lunedì 15 marzo 2010

Gli aiuti ONU in Somalia

Domani 16 marzo dovrebbe essere consegnata al Consiglio di Sicurezza ONU una relazione riservata sulla gestione degli aiuti delle Nazioni Unite destinati alla Somalia per assicurare la sopravvivenza di circa 2 milioni e cinquecentomila somali sparsi su tutto il territorio e da anni sotto la mannaia della guerra civile. Il Programma Alimentare delle Nazioni Unite (PAM) in Somalia ogni anno gestisce circa 450 milioni di dollari per garantire cibo e quanto altro necessario ad una popolazione priva di tutto. Una cifra assolutamente rilevante, circa il 50% delle risorse annuali amministrate dall’Agenzia per portare aiuti in tutto il mondo. Non tutte le risorse economiche sono impiegate per assicurare il cibo e gli aiuti che occorrono. Il 30% è destinato a garantire le retribuzioni e la logistica di funzionamento del personale delle NU che opera nel Paese. Un 10% per pagare i trasporti delle derrate alimentari e degli altri aiuti che in teoria dovrebbero raggiungere tutta la popolazione. Questa attività è gestita con criteri monopolistici da tre famiglie locali di cui una molto vicina ai Talebani di Al Qaeda dislocati in Somalia, gli Sheebaab, da sempre oppositori del governo provvisorio. Gli aiuti arrivano via mare ai principali porti di Mogadiscio, Merca, Borraso, trasportati da navi scortate fino in rada dalle marine militari internazionali schierate per contrastare la pirateria nel Golfo di Aden. Nei porti il materiale viene preso in carico dai trasportatori che dovrebbero raggiungere i punti più reconditi della Somalia, scortati da un servizio di sicurezza garantito da un’organizzazione molto vicina ai “Talebani somali” che allo scopo ricevono congrui compensi (si parla di 40.000 US$ a viaggio). Gli autocarri, però, appena lasciate le banchine portuali si disperdono sul territorio, la merce raggiunge i magazzini di clan locali per ritornare di lì a poco sui mercati senza nemmeno che sia strappata l’etichetta che riporta la scritta “UN Aids” (Aiuti delle Nazioni Unite). Olio, riso, frumento, farina vengono esposti sui carrettini dei mercatini delle città. in particolare di Mogadiscio nei pressi del triste “Quarto Miglio” vicino ai resti di un arco di trionfo, retaggio della presenza coloniale italiana. La popolazione per sopravvivere deve quindi ricomprare ciò che la comunità internazionale ha fatto arrivare come dono, assicurando una fonte di reddito significativa che giornalmente rimpingua le casse dei clan locali, molti dei quali affiliati ad Al Qaeda. Una realtà nota a chi conosce quelle aree per esservi vissuto a lungo e che improvvisamente, quasi fosse qualcosa di nuovo e sconosciuto, attira l’attenzione dei maggiori organi di informazione nazionali ed internazionali. Talmente strana ed inopinata da diventare oggetto di una relazione specifica per il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, come se si trattasse di un nuovo scandalo fra i tanti che caratterizzano il secolo e di cui le NU non sono indenni. Ma non è così. Piuttosto è calzante affermare che “nulla di nuovo è sotto il sole”, nemmeno la latitanza degli organi di controllo internazionale che dovrebbero gestire gli aiuti e che invece si limitano ad interventi sporadici e non esercitano il loro mandato attraverso un costante e capillare monitoraggio. La realtà somala proposta come novità invece non è altro che espressione attualizzata di quanto è sempre avvenuto in quel paese, fin dal lontano 1993 anche in presenza delle truppe internazionali che parteciparono alla operazione “Restore Hope” (Ridiamo speranza) voluta proprio dalle Nazioni Unite (http://www.fernandotermentini.it/somalia.htm). Anche allora gli aiuti arrivavano via mare, la merce era caricata su automezzi che subito dopo essere usciti dal piazzale del Porto Vecchio di Mogadiscio sparivano nel paese inghiottiti dai magazzini dei potenti di allora. Il trasporto era assicurato da un’organizzazione gestita da un tale Signor Marocchino, italiano di nascita e somalo di adozione, venuto improvvisamente alla ribalta in occasione dell’omicidio di Ilaria Alpi e del suo fotoreporter. Le derrate ricomparivano di lì a qualche giorno sugli stessi mercati di oggi, come fotografie dell’epoca evidenziano, con criteri regolati da Aidid ed Alimadi, i due Signori della Guerra che in quel tempo si erano spartiti Mogadiscio e quindi la Somalia. La novità di oggi rispetto al passato è rappresentata dal budget lievitato e dalle fazioni di Al Qaeda e dei fondamentalisti islamici che si sono sostituite alle milizie dei Signori della Guerra dell’epoca e dal fatto che il Signor Marocchino, se ancora presente in Somalia, divide il business insieme ad altri molto vicini ai Talebani. Una maggiore attenzione e controllo internazionale avrebbe evitato, forse, la sorpresa e la meraviglia di oggi a totale vantaggio della popolazione ed impedendo ad una componente significativa di Al Qaeda di radicarsi sul territorio e ricavare a danno dei somali risorse economiche utilizzabili anche per scopi terroristici. Invece, anche la Somalia, un tempo paese islamico moderato, deve subire “le regole del mullah Omar” ed alle donne è proibita qualsiasi attività, anche quella di lavorare all’interno delle organizzazioni ONU impegnate a garantire la sopravvivenza della popolazione. Un’errata valutazione della realtà di un paese del Corno d’Africa strategicamente importante per collocazione geografica ha permesso il consolidamento nell’area di una importante struttura terroristica che in parte si garantisce autofinanziamenti derivati da una poco attenta gestione degli aiuti internazionali. Una struttura terroristica ben organizzata pronta ad interfacciarsi con i fratelli che vivono in Yemen per il controllo del Golfo di Aden, arteria strategica per i rifornimenti energetici ed il commercio internazionale. Un processo forse già avviato dai pirati somali che ogni giorno perfezionano le loro tattiche ed incrementano il loro potenziale operativo con gli attacchi ai navigli commerciali, affinando le loro tecniche con le quasi quotidiane “prove generali”.


15 marzo 2010

1 commento:

Risk Security Assessment ha detto...

Interessante articolo. Anche il New York Times ne ha appena parlato. Le mandero' il link. Non sapevo francamente che il fenomeno avesse queste proporzioni.