venerdì 28 maggio 2010

Gli USA programmano di ampliare le operazioni militari segrete ?

Il New York Time ha pubblicato in prima pagina la notizia che gli USA hanno programmato di ampliare la portata delle loro azioni segrete in Medio Oriente ed in altre aree a rischio. Il quotidiano riferisce di una direttiva segreta firmata a settembre dal generale David H. Petraeus (nome ufficiale: «Ordine esecutivo per la creazione di una task force interforze per la guerra non convenzionale»), che autorizza l'invio di truppe per operazioni speciali americane in Nazioni del Medio Oriente e dell’Africa, siano esse alleate o nemiche, con lo scopo di raccogliere informazioni e stringere legami con le forze locali. La prescrizione sembra prevedere anche missioni di intelligence attraverso ricognizioni aeree per acquisire dati aggiornati che potrebbero aprire la strada anche a possibili attacchi militari in Iran. Disposizioni che avrebbero lo scopo di ampliare le attività militari clandestine per annientare i gruppi militanti eversivi che operano in Iran, in Arabia Saudita, in Somalia ed in altri paesi dove è radicata la presenza di militanti terroristici. Rispetto a quanto in precedenza previsto dall'amministrazione Bush, la nuova direttiva approva alcune forme di attività militari clandestine lontane dai Teatri di guerra e conferisce a questo tipo di azioni una maggiore sistematicità. Ciò consentirà nel breve termine di consolidare nelle varie aree geografiche vere e proprie strutture operative collegate fra loro da un network pronto a essere operativo in tempo reale per penetrare, smantellare, sconfiggere e distruggere Al Qaeda ed altri gruppi eversivi ad essa collegati. Cellule destinate anche a preparare "l'ambiente" in previsione di possibili futuri attacchi militari come avvenuto in passato in altre aree geografiche sensibili come i Balcani e l’Iraq. Nella direttiva di Petraeus è previsto di strutturare piccole squadre di militari in grado di colmare i vuoti informativi dell’Intelligence ufficiale in particolare per quanto attiene alle organizzazioni terroristiche ed ad altri tipi di minacce in Medio Oriente e dove sarà necessario prevenire i gruppi emergenti in procinto di preparare attacchi contro gli Stati Uniti. La direttiva prevederebbe anche azioni di intelligence per raccogliere informazioni sul programma nucleare iraniano e per individuare e contattare eventuali gruppi di dissidenti iraniani che potrebbero essere utili in caso di un possibile conflitto locale. Allo stato attuale non è dato da conoscere con esattezza quale tipo di operazioni sono state autorizzate, ma siamo, comunque, di fronte ad un segnale forte che indica come gli USA abbiano già gettato le basi per acquisire informazioni fondamentali per gestire un network mondiale antiterroristico orientato a compiere limitate azioni “preventive” ed acquisire le informazioni necessarie per sviluppare una pianificazione di contingenza anticipata, da applicare se Obama decidesse di attaccare l’Iran o qualche altro Paese fra quelli inseriti nella black list redatta in passato dal suo predecessore. Qualcosa è già cominciato con le “Special Operations” già avviate nello Yemen insieme all’Esercito locale e con attacchi missilistici di navi della Marina USA contro presunti nascondigli di militanti di Al Qaeda, per cercare di smantellare le cellule eversive presenti nella penisola arabica. Peraltro, gli USA prevedono di spendere più di 155 milioni dollari per equipaggiare le truppe yemenite con veicoli corazzati, elicotteri e armi leggere. Questo allargamento del ruolo delle forze armate potrebbe comportare rischi in quanto le attività previste potrebbero creare tensione nelle relazioni con governi amici degli USA, come l´Arabia Saudita e lo Yemen, oppure provocare reazioni di nazioni ostili come l´Iran e la Siria. Inoltre, se tutto fosse confermato nei termini con cui attualmente è proposto, esisterebbe il rischio oggettivo che i militari americani, avendo ruoli molto diversi da quelli bellici tradizionali, se catturati potrebbero essere trattati come spie e perdere ogni tutela prevista dalle Convenzioni di Ginevra. In ogni caso, le nuove iniziative dimostrano che si è ancora lontani dallo sconfiggere con metodi tradizionali il terrorismo internazionale e palesano come l’iniziale, ottimistico e per taluni aspetti, semplicistico approccio di OBAMA nei confronti della minaccia specifica stia rientrando in confini più concreti e realistici. Operazioni del genere sono attività silenti che prendono il posto della guerra, necessarie in particolare se chi le gestisce è un premio Nobel per la Pace al quale non è concesso il palese ricorso alle armi attraverso le proprie Forze Armate. Forse, non è un caso che proprio per questo l’amministrazione Obama ha deciso di autorizzare il Pentagono ad estendere la portata e la natura delle operazioni segrete in tutto il mondo lasciando spazio agli “interventi chirurgici”, piuttosto che all’ostentazione della potenza militare.

28 maggio 2010

giovedì 27 maggio 2010

L’ISI e le vicende afgane

La coalizione internazionale della NATO si prepara all’offensiva di Kandahar che dovrebbe portare alla definitiva sconfitta dei Talebani, costringendoli al tavolo della pace, mentre l’ombra dell’ISI (Inter Service Intelligence) ritorna ad incombere sui fatti afgani. L’ISI, struttura di Intelligence molto efficace, radicata anche in varie parti del mondo, ha giocato un ruolo importante sull’avvento dei Talebani e sul loro consolidamento in Afghanistan ed ha sempre guardato con interesse alle vicende afgane in particolare per quanto attiene alle rivendicazioni territoriali dell’Afghanistan nei confronti del Pakistan. I Pasthun afgani, infatti, hanno sempre accampato diritti di sovranità sui territori della Provincia pakistana del Nord-Ovest e non hanno mai accettato che quest’area abitata dalla loro etnia maggioritaria in Afghanistan, facesse parte dell’odierno Pakistan. Questa linea di confine è stata sempre oggetto di tensione tra Afghanistan e Pakistan e continua ad esserlo coinvolgendo direttamente i leader nazionalisti pashtun che risiedono in entrambi gli Stati, molti dei quali gestori dei commerci illegali di armi e droga. L’ISI, peraltro, non ha mai abdicato al ruolo di essere “uno Stato nello Stato” mantenendo alto l’interesse verso l’Afghanistan sfruttando ogni occasione, dal ritiro dell’Armata Rossa e dal successivo disinteresse statunitense per l’area, per favorire l’insediamento a Kabul di un governo “amico”, che potesse opporsi e neutralizzare definitivamente le spinte nazionalistiche pashtun anche facendo leva sul radicalismo religioso dei Talebani e controllando attraverso i Signori delle Aree Tribali i traffici commerciali verso tutta l’Asia Centrale. In questo momento, con elevata probabilità, i vecchi responsabili dell’ISI in parte allontanati dalla struttura dal nuovo Governo pakistano, stanno rivitalizzando i link del passato coinvolgendo insieme ai Talebani delle aree nord ovest del Paese i movimenti politici che rivendicano un Kashmir islamico a svantaggio dell’India. Il 25 maggio l’Afghanistan ha accusato il Pakistan di aver pianificato ed attuato con la regia dell’ISI l’attacco kamikaze contro l'ambasciata indiana e l'agguato terroristico della scorsa settimana che ha provocato la morte di sei soldati della NATO, di cui quattro colonnelli. L'accusa è stata rivolta attraverso la stampa locale da un portavoce dell'intelligence afgana, Saeed Ansari, che ha anche annunciato l'arresto di sette persone sospettate di essere gli organizzatori dei fatti, precisando che tutto è stato pensato e preparato nelle Aree Tribali pakistane a ridosso della frontiera afgana, utilizzando esplosivi ed altri materiali prodotti in Pakistan. Ansari ha anche affermato che il “gruppo di fuoco” è stato addestrato da personale dell’ISI secondo un modello consolidato negli anni ottanta, quando rifugiati afgani rientrando nelle terre di origine diventavano i protagonisti della guerra civile scoppiata in Afghanistan dopo l’uscita dei sovietici e che negli anni novanta avrebbe consentito ai Talebani di consolidarsi a Kabul. I sette presunti terroristi catturati avrebbero legami con i leader talebani afgani attualmente nascosti in Pakistan e sono ritenuti anche responsabili dell’attacco terroristico ad un albergo di Kabul in occasione del quale morì, fra l’altro, un funzionario dell’intelligence italiana. Terroristi responsabili pure di un agguato ad un convoglio della NATO e ISAF nei pressi del ministero della difesa afgano avvenuto sempre la settimana scorsa a Kabul. Altri segnali di un possibile coinvolgimento di esponenti dell’ISI arrivano dal sud del Paese, dalla regione di Kandahar dove da qualche settimana i Talebani compiono azioni terroristiche contro gli afgani che lavorano per gli stranieri o per il governo e, recentemente, anche contro le truppe della NATO bersaglio del lancio di razzi sulla base di Kandahar che ha provocato molti feriti fra i soldati e la popolazione. Episodi che evidenziano una crescita operativa dei Talebani che ormai dispongono anche di razzi di media portata che si vanno ad aggiungere al loro potenziale bellico classico; gli IED, i kalashnikov ed i lanciarazzi RPG7. Uno scenario che si ripresenta in quelle zone dopo la resistenza contro i sovietici e, successivamente, quando da Peshawar - Capitale della North West Frontiere, sede della più importante università islamica del Pakistan, di centinaia di madrasse e della più importante struttura dell’ISI - i rifugiati partivano dai vari campi profughi disseminati lungo la strada del Kyber Pass per raggiungere l’Afghanistan e combattere la jahad, dopo aver frequentato brevi periodi di formazione presso basi militari pakistane, fra cui il campo di Risalpur. Forse stiamo assistendo ad un ritorno al passato che deve essere attentamente monitorato cercando di relazionare fra loro i vari episodi che avvengono nelle diverse parti dell’Afghanistan, per evitare che i Talebani attraverso forme di guerra asimmetrica possano conquistare un maggiore potere contrattuale, quando saranno chiamati a partecipare al tavolo della pace. Un rischio che la comunità internazionale non può correre in quanto vanificherebbe gli sforzi economici ed il sacrificio di vite umane che fino ad ora sono stati sostenuti per raggiungere la pace in Afghanistan. In questo contesto, gli analisti occidentali ed in particolare quelli americani e lo stesso Presidente Obama dovrebbero valutare con cautela il benché minimo episodio, evitando frettolose, semplicistiche ed ottimistiche conclusioni. Quelli che potrebbero essere catalogati, infatti, come “atti di quotidiano terrorismo di strada” potrebbero, invece, essere stati organizzati e gestiti da lontano, ed avere nel medio termine conseguenze di vasta portata e difficili da immaginare. Tutto questo non dimenticando mai la valenza delle realtà culturali e tradizionali di quelle terre dove, nonostante tutto, i pasthun pakistani sono fratelli di quelli afgani molti dei quali militanti nelle file dei Talebani e lo stesso Presidente Karzai è un pasthun. Sottovalutare queste realtà e non considerare con la dovuta attenzione il fatto che i Talebani si stanno avvicinando geograficamente sempre più ad Islamabad, potrebbe portare ad instabilità interna nel Pakistan, dalla quale vecchie strutture dell’ISI potrebbero trarne vantaggio a favore delle flangie più estremiste, favorendo un’escalation militare contro l’India per le vicende del Kashmir ed innescando con conseguenze pericolosissime per la stabilità di tutta la regione asiatica e del mondo intero.

27 maggio 2010


martedì 25 maggio 2010

Trattative di pace per l’Afghanistan. Perché alle Maldive ?

Mohamed Zuhair portavoce del governo afgano ha comunicato che il 20 maggio sono ripresi i contatti fra esponenti del governo e rappresentanti dei Talebani per creare le premesse a futuri accordi di pace. Per la seconda volta dall’inizio dell’anno, le Maldive hanno ospitato un incontro al quale hanno partecipato 45 delegati fra rappresentanti istituzionali afgani e Talebani. La riunione del 20 maggio ha, anche, coinvolto per la prima volta alcuni membri di Hizb-i-Islami, ribelli attivi in quattro province dell’Afghanistan, fino ad oggi avversari dei Talebani e del Governo di Kabul, vicini all’intelligence (ISI) pakistana ed eredi della resistenza afgana degli anni ottanta. Una scelta quelle delle Maldive non suggerita dalle attrazioni naturali dell’arcipelago, sicuramente molto più appaganti del freddo di Kabul, ma da un’interpretazione dell’Islam condivisa dal governo locale, dai Talebani, dalle altre fazioni islamiste afgane e dallo stesso pasthun Karzai che palesemente sta dimostrando un’apertura politica nei confronti degli studenti islamici. Un segnale per chi in Occidente ancora crede che l’Afghanistan sia ormai diventato uno stato laico in cui il burqa, le divisioni tribali e le regole islamiche oltranziste sono un ricordo del passato. Una conferma che gli accordi di pace non potranno prescindere dalle posizioni degli studenti islamici e dai dogmi della tradizione islamica che, sicuramente, non saranno abbandonati dalla nascente “Repubblica Islamica dell’Afghanistan, ma rappresenteranno i punti cardini dell’organizzazione dello Stato, nell’assoluto rispetto della tradizione e cultura locale. Il governo delle Maldive sembra che non sia coinvolto nei colloqui di pace, anche se i governanti locali stanno dimostrando grande simpatia ed apertura per i rappresentanti dei Talebani pur precisando in comunicazioni ufficiali che “nessuno inscritto nella black list delle Nazioni Unite partecipa agli incontri”. L’arcipelago, infatti, è un paese islamico a maggioranza sunnita molto vicino all’Arabia Saudita, in cui lo Stato all’articolo 9 della costituzione, approvata nel 2008, prevede che “un non musulmano non può diventare cittadino delle Maldive”, posizione recentemente ribadita dal Presidente Mohamed Nasheed, quando ha precisato che nell’arcipelago non possono essere accettate usanze contrarie all'Islam ed è obbligatorio rispettare le regole della sharia, in particolare per quanto regola la libertà di culto degli stranieri che professano una religione diversa dall’Islam. Una posizione politica che evidenzia come nelle Maldive l’esasperazione religiosa è preminente rispetto ad una moderna visione laica dello Stato, riproponendo realtà del passato tipiche del Centro Asia. La scelta dei luoghi di riunione merita, dunque, attenzione in quanto potrebbe indicare l’inizio di un progressivo radicamento di cellule di Al Qaeda nelle Maldive, meta prediletta di migliaia di occidentali che nel tempo potrebbero rappresentare obiettivo di azioni terroristiche come già avvenute a Malè nel 2007. Non è, infatti, casuale che contemporaneamente alla presenza nell’arcipelago di rappresentanti dei Talebani afgani, il network terroristico abbia lanciato su Internet un video girato nel paradiso delle vacanze che inneggia alla guerra santa e che riporta in sovrimpressione il titolo “I vostri fratelli delle Maldive vi stanno chiamando”. A tale riguardo, molti analisti occidentali ipotizzano il pericolo che Al Qaeda è pronta a stabilirsi nell’area reclutando adepti fra i cittadini locali più poveri, che dal turismo non ricavano un beneficio economico diretto. Testimonianze di ritorno dall’arcipelago riferiscono, infatti, che sempre di più sulle spiagge si vedono donne “velate” e che molti sono gli integralisti che pretendono il rispetto più intransigente della sharia. Un processo evolutivo che se sottovalutato potrebbe avere conseguenze simili a quelle che favorì l’insediamento dell’estremismo islamico in Afghanistan e trasformare le Maldive in un “trampolino di lancio” per i trasferimenti via mare di jihadisti dall’Asia all’Africa e viceversa, in particolare verso la Somalia ancora in mano alle corti islamiche. L’arcipelago potrebbe, altresì, diventare un rifugio per possibili fiancheggiatori di Al Qaeda appartenenti al terrorismo internazionale come, ad esempio, i gruppi armati di Lashkar-e-Taiba già presenti in alcune isole. Attivisti islamisti che fanno parte di una struttura terroristica fra le più importanti dell’Asia meridionale, fondata da Hafiz Muhammad Saeed e Zafar Iqbal proprio in Afghanistan, impegnata in atti terroristici finalizzati a rendere liberi i musulmani che risiedono nel Kashmir indiano e favorire la nascita di uno Stato islamico. Un'organizzazione definita eversiva da India, Stati Uniti, Regno Unito, Unione Europea, Russia, Australia e formalmente dallo stesso Pakistan, anche se in passato e forse ancora oggi molto vicina all’Intelligence pakistana (ISI).
25 maggio 2010

martedì 18 maggio 2010

Un altro attentato in Afghanistan contro la NATO

Era presumibile che l’apertura di Karzai verso i Talebani per coinvolgere costoro nelle trattative di pace avrebbe potuto indurre i ribelli a riprendere le azioni terroristiche su vasta scala per poter acquisire una maggiore “forza contrattuale”. Si era anche ipotizzato che l’offensiva militare condotta nella provincia di Helmand ed il preannunciato attacco a Kandahar roccaforte degli studenti islamici, avrebbe indotto molti Talebani a spostarsi a nord. Puntualmente le previsioni sono state rispettate. Ieri uno IED è esploso uccidendo due soldati italiani, oggi a Kabul almeno 20 morti di cui quattro militari americani ed un canadese dopo un attacco terroristico kamikaze contro un convoglio Nato. In questo caso, immediata la rivendicazione a differenza dell’episodio terroristico di ieri a Bala Murghab che per quanto noto nessuno si è ancora attribuito in maniera ufficiale. Uno dei portavoce dei Talebani Zabihullah Mujahid, ha, infatti, immediatamente dichiarato telefonicamente che l’attacco di oggi è stato effettuato dalla resistenza talebana e non ha fatto alcun riferimento agli avvenimenti di ieri. Un’azione, quella odierna, avvenuta in un quartiere centrale della Capitale afgana, vicino al Parlamento, in un’area che ospita anche un ospedale occidentale ed il Ministero dell’Energia. Il kamikaze si è fatto saltare a bordo di un’autobomba che trasportava più di 500 kg di esplosivo sicuramente ad alto potenziale, considerati gli effetti devastanti che tutte le televisioni mondiali hanno proposto. Due azioni terroristiche a distanza di un giorno contro due convogli del Contingente militare internazionale, con differenti caratteristiche di IED e di modalità di attuazione. Ieri, nel nord del Paese un grosso quantitativo di esplosivo a bordo strada fatto esplodere con un’attivazione controllata, oggi a Kabul si è ritornati all’attentatore kamikaze che ha colpito indiscriminatamente obbiettivi militari e civili. Particolari che portano a pensare che è operativo un network del terrore che fa capo ad un unico regista, ma che coinvolge differenti protagonisti fra cui, anche, la malavita locale ed i potenti Signori della Guerra. L’attentato di Bala Murghab è stato gestito nel rispetto della popolazione locale, a Kabul, invece, si è colpito in maniera indiscriminata. Ambedue gli eventi hanno incrementato i 102 militari che dall’inizio dell’anno sono morti per azioni terroristiche a fronte di un totale di 181 caduti per episodi bellici. Una conferma dell’efficacia dell’agguato terroristico anche contro le sofisticate tecnologie come quelle a disposizione del Contingente internazionale, in particolare se attuato da insorti “residenti”, come probabilmente è avvenuto a Bala Murghab con tecniche di agguato ereditate dalla resistenza afgana contro l’Armata sovietica. A nord i ribelli talebani che operano nelle aree suburbane o agricole, tutte controllate dai Signori della Guerra, dimostrano di conoscere benissimo il territorio e combattono uscendo probabilmente di casa il mattino per farvi rientro la sera. Altri, invece, sono mandati al massacro per attacchi terroristici nelle città, dopo aver ricevuto un indottrinamento ideologico nelle madrasse (scuole coraniche) di Peshawar e provenienti dalle Aree Tribali pakistane confinarie con l’Afghanistan. L’azione terroristica ancora una volta sta dimostrandosi come atto prediletto dei moderni mujaheddin afgani e nella prossima battaglia di Kandahar potrebbe rappresentare l’elemento di forza per i ribelli talebani che si opporranno all’imponente dispositivo militare internazionale ed all’esercito afgano.
18 maggio 2010

lunedì 17 maggio 2010

Attacco in Afghanistan, uccisi due militari italiani

Due soldati italiani sono stati uccisi e altri due, un uomo e una donna, sono stati gravemente feriti in seguito ad un attacco terroristico avvenuto nel nordest dell'Afghanistan. Le prime notizie ci dicono che l’azione è stata effettuata impiegando uno IED (Improvised Explosive Device) fatto esplodere sotto un blindato Lince in dotazione all’Esercito italiano, che muoveva inserito nel nucleo di testa di un’autocolonna formata da diversi mezzi della Coalizione internazionale diretti a Bala Murghab. In questi casi qualsiasi ipotesi formulata nell’immediatezza dei fatti che cerchi di capire come l’atto terroristico possa essere stato realizzato, può essere confermata o sconfessata dai risultati che scaturiranno dalle inchieste ufficiali. Ciò non toglie che cercare di capire attraverso un’analisi di “prima battuta” è forse opportuno se non addirittura etico, in particolare se si disporne di specifiche conoscenze sull’Afghanistan, sugli afgani e sulle tecniche costruttive ed operative degli IED. In Afghanistan le nevi si stanno sciogliendo per lasciar posto ad un’estate torrida ed asciutta. Come ogni anno nel Paese questo momento rappresenta la ripresa di qualsiasi attività lecita e non, civile e militare. Le strade che portano verso l’Iran e verso la Russia fino ad ieri colme di neve iniziano ad essere percorribili. La droga raffinata durante l’inverno è già stata caricata sugli autocarri per raggiungere i mercati del mondo sgomberando i magazzini che a breve dovranno raccogliere il prossimo raccolto di papaveri da oppio. Il Contingente Internazionale e l’Esercito afgano si preparano ad attaccare a sud la roccaforte di Kandahar e molti gruppi della guerriglia talebana si stanno spostando a nord per sfuggire all’azione. E’ ripreso da poco il contrabbando di nitrato di ammonio, materia prima per realizzare cariche esplosive di IED, proveniente dal Pakistan come molte fonti locali ed internazionali riferiscono. Di qualche giorno fa la notizia pubblicata dal Los Angeles Times che riferisce come da Peshawar almeno due volte a settimana partono convogli di autocarri carichi apparentemente di legna che attraversano di notte la capitale della North West Province pakistana diretti verso Kabul lungo la strada del Kyber Pass. Fonti locali ben informate affermano che sotto i carichi di legna sono nascosti sacchi di nitrato di ammonio ed altri fertilizzanti che possono essere utilizzati per realizzare cariche esplosive artigianali. Materiale diretto ai Talebani ma che non è escluso possa raggiungere anche i Signori della Guerra che devono difendere i propri feudi. E’ certo che in Pakistan sono prodotte ogni anno 496.000 tonnellate di nitrato di ammonio e fintanto che questo rimarrà legale in Pakistan non potrà essere esclusa qualsiasi forma di contrabbando verso l’Afghanistan, anche se Karzai ha proibito il commercio e l’utilizzazione di nitrato di ammonio. In questo contesto, improvvisamente si risveglia in maniera potente l’offensiva terroristica e quanto avvenuto oggi potrebbe rappresentare una tragica ripresa di attentati con IED posizionati lungo le strade. Ordigni che possono essere realizzati utilizzando grossissimi quantitativi di esplosivo, anche derivato dal nitrato di ammonio ed utilizzando le migliaia di manufatti bellici abbandonati sul territorio afgano. Cariche che possono essere variate di volta in volta e che quindi vanificano la certezza che le corazzature di protezione dei mezzi da combattimento militari possano resistere a qualsiasi esplosione. L’attentato di oggi ha colpito il quarto veicolo di una colonna. Le prime notizie ci dicono che lo IED è stato azionato da un comando a distanza, ma sarebbe opportuno non escludere altre ipotesi sulla possibile utilizzazione di dispositivi derivati da tecniche e sistemi di guerriglia impiegati da sempre dai mujaheddin afgani. Fra le possibili, quella più plausibile potrebbe essere rappresentata dall’utilizzo di particolari congegni di accensione derivati da meccanismi realizzati negli anni ottanta nell’Ex Unione Sovietica che attivati dal primo mezzo di una colonna in movimento possono attivare un’esplosione “ritardata” per distruggere i mezzi che seguono nella marcia. Una tecnica di agguato che, a prescindere dal sistema di attivazione utilizzato, è stata abbondantemente sperimentata in Iraq dalla fine della guerra del 2003 ed ereditata dalla guerriglia afgana quando attaccava le truppe sovietiche. Un metodo di imboscata che ha un’elevata valenza tattica in quanto l’esplosione disarticola l’obiettivo in movimento ostacolando le immediate possibilità di reazione. Se, infine, l’attacco non è stato realizzato dai Talebani, ma da bande armate al servizio dei Signori della Guerra che vogliono la certezza di non essere intercettati nei loro traffici illeciti, questa eventualità dovrebbe essere approfondita per contrastare il consolidarsi di ogni possibile link fra gli insorti e la malavita locale che pregiudicherebbe notevolmente la sicurezza dei Contingenti internazionali.
17 Maggio 2010

giovedì 13 maggio 2010

150 anni dell’Unità di Italia

La ricorrenza della nascita di una Nazione ed ancora di più l’anniversario dei 150 anni dall’avvenuta coesione nazionale rappresentano il compleanno di tutti i cittadini di uno Stato. Non celebrarlo è un atto irriverente nei confronti della storia, della cultura e della tradizione di un popolo. La “gestazione” per la nascita dell’Italia è iniziata nel lontano 11 maggio 1860, quando Garibaldi partito da Quarto (Genova) è sbarcato a Marsala ed ha invitato gli italiani ad impegnarsi per costruire finalmente la Nazione, pronunciando la storica frase “Qui si fa l’Italia o si muore”. Tantissimi risposero alla “chiamata” e moltissimi di costoro sacrificarono la vita perché il 17 marzo 1961 potesse sorgere l’Italia unita. Una Nazione non nasce dal nulla, ma occorre l’impegno di migliaia di cittadini che, anche a costo della loro vita, si rendono disponibili per la comunità e concorrono a formare la grande famiglia della società nazionale. Coloro che si sono impegnati perché l’Italia diventasse Stato unico ed indivisibile lo hanno fatto prescindendo dalla loro estrazione sociale e culturale, dalle loro convinzioni politiche e, soprattutto, dagli interessi personali. Dimenticare questo impegno non favorisce la crescita dello Stato, piuttosto può indurre conseguenze spesso pericolose per la stabilità e la sicurezza nazionale. Dimenticare che l’Italia è nata attraverso l’impegno di tutti i cittadini - abitanti nel meridione, nel Centro Italia ed oltre Po - rappresenta un falso storico inaccettabile che solo un’adeguata celebrazione della ricorrenza può confutare e vanificare. Ognuno può giudicare la celebrazione come un evento positivo o meno anche proponendo critiche storiografiche, ma rimane il fatto che in qualsiasi altro Paese del mondo un anniversario del genere sarebbe celebrato con attenzione e dedizione. Ignorare, invece, l’evoluzione politica del nostro Paese, ciò che è stato costruito dagli italiani durante il Risorgimento sarebbe un vero e proprio delitto culturale che non può essere accettato in quanto rappresenterebbe una regressione intellettuale inaccettabile e cancellerebbe la validità dei fatti che hanno permesso all’Italia di trovare la sua identità nazionale. Durante il Risorgimento tutti gli italiani furono coinvolti nel processo di unificazione, senza lasciare spazio a “pregiudizi e luoghi comuni” come ha ricordato recentemente il Presidente della Repubblica. Questo non può essere dimenticato a favore di approcci demagogici, magari solo dettati da interessi politici settoriali che sicuramente non aiutano a far comprendere alle nuove generazioni l’importanza del senso dello Stato e del rispetto delle regole, unici parametri che assicurano la libertà individuale e quindi la democrazia. La celebrazione delle ricorrenze non è un atto retorico, ma deve rappresentare un momento di riflessione per richiamare alla memoria dei giovani la storia del loro Paese ed accrescere la coesione nazionale, elemento indispensabile per alimentare lo spettro di contrasti sociali, di classe e di appartenenza che nel tempo possono aprire le porte al terrorismo per scopi politici. Spinto da queste convinzioni e dalla certezza della validità dei valori nazionali e storici che hanno portato all’unità dell’Italia e che sono rappresentati dal nostro “Tricolore”, voglio ricordare le parole di un manoscritto di Giosuè Carducci “Per il Tricolore” che, pur con il linguaggio retorico tipico di quel tempo, offrono uno spunto di meditazione su quelli che dovrebbero essere i valori universali di una Nazione. Le parole del poeta ci indicano come i sentimenti nazionali unitari hanno rappresentato la prima pietra sulla quale è stato possibile costruire la Repubblica, senza i quali si è destinati ad un futuro privo di certezze e buio che potrebbe riaccendere nuove divisioni politiche, di ceto e territoriali, con il rischio di rivitalizzare gli “anni di piombo” e dare inizio a nuove forme di terrorismo interno oggi, peraltro, facilitato dalle emergenze internazionali. Per chi ha interesse le parole del poeta possono essere ascoltate al link http://www.fernandotermentini.it/unitàdiitalia.htm

13 maggio 2010

domenica 9 maggio 2010

Una imminente offensiva dei Talebani

Importanti Agenzie di stampa internazionali riportano che i Talebani hanno annunciato una nuova offensiva contro la NATO che dovrebbe iniziare lunedì 10 maggio. Un comunicato che coincide con la partenza del Presidente Karzai in visita negli USA per un incontro a Washington con Obama con un’agenda che prevede, tra l’altro, il problema della pace in Afghanistan ed il coinvolgimento dei ribelli al tavolo delle trattative. Il ministro della Difesa afgano Abdul Rahim Wardak risponde al messaggio dei ribelli definendolo la mera propaganda di un’organizzazione che ormai non è più in grado nemmeno di auto sostenersi e tantomeno di opporsi a qualsiasi attacco della NATO. L’analisi del ministro afgano che sembra troppo semplicistica, a fronte dei continui attentati ed agguati che avvengono in Afghanistan e dei recenti tentativi di terrorismo internazionale. Sicuramente, Wardak potrebbe esprimere una valutazione corretta quando afferma che i Talebani non sono più in grado di attuare una offensiva organizzata, ma sottovaluta il pericolo di un avversario ormai stretto alle corde che comunque può disporre di un significativo potenziale terroristico locale e sparso nel mondo. I Talebani, infatti, non minacciano uno scontro in terreno aperto, parlano bensì di un’offensiva attuata attraverso azioni terroristiche ed attacchi suicidi mirati contro obiettivi particolari e ben definiti, quali: diplomatici stranieri, funzionari del Governo afgano e truppe straniere. La nuova offensiva chiamata dai Talebani “Jihadic Al-Faath” prevederebbe il ricorso a kamikaze e l’utilizzo di ordigni esplosivi improvvisati (IED) anche di grossa potenza, nascosti lungo il bordo delle strade contro i movimenti delle Truppe a guida NATO e delle agenzie di sicurezza occidentali che operano sul territorio afgano. Un’intenzione, peraltro, palesata a ridosso della data del preannunciato attacco a Kandahar previsto per il prossimo mese di giugno e che dovrebbe coinvolgere più di 130.000 uomini dell’esercito afgano e del Contingente internazionale NATO. La notizia della ripresa di una guerriglia terroristica si sovrappone anche a quella con cui fonti locali parlano di un’improvvisa concentrazione nell’ultima settimana di autocarri che partono da Peshawar diretti verso Kabul lungo la strada del Kyber Pass, carichi apparentemente di legna sotto la quale sono, invece, occultati grossi quantitativi di nitrato di ammonio, elemento essenziale per realizzare IED autocostruiti. Un commercio illegale che gli stessi responsabili del Governo autonomo della “North West Frontiere” pakistana hanno ammesso come riferisce un alto funzionario amministrativo di Peshawar, il Commissario Azam Khan. E’ la prima volta che i Talebani avvertono dell’inizio di operazioni terroristiche su larga scala, quasi volessero lanciare un messaggio alle cellule terroristiche sparse nel mondo chiamandole alla jihad globale. Segnali sicuramente non incoraggianti che non possono essere sottovalutati ma che andrebbero letti coniugandone i contenuti con i recenti falliti attacchi terroristici negli USA e con i vari ed innumerevoli segnali di allarme terroristico che stanno arrivando con una certa frequenza da varie parti del mondo.
9 maggio 2010

Il fallito attacco terroristico a New York : Talebani pakistani o nuove strutture di Al Qaeda ?

Faisal Shahzad, americano di origine pakistana è stato accusato negli Stati Uniti di essere l’autore del fallito attacco terroristico a Times Square. L'uomo, un trentenne residente negli Usa, ha ammesso di essere stato addestrato per fabbricare IED presso un campo di addestramento para militare ubicato in Pakistan nella regione tribale del Waziristan, confinante con l’Afghanistan e con una delle più importanti Aree Tribali pakistane, la “North West Frontiere” con capitale Peshawar (in persiano letteralmente “città di frontiera”). Qui, dall’inizio dell’anno, sono stati uccisi più di 100 agenti di polizia vittime di attacchi di pachistani coinvolti nella jihad globale che Islamabad sta cercando da tempo di contrastare. Da 18 mesi, infatti, l'esercito pakistano sta sviluppato importanti azioni contro i Talebani concentrando i suoi sforzi in sei delle sette agenzie tribali che confinano con l'Afghanistan, escludendo la settima, il Nord Waziristan, dimora di un’importante rete di talebani afgani che fanno riferimento agli storici capi Jalaluddin Haqqani e Gulbuddin Hekmatyar. Costoro nel tempo hanno consolidato i rapporti con l’Intelligence pakistana (ISI - Inter Services Intelligence) evitando fino ad oggi uno scontro diretto con i militari di Islamabad ed assicurandosi, nello stesso tempo, la completa autonomia dal Governo centrale. Accordi che improvvisamente stanno vacillando nel momento che lo spietato leader dei talebani pakistani Hakimullah Mehsud si è ripresentato sullo scenario mediatico mondiale dopo essere stato dichiarato morto alla fine di gennaio a seguito di un attacco di drone statunitensi. Costui, con ogni probabilità nascosto in tutti questi mesi proprio nel Nord Waziristan, sembra che abbia organizzato una struttura operativa in grado di proiettare nel mondo una nuova generazione di cellule terroristiche, come da lui stesso dichiarato una volta “resuscitato”, promettendo che "il tempo è molto vicino a quando si manifesterà la volontà dei fedayn di attaccare gli USA nelle principali città". Il Nord Waziristan ha sempre ospitato strutture tribali vicine alla guerriglia afgana che ora presumibilmente sono evolute e pronte ad attuare forme di terrorismo globale avvalendosi di estremisti Punjabi, un tempo addestrati dai militari pakistani per la lotta contro le forze indiane nel Kashmir ed oggi separati dai loro gruppi madre ed alleati con i pashtun del Pakistan molto vicini ai Talebani ed ad Al Qaeda. A costoro si sono aggiunti gruppi islamici antisciita provenienti da altre regioni dell'Asia centrale e diversi gruppi ceceni fra cui sembra anche un certo Lashkar-e-Taiba accusato per l'attentato mortale 2008 a Mumbai. Una struttura quella del Nord Waziristan in continua trasformazione ed evoluzione, in cui confluiscono e defluiscono quotidianamente pakistani e stranieri anche occidentali vicini ad Al Qaeda, come i cinque giovani americani catturati mentre da Peshawar tentavano di raggiungere il Nord Waziristan per unirsi alla jihad contro l’Occidente. Faisal Shahzad è stato arrestato su un aereo in partenza per Dubai con destinazione finale Peshawar, città da sempre crocevia di traffici illeciti come il flusso di droga verso Oriente ed armi ed esplosivi verso Kabul. Peshawar e la sua provincia che ospita fin dagli anni ottanta i maggiori campi per rifugiati afgani e che ha in passato rappresentato il punto di raccolta e smistamento dei mujaeddhin e dei rifornimenti logistici a favore della jihad contro l’invasore sovietico e successivamente dei protagonisti della guerra civile afgana conclusa con l’arrivo dei Talebani a Kabul. Peshawar, sede delle più importanti madrasse pakistane (scuole coraniche) e dell’Università islamica più importante del Centro Asia, seconda nel mondo forse solo a quella del Cairo. Città amministrata da autorità vicine a gruppi islamici estremisti ed a molti dei Signori della Guerra afgani, nonché residenza privilegiata dell’intelligence pakistana (ISI). Il pianificato rientro di Shahzad verso Peshawar dopo in tentativo di attentato a New York non è stato sicuramente casuale, ma conferma che l’attentatore era vicino ad una delle nuove strutture di Al Qaeda che raccoglie aspiranti terroristi provenienti dall’area dell’estremismo islamico mondiale e non solo afgano o pakistano. Non a caso il generale pakistano Hamid Gul, ex comandante dell'ISI, si è preoccupato di precisare ufficialmente, subito dopo la cattura dell’attentatore, che "non ci sarebbero i talebani pakistani dietro il fallito attentato, ma Al Qaeda" perché "I talebani pakistani sono troppo deboli per avere una capacità globale di questo tipo". In ogni caso, a distanza di cinque anni dagli attentati alla metropolitana di Londra in cui furono protagonisti terroristi inglesi di origine pakistana, si ripresenta a New York uno scenario con gli stessi attori: un terrorista di origine pakistana naturalizzato americano che entra in azione dopo un periodo di permanenza in Pakistan, utilizzando anche in questo caso IED autocostruiti. Si ripropone, quindi, una minaccia per l’Occidente in generale e per gli Usa in particolare, attuata da persone di origine asiatica o mediorientale ma con passaporto occidentale e tutti originari del Pakistan piuttosto che islamici sudanesi o indonesiani. Non è ancora chiaro se Faisal abbia agito da solo, ma potrebbe far parte delle cosiddette “cellule ibride”, ovvero piccoli gruppi che operano in modo indipendente nella fase esecutiva dell’azione, ma ricevono istruzioni precise e addestramento nei luoghi della Jihad. Chiaramente la situazione nel Nord Waziristan è in evoluzione e qualcosa deve essere fatto prima che la regione pakistana diventi una fonte di emanazione di una nuova ondata di terrorismo internazionale come avvenuto prima del 2001 per l'Afghanistan. Un impegno che dovrebbe realizzarsi con un’azione incisiva di Islamabad diretta ad eliminare ciò che rimane della componente deviata dell’ISI ancora vicina ad Al Qaeda ed alla quale i Talebani pakistani fanno sicuramente riferimento. Unica soluzione efficace per evitare il rischio del consolidamento di una nuova origine del terrorismo internazionale.
8 maggio 2010

martedì 4 maggio 2010

Il fallito attentato a New York

Il fallito attentato a New York è una nuova dimostrazione di come con pochi materiali, semplice tecnologia e praticamente assenza di esplosivo è possibile realizzare uno IED (Improvised Explosive Device) in grado di produrre danni importanti. In questa occasione è stato utilizzato un SUV Nissan Pathfinder abbandonato verso le 18.30 (ora locale, mezzanotte e mezza in Italia) all'angolo tra Broadway e la 45esima strada. All’interno del mezzo sono stati trovate tre bombole di gas propano, alcuni fuochi artificiali, due taniche con 20 litri di benzina, due orologi a batteria, fili elettrici e altri componenti utili per completare l’ordigno. Poteva essere aggiunta qualsiasi altra cosa, anche materiale chimico o scorie nucleari conferendo all’ordigno un’elevata valenza distruttiva. L'autobomba di Times Square richiama alla memoria tentativi simili in parte falliti o che anno ottenuto un modesto successo, come l’attentato alla metropolitana di Londra, quello a Milano ad una Caserma dell’Esercito e recentemente l’episodio del nigeriano che con l’esplosivo nascosto nelle mutande ha tentato di farsi saltare su un volo della Delta airline. Eventi in cui sono stati utilizzati IED che in comune avevano cariche esplosive artigianali che non hanno funzionato perfettamente perché attivate ed innescate in modo non adeguato. Il fumo che usciva dal SUV e che ha attirato l’attenzione di un venditore ambulante è paragonabile a quello che ha permesso di sventare l’attacco al volo per Detroit e conferma che anche a NY è mancato o ha funzionato male un appropriato sistema di attivazione che avrebbe consentito un sicuro funzionamento dello IED come avviene per quelli fatti esplodere sulle strade di Kabul e di Bagdad. Il Centro di sorveglianza dei siti islamisti (Site) ha immediatamente informato che i talebani pachistani (Tehrik-e-Taliban) hanno rivendicato il fallito attentato con un video diffuso su Internet, motivandolo come rappresaglia contro gli attacchi dei drone americani contro le Aree Tribali del Pakistan. Rivendicazione che è stata smentita subito dopo dal portavoce Azam Tariq che in un’intervista dell’agenzia tedesca DPA ha dichiarato di “non sapere nulla del video” confermando, però, l’autenticità di un secondo video in cui appare il leader talebano Hakimullah Mehsud dato per morto dagli USA dopo il raid aereo in Pakistan. Una serie di comunicati e smentite che confermano comunque una palese crescita dei gruppi talebani in Pakistan che, come esplicitamente dichiarato dal segretario di Stato americano, sono praticamente accettati dal governo pakistano che ha sostanzialmente abdicato agli estremisti, rivitalizzando il rischio di una nuova minaccia per la sicurezza globale ed in particolare per quella americana. Il presidente pakistano Zardari si sta sforzando di cercare di arginare l’avvicinamento dei Talebani ad Islamabad e di contenere l’avanzata delle bande che operano nelle Aree Tribali della frontiera nord - occidentale con l’Afghanistan sottoscrivendo accordi con i gruppi “moderati” che controllano la Valle dello Swat. Quanto è avvenuto a NY dimostra, invece, che il network di cellule dormienti di Al Qaeda è attivo e pronto ad agire con immediatezza anche con soluzioni artigianali spesso affrettate ma utili per riaccendere l’attenzione su una minaccia concreta che nonostante gli sforzi è ancora lontana da essere debellata. Qualcosa porta a pensare che si stia riproponendo una regia del passato che si pensava ormai annullata ed in cui giocavano un ruolo determinante componenti deviate dei servizi segreti pakistani (ISI). Non è improbabile, infatti, che il vecchio capo dell’ISI, il generale Mehmood vicinissimo ai Talebani e soprattutto ad Al Qaeda, destituito dopo l’11 settembre dall’ex presidente Parwez Musharraf, abbia riorganizzato i vecchi alleati di un tempo e le vecchie amicizie che avevano permesso la conquista di Kabul da parte degli studenti islamici. In Pakistan sembra essere in corso un’azione contro i talebani come dimostrerebbe la cattura del numero due dell’organizzazione, Abdul Baradar, ma quanto sta avvenendo porta a pensare che il tutto non sia avvenuto per sconfiggere i ribelli, piuttosto per far saltare la trattativa che lo stesso Baradar stava conducendo con il presidente afgano Karzai per arrivare ad una tregua e spaccare in due il movimento Talebano. Il fallito attentato a NY segue di poco, infatti, quello del 6 aprile al consolato americano di Peshawar e dimostra che i talebani pakistani sono organizzati ed in grado di colpire qualsiasi obbiettivo, scegliendo quelli che per simbologia hanno maggiore importanza mediatica. Lo stesso capo delle forze armate pakistane, Kayani, già direttore generale dell’Intelligence pakistana, teme il possibile riemergere della vecchia nomenclatura dell’ISI ed ha proposto una nuova epurazione della struttura avviando una trattativa diretta con Barack Obama iniziata già a fine marzo, quando Kayani ha incontrato il Presidente USA a Washington ottenendo il pieno riconoscimento americano del ruolo determinante che il Pakistan dovrebbe avere nella regione asiatica con l’impegno di un’azione di mediazione USA nei confronti dell’India, in cambio di una seria collaborazione dell’ISI in Afghanistan. Il fallito attentato a New York potrebbe essere una risposta seppure improvvisata a queste trattative ed accompagna l’attacco riuscito ad aprile a Peshawar e forse anche quello a Lower Dir, uno dei 24 distretti della frontiera nord occidentale pakistana, dove sono morte quaranta persone ospiti della sede di un partito moderato pashtun.
4 maggio 2010