La presente convenzione si applica a tutte le persone impiegate dalle autorità pubbliche, nella misura in cui non vengono loro applicate delle disposizioni più favorevoli contenute in altre convenzioni internazionali del lavoro” e puntualizza “La legislazione nazionale determinerà la misura in cui le garanzie previste nella presente convenzione si applicheranno alle forze armate e di polizia”.

Se questo tipo di dialogo sociale ben regolato funziona in Danimarca, Svezia, Paesi Bassi, Germania e molti altri Paesi, non si comprende perché non dovrebbe essere possibile anche in Italia. Peraltro, il Presidente di Euromil,  l’organizzazione che rappresenta sindacati e associazioni militari in Europa, ha recentemente espressamente dichiarato che l'Italia dovrebbe prevedere i sindacati per i militari non perché "l'Europa lo vuole", ma perché l'Italia rispetta  la legislazione internazionale!
 
Solo un cenno al problema della “peculiarità militare”,  ma zero su come essa potrà essere garantita in assenza di rappresentanze di categoria con vere e proprie connotazioni sindacali. Il problema viene affrontato, invece,  con una circonlocuzione di parole che nulla chiariscono quando si parla di “tutela e valorizzazione e dei vincoli di ordine umano e sociale che la stessa (peculiarità militare) sottende”. 

L’articolo 68 delle Linee Guida esprime, piuttosto, un concetto arcaico laddove tratta il riconoscimento della peculiarità militare con una frase che non è azzardato definire sibillina:  “riconoscendo a tale condizione una differenza tanto  marcata dal pubblico impiego da superare il rapporto di genere e specie che fino ad ora ha condizionato entrambi i domini”. Una dichiarazione di principi che lascia intendere l’intenzione dell’assoluta esclusione della possibilità dell’istituzione di un sindacato militare che garantisca dignità e morale al nostro personale. Si è preferito, invece, ritornare su un concetto arcaico, quello di   "superare il rapporto di genere e di specie" che rimanda le FFAA indietro di almeno 20-30 anni, lasciando intendere che tutto sarà attualizzato con decisioni verticistiche senza coordinarsi  con una  rappresentanza che rappresenti l’elemento vitale di qualsiasi apparto militare, le risorse umane.

Un diritto che invece almeno 23 Nazioni riconoscono alle loro FFAA e che lasciano ancora una volta quelle italiane al “palo” nonostante che sempre di più saranno destinate a cooperare con realtà che prevedono nel loro ambito l’esistenza di organismi con il compito di tutelare la dignità del personale.

Un documento che ancora una volta evidenzia la volontà di riscrivere l’organizzazione del sistema Difesa / Sicurezza del Paese affidandola principalmente al pensiero di realtà politiche, escludendo la riflessione di altre oggettività nazionali alle quali si fa puranche riferimento come possibili componenti del network operativo del futuro e, soprattutto, escludendo il coinvolgimento del COCER che rappresentala la realtà delle nostre FFAA nelle caserme, negli aeroporti e sulle navi. 

Un’unica speranza : una volta che il Libro Bianco sarà assegnato alla valutazione del Parlamento, si auspica che emergano queste dicotomie e si ricorra almeno al parere consultivo di chi in base all’esperienza acquisita potrà fornire un supporto di pensiero costruttivo sulle esigenze di formazione  delle nostre FFAA e di coloro che come parte attiva dei COCER vivono quotidianamente i problemi ed i disagi dei colleghi operativi.

Un lavoro integrativo assolutamente necessario, se si vorrà evitare che ancora una volta le nostre FFAA siano “diverse” da quelle di altri Paesi con le quali saranno sicuramente chiamate ad operare all’emergenza.

Fernando Termentini, 13 aprile 2015 - ore 11,00

giovedì 9 aprile 2015

La minaccia dell’ISIS per l’Europa


Ripropongo una mia modesta analisi pubblicata oggi sul giornale online "INTERRIS" (http://www.interris.it/2015/04/09/53519/intervento/lisis-ora-minaccia-leuropa.html), in quanto considero il problema quanto mai attuale e che non può essere in alcun modo sottovalutato.
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L’ISIS si sta trasformando in una realtà complessa. Non più un’accozzaglia di fanatici jihadisti ma una vera e propria struttura che minaccia sempre di più l’Europa avvicinandosi ai sui confini da Occidente e da Oriente.
 
Le truppe del Califfato ormai si affacciano sulle rive del Mediterraneo dalla Libia e dalla Siria dove stanno consolidando le loro posizioni avendo raggiunto la periferia di Damasco ed occupato il campo profughi di Yarmouk dove giungono notizie di esecuzioni sommarie.

Ormai non si può più parlare di minaccia isolata di gruppi di fanatici jihadisti che può essere rapidamente eliminata bombardandola dall’alto. Piuttosto il problema va analizzato sul piano globale perchè il Califfato sta diventando giorno dopo giorno il riferimento politico ed operativo di altre organizzazioni eversive.

Un’aggregazione accumunata dall’odio verso l’Occidente ed in particolare nei confronti del mondo cattolico, che rapidamente si consolida sul piano militare arruolando simpatizzanti in tutto il mondo e sotto il profilo politico, coagulando nel suo interno altre organizzazioni con vocazione jihadista.  

La prima e forse più importante Al Qaeda il cui Capo Ayman al-Zawāhirī ha pubblicamente  manifestato l’intenzione di sciogliere la vecchia struttura originata  da Bin Laden e confluire nel Califfato per rivitalizzare la jihad terroristica contro l’Occidente.

Una decisione strategicamente importante e che potrebbe minacciare la sicurezza internazionale e che è, peraltro, seguita da altri gruppi eversivi, quali :

-        gli  Al-Shabaab  (i Giovani", parola originata dall'arabo al-Shabāb, La Gioventù), operativi in Somalia, autori il 2 aprile della strage di studenti  nel Campus universitario di Garissa in Kenia dove almeno 148 persone sono state massacrate, per lo più studenti cristiani;

-        i  Boko Haram (letteralmente significa «l'istruzione occidentale è proibita»), organizzazione terroristica jihadista diffusa nel nord della Nigeria.

-        Al Qaeda nel Magreb (AQIM), un  Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento, nato negli anni novanta, nel corso della guerra civile algerina con lo scopo di istituire in Algeria, già 20 anni orsono,   uno stato islamico. Gruppo terrorista che ha avuto un ruolo  non secondario nella  guerra civile in Mali.

Il quadro di situazione che si delinea diviene, quindi, ogni giorno più complesso ed aumenta  la minaccia latente nei confronti dell’Europa che per posizione geografica è a ridosso delle aree geostrategiche presidiate dall’ISIS e dai possibili alleati.

Una minaccia che incombe ormai sul piano globale e si richiama a principi estremi in cui è dominante la  regola che devono essere cancellate le vestigia delle millenarie culture che ci hanno preceduto e cancellata,  con veri e propri atti di genocidio,  l’esistenza dei cristiani.

Di fronte a questi scenari è  d’obbligo reagire non solo a parole,  per difendere i cristiani sparsi nel mondo e non permettere all’ISIS di continuare a distruggere i resti  della storia millenaria del mondo e riaffermare i diritti guadagnati nei secoli dall’umanità. Primo fra tutti quello di scegliere la propria religione e la parità di diritti fra uomini e donne.

Se per ottenere tutto ciò ci fosse bisogno anche dell’uso delle armi non bisogna esitare ricordando che la stessa Chiesa Cattolica riconosce che “Dalla difesa personale possono seguire due effetti, il primo dei quali è la conservazione della propria vita; mentre l'altro è l'uccisione dell'attentatore ».  « Nulla impedisce che vi siano due effetti di uno stesso atto, dei quali uno sia intenzionale e l'altro preterintenzionale » (San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II,).

La legittima difesa, quindi,  oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri e la difesa del bene comune esige che si ponga l'ingiusto aggressore in stato di non nuocere.

Fernando Termentini, 9 aprile 2015, ore  15,00