giovedì 11 febbraio 2010

Afghanistan, la Conferenza di Londra

Il 28 gennaio 2010 si è svolta a Londra la Conferenza internazionale per l’Afghanistan con lo scopo di individuare un piano e la relativa “road map” per attribuire in tempi brevi al Governo afgano la responsabilità della gestione della sicurezza nel Paese. Ai lavori, fortemente voluti dal Presidente francese Sarkozy e da quello britannico Brown, hanno partecipato le rappresentanze di oltre 70 Paesi e di Istituzioni internazionali. Il Presidente Karzai ha chiesto alla comunità internazionale il sostegno pieno e unitario nella lotta al terrorismo, ed ha indicato sei aree d'intervento prioritarie.
In particolare :
• La pace, la riconciliazione e la reintegrazione.
• La sicurezza.
• La buona “governance” da perseguire a tutti i livelli di governo.
• La lotta contro la corruzione.
• Lo sviluppo economico nei settori dell’istruzione, della sanità, dell’elettricità e dell’agricoltura.
• La cooperazione regionale soprattutto per quanto attiene al transito delle merci, alla lotta al contrabbando di armi e droga ed alla sicurezza delle frontiere.
Al termine dei lavori la comunità internazionale ha confermato il proprio impegno a favore dell’Afghanistan ed ha affermato la propria determinazione di impedire il ritorno al potere dei Talebani. E’ stata inoltre riaffermata la volontà dei Paesi donatori di prevedere che entro due anni almeno il 50% delle donazioni economiche siano direttamente assegnate al Governo di Kabul o tramite un “Multi donor Trust Funds”. Molti hanno apprezzato i risultati definendoli altamente positivi, ma una maggiore cautela sarebbe d’obbligo perché non è stato nemmeno sfiorato un aspetto che caratterizza il Paese ed è decisivo in materia di sicurezza: la coltivazione del papavero da oppio, la raffinazione dell’eroina e il commercio di droga. Un’omissione che potrebbe vanificare qualsiasi sforzo per raggiungere la pace, anche se i Talebani abbandonassero le azioni terroristiche, deponessero gli armi e lasciassero definitivamente Al Qaida. La storia, infatti, insegna che in Afghanistan è difficile garantire sicurezza interna se i Signori della Guerra ed i commercianti di eroina continuano ad operare indisturbati imponendo le loro regole. L’agricoltura in Afghanistan ha, peraltro, sempre rappresentato la molla trainante di tutta l’economia del Paese la cui ripresa, allo stato attuale, non può sicuramente essere garantita facendo leva su tecnologie progredite asservite ad una produzione industriale credibile. Il contadino afgano ha, però, sempre coltivato il papavero da oppio e come più volte denunciato ripetutamente dall’ONU, si rifiuta di convertire il prodotto dei propri campi sostituendo il papavero con altre produzioni che, invece, potrebbero favorire la ripresa economica ed il benessere della popolazione. Un rifiuto determinato dalla realtà locale, perché se ciò avvenisse, coloro che da sempre gestiscono il controllo del territorio difficilmente garantirebbero il libero movimento delle derrate agricole. Conseguentemente, gli agricoltori ne uscirebbero sicuramente impoveriti e ritornerebbero di buon grado ad occuparsi di papavero come peraltro avvenuto ciclicamente in passato. La storia dell’Afghanistan, infatti, ci riporta che solo i Talebani nell’agosto del 2001 hanno disposto e fatto eseguire la distruzione di tutte le coltivazioni del papavero, apparentemente per dar seguito ad una raccomandazione delle Nazioni Unite ed ottenere, quindi, un sostegno economico per lo sviluppo dell’agricoltura. Lo scopo, però, era forse diverso e finalizzato piuttosto a garantire ai Signori della Guerra e ai Capi Clan delle aree Tribali pakistane l’esclusiva disponibilità di eroina ed oppiacei già stoccati nei magazzini e per garantire alla nomenclatura di Al Qaida la necessaria protezione ed il supporto in previsione di quanto sarebbe accaduto dopo l’11 settembre. I magazzini ormai sono vuoti, serve altro oppio e qualsiasi ostacolo è combattuto sul piano dello scontro armato ricorrendo ad azioni malavitose come i sequestri di persona o peggio attacchi terroristici che sempre più spesso coinvolgono anche la popolazione. Forse proprio per questo Karzai ha proscritto l’uso del nitrato di ammonio, sostanza base per la realizzazione di esplosivi artigianali, ma il provvedimento non basterà se le azioni militari finora svolte dal Contingente della NATO non si trasformeranno in attività di “polizia internazionale” con l’obiettivo di scardinare in modo definitivo la coltivazione del papavero. Una nuova missione che potrebbe rappresentare la giusta maturazione dell’intervento armato fino ad ora svolto e che garantirebbe un serio contrasto anche al terrorismo internazionale che, sicuramente, dal commercio della droga e dalla sua disseminazione sui mercati del mondo occidentale non può che trarre beneficio in termini economici e politici. Se questo obiettivo non sarà raggiunto qualsiasi sforzo potrebbe essere vanificato. Forse termineranno o almeno diminuiranno gli attentati terroristici degli insorti, ma aumenterà l’uso di IED artigianali da parte di chi ha sempre gestito le sorti dell’Afghanistan in stretto collegamento con i clan delle Aree Tribali pakistane, con apparati terroristici esterni all’Afghanistan e con strutture di Al Qaida. La decisione, infine, di coinvolgere direttamente il governo centrale nella gestione dei finanziamenti internazionali potrebbe essere finanche dannosa se prima non si distruggerà l’economia legata al traffico di droga, considerando che tuttora è viva e radicata la connivenza di molti apparati ministeriali proprio con i Clan che gestiscono sul territorio il commercio di sostanze stupefacenti e di armi.



11 febbraio 2010

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