domenica 7 agosto 2016

L’atto terroristico, azione demenziale o evento organizzato?

Ormai, non  passa giorno senza che non si abbia notizia di atti eversivi che si verificano in varie parti del mondo. Eventi cruenti con morti, feriti e distruzioni, compiuti anche da soggetti isolati che il più delle volte vengono affrettatamente definiti come persone affette da disturbi mentali indotti da disagio sociale.

Semplificazioni quasi sempre destinate ad  essere smentite dai fatti e dalla storia dei personaggi convolti. Chi ferisce passanti con un machete, chi si lancia a folle velocità su pedoni inermi, chi si fa esplodere in mezzo alla gente, sicuramente è un personaggio la cui struttura mentale è “terreno fertile” per accogliere indottrinamenti estremi, ma non rappresenta la condizione sostanziale perché l’individuo diventi un operatore del terrorismo.

Il terrorista, infatti, per garantire il successo della propria azione deve possedere lucidità mentale, concentrazione e preparazione, caratteristiche sicuramente non proprie di soggetti con problemi mentali.

Definire, quindi, costoro “pazzi” è un grave errore di valutazione, destinato ad amplificare il vantaggio che caratterizza qualsiasi azione terroristica, primo fra tutti l’effetto sorpresa. Piuttosto, per affrontare qualsiasi evento eversivo con concretezza e prepararsi a ridurre la probabilità di una sua ripetizione, è necessario dare una risposta immediata e concreta che derivi da attente analisi escludendo qualsiasi semplificazione dovuta a giudizi affrettati. Il tutto cercando di non turbare il regolare svolgimento della vita sociale per non favorire lo scopo principale che i ogni terrorista si prefigge, creare panico ed incertezza fra la gente.

Poche, semplici predisposizioni anche temporanee, ma che escludano sempre la “demenza” come causa scatenante dall’evento terroristico, ma una serie di contromisure che lascino intendere al possibile avversario - sicuramente attento alle contro mosse del nemico - la determinazione e la capacità di prevenzione e repressione. Nello stesso tempo adeguare e testare ogni possibile tecnica e tattica attendista, ma fronteggiare le posizioni ostili con una vera e propria pianificazione di contingenza che consenta di prevenire e, all’emergenza, di reagire il più efficacemente possibile.

Uno degli atti di contrasto fondamentali è lo studio delle possibili azioni delle organizzazioni terroristiche. Deve essere sviluppato senza condizionamenti politici o diparte, coniugando la strategia difensiva con quella offensiva.

Una serie di iniziative complesse che devono partire da un’attenta e puntuale formazione degli Operatori che si occupano di sicurezza, sviluppate tenendo conto dei nuovi scenari internazionali e che coinvolgano anche la popolazione civile attivando un’ informazione mirata affidata ad esperti del settore che gestiscano semplici messaggi a livello spot televisivo, richiamandosi a modelli ormai consolidati come quelli israeliani.

Nel contempo, “studiare e monitorare” l’approccio terroristico immedesimandosi nelle scelte operative che un’organizzazione eversiva potrebbe  sviluppare, in particolare nella scelta degli obiettivi, simboli e persone che appartengono a determinate categorie sociali,     etniche, e religiose.

Quanto sta avvenendo in questi giorni dimostra, infatti, che le scelte terroristiche sono in continua mutuazione. Almeno per ora non attacchi kamikaze con esplosivi, ma persone armate di coltello che colpiscono apparentemente casualmente e non si sottraggono alla reazione dell’avversario.  E’ accaduto a Rouen, a Londra, in Germania ed ora in Belgio, sicuramente contro obiettivi non casuali. Un prete, una donna israeliana ed una degli Stati Uniti, un gruppo di turisti giapponesi e due poliziotte in servizio di vigilanza.

Azioni improvvise destinate a richiamare una copertura mediatica immediata, pronta a dare risaltò all’evento e, se del caso, ad amplificarne i contenuti esaltando l’atto terroristico.

A differenza del passato, quando le organizzazioni eversive  si richiamavano a  rivendicazioni politiche a carattere nazionale, oggi il terrorismo moderno rivendica qualcosa di globale per ottenere una riforma radicale della società che includa motivazioni di rigetto dell’ideologia colonialista, richiamandosi a “dogmi” di origine leninista per affermare la validità delle azioni rivoluzionare.

I terroristi, siano essi cellule di un nucleo eversivo o lupi solitari, non sono sicuramente dei pazzi nè tantomeno disadattati che agiscono sotto un impulso improvviso ed incontrollato. Bensì gente preparata a sabotare e distruggere, guidati da ferrei convincimenti  religiosi in cui domina la convinzione che l’avversario da colpire è un apostata o un miscredente e loro hanno il “mandato divino” di divulgare un credo che giustifichi l’uso della violenza in nome di una “guerra santa”.

In questo quadro di situazione, affermare che i network terroristici siano formati da disadattati mentali rappresenta una semplificazione inaccettabile e pericolosissima, in particolare se diventa vocabolario corrente dei media. Piuttosto sarebbe auspicabile disporre di una comunicazione che informi come costoro siano, invece,  gente preparata sul piano militare ed ideologico, convinti che l’avversario da colpire sia un miscredente da annientare.

Fernando Termentini

7 agosto 2016, ore 22,00

martedì 2 agosto 2016

Terrorismo, si continua a negare l’evidenza

In Occidente l'onda terroristica che ha caratterizzato il mese di luglio  immediatamente dopo i fatti di Dacca, al momento sembra esseri fermata anche se l'ISIS risponde alle parole di conciliazione della Chiesa Cattolica minacciando di distruggere i Crocefisso nel mondo.

Non altrettanto avviene nelle "aree geografiche calde" come l'Afghanistan, la Siria e l'Iraq dove gli attentati si susseguono giorno dopo giorno, quasi un segnale di “allerta”  per le cellule della Jihad sparse nel mondo. 

In Afghanistan il 23 luglio a Kabul in piazza Deh Mazang due attentati suicidi rivendicati dall'ISIS, con 80 morti ed i ferimento di 250 persone. Ancora, scontro a fuoco a Kot ed il 31 luglio l'esplosione di un camion bomba di fronte ad un albergo che ospita stranieri e militari della NATO.

In Iraq continua lo stillicidio degli attentati kamikaze. il 24 luglio un attentatore si è fatto  esplodere nei pressi di un ceck point a ridosso di un quartiere sciita a nord di Bagdad. Il 25 un 'autobomba è esplosa nei pressi di un altro posto di controllo.

In Mali il 21 luglio ci sono stati molti scontri a fuoco tra ribelli tuareg della CMA (Comitato dei Movimenti dell'Azawad) coalizione che riunisce molti  gruppi che rivendicano autonomie. 

Nonostante tutto questo  moltissime voci anche di spessore, quotidianamente si ostinano a negare l'evidenza. Se lo fanno per tranquillizzare le persone é un errore. Infatti, divulgare notizie tranquillizzanti in un momento di estrema incertezza induce una senso di “falsa sicurezza” e distoglie l’attenzione della popolazione verso un pericolo reale con cui é costretta a convivere. Israele insegna, invece, che i cittadini devono essere preparati e pronti a cogliere qualsiasi segnale che induca a sospettare che ci sia il pericolo di un attacco terroristico.

Altri si rifiutano di accettare la realtà per motivi politici, ma il risultato è sempre lo stesso e porta ad ignorare una situazione che, almeno per ora, dovrebbe entrare a far parte del nostro DNA.

Cercheremo, quindi di dimostrare questa evidenza ricorrendo ad un’analisi dei fatti non condizionata da preconcetti di natura socio / religiosa. Solo un'affermazione di base: lo Stato deve essere laico ed i rappresentanti di culto a qualsiasi livello e di qualsiasi credo religioso essi appartengano, siano devono esimersi dal negare ciò che invece é evidente e palesato dagli eventi.

Massimo rispetto per le Autorità religiose, civili ed istituzionali, ma quanto è accaduto ed continua ad avvenire in molte parti del mondo impone di mettere da parte i dogmi che portano a sconfessare l'evidenza dei fatti.

Se, invece. la negazione del pericolo terroristico deriva dal fatto che domenica 31 luglio venticinquemila mussulmani sui cinque milioni presenti in Italia, ha partecipato a funzioni religiose nelle nostre chiese, siamo di fronte ad un pragmatismo pericolosissimo degno di una cultura tradizionalista e demagogica, assolutamente pericolosa in questo momento. Alla stessa maniera affrettarsi a definire "psicopatici" gli attentatori come avvenuto in occasione degli ultimi atti eversivi distoglie l'attenzione da una realtà che si ripete da centinaia di anni. Uccisioni e vessazioni per opera di esponenti dell'Islam radicale impegnati a distruggere qualsiasi fede  religiosa diversa da quella mussulmana.  
Un target che i leader islamici hanno pianificato di raggiungere nel medio / lungo periodo ed a cui nel frattempo si avvicinano attraverso la strada del terrorismo per paralizzare con la paura tutto l'Occidente, destabilizzandolo anche attraverso l’immigrazione di massa.

I terroristi, infatti, sono veri e propri mujaheddin a cui è affidato un compito fondamentale, quello di indebolire la resistenza dell'avversario sul piano fisico e di indurre divisioni  su quello politico. Una pratica che da sempre caratterizza il mondo islamico attraverso la "taqiyya" (bugia, dissimulazione). Una pratica finalizzata a plagiare i non islamici (i miscredenti), attraverso messaggi mendaci, finalizzati a convincere dell’ assoluto pacifismo dell'Islam.
Un concetto quello della tagyya che è possibile trovare anche nel Corano (3.28), un versetto che nel nome di Allah allontana i musulmani dagli "infedeli" ed i cui contenuti si richiamano all'affermazione di machiavellica memoria "il fine giustifica i mezzi". Ossia "tu islamico puoi accettare un cristiano piuttosto che un buddista come amico" solo se costui può essere di aiuto per difendere l'Islam.

Altri versetti,  invece, inducono alla violenza contro i non islamici. (2-191) "Uccidete gli infedeli ovunque li incontriate. Questa è la ricompensa per i miscredenti", (2.216) "Vi è stato ordinato di combattere, anche se non lo gradite".

“Dogmi” che confermano l'evidenza del pericolo terroristico islamico, attualizzato da realtà incontrovertibili fra cui posiamo ricordare le principali. Erano mussulmani i Beltway Snipers, il tiratore di Fort Hood, gli attentatori del treno a  Madrid e coloro che hanno attaccato il al Night Club di Bali.

Ed ancora, erano mussulmani gli attentatori alla metropolitana di Londra, gli aggressori al Teatro di Mosca, coloro che hanno abbattuto il volo PAN-AM ed i kamikaze di Beirut, dell'Ambasciata USA in Libia e coloro che uccisero gli atleti israeliani in occasione delle Olimpiadi a Monaco di Baviera.

Erano anche islamici gli attentatori al  World Trade Center, gli aggressori a Mumbai in India come i dirottatori della nave da crociera Achille Lauro.

Per contro non esiste qualsiasi  problema di convivenza con i Buddisti che vivono con gli indù, con gli Indù che convivono con i cristiani e con gli ebrei piuttosto  che i cristiani che vivono con Shintos o gli Shintos che vivono con i confuciani, gli ebrei che vivono con Atei, gli atei che vivono con i buddisti.

Ci sono, invece, problemi di  convivenza fra musulmani e indù, buddisti cristiani, ebrei ed  Atei.

Realtà di intolleranza portate avanti in maniera cruenta da organizzazioni eversive islamiche come ISIS, Al-Qaeda, i Talebani: Hamas: Hezbollah, Boko Haram, Al-Nusra, Abu Sayyaf, Al-Badr, Fratelli musulmani: Lashkar-e-Taiba, Fronte per la Liberazione della Palestina, Ansaru, le Brigate Jemaah Islamiyah, le Brigate Abdullah Azzam Brigate, CAIR.

Un quadro di situazione che coniugato con i contenuti del Corano smentisce coloro che rinnegano l’evidenza del rischio terroristico e tutte le forme di intolleranza religiosa e culturale. Un rifiuto preconcetto che porta a non accettare, almeno sul piano probabilistico,  una realtà che intacca le condizioni di sicurezza della popolazione.

Peraltro i successi della coalizione internazionale contro l'ISIS in  Iraq ed in Siria ed ora anche in Libia, aumentano il rischio di possibili attentati terroristici "di reazione" in Europa e negli Stati Uniti. Lo stesso capo della FBI ha ammesso recentemente che è molto difficile fermarli od individuare le cellule specialmente se isolate.

Invece di negare,  sarebbe più opportuno impegnarsi a divulgare i consigli di Ely Karmon, uno dei maggiori esperti israeliani  di antiterrorismo. Karmon suggerisce di non ignorare o sottovalutare la minaccia ma di essere consapevoli che l'atto terroristico sia qualcosa che può avvenire in qualsiasi momento e coinvolgere tutti.

E’ quindi assolutamente opportuno non nascondere la testa sotto la sabbia, ma guardarsi intorno con vigile attenzione, segnalando qualsiasi particolare diverso dall’usuale che potrebbe indurre a pensare ad un atto terroristico.  

Fernando TERMENTINI
2 agosto 2016, ore 12,00