mercoledì 25 agosto 2010

AL Qaeda minaccia il Golfo di Aden

Mogadiscio, la capitale della Somalia martirizzata da anni di guerra civile ieri ha subito un altro attacco del terrorismo internazionale vicino ad Al Qaeda. Tre uomini armati, appartenenti al movimento integralista degli Shabaab (il cui portavoce ha rivendicato l’evento), hanno sferrato un’azione combinata colpendo un albergo della città, uno dei pochi funzionanti. E’ abitualmente frequentato dai membri del Governo provvisorio somalo che risiede a Nairobi in Kenia e si trasferisce di volta in volta a Mogadiscio utilizzando l’infrastruttura assaltata, considerata in area sicura in quanto molto vicina a Villa Somalia, sede ufficiale governativa. Il Ministro somalo dell’Informazione Abderrahman Omar Uthman riferisce di 41 vittime, mentre secondo Al Jazira i morti sono almeno 60 con decine di feriti. A prescindere dalle cifre contrastanti sui coinvolti, ciò che è accaduto riconferma le ipotesi di una penetrazione in Africa del terrorismo internazionale che, sotto la gestione di Al Qaeda, sta impossessandosi di una regione del mondo importantissima, il Corno d’Africa. Un’area geografica che si affaccia sul Golfo di Aden di fronte allo Yemen e che ospita le maggiori rotte commerciali e di rifornimenti energetici trasportati via mare. Un tratto di acqua dove i “cosiddetti pirati somali” imperversano da tempo e colpiscono, quando vogliono nonostante il presidio di consistenti Forza Navali internazionali. A distanza di quasi 20 anni le travagliate vicende che dall’inizio degli anni novanta hanno sconvolto la Somalia, non sono ancora risolte. La comunità internazionale, in questo lasso di tempo, ha troppe volte sottovalutato l’importanza di questa regione africana lasciando insoluti problemi che sicuramente aiutano il terrorismo internazionale. A tale riguardo, è assolutamente condivisibile l’analisi del Ministro Frattini, quando afferma ''se consegniamo la Somalia al terrorismo islamico fondamentalista, tutto il Corno d'Africa precipiterà nel caos''. L’UE e l’ONU continuano a condannare, riversano milioni di aiuti economici sul territorio spesso utilizzati dai “signori della guerra” locali ma non si impegnano in iniziative concrete. Quanto avviene in Afghanistan, in Iraq non viene letto in sistema con quanto accade nel Golfo di Aden, nello Yemen e nell’Africa subsariana. Nel 2003 ci fu un impegno internazionale per controllare lo spazio marino che divide l’Asia dall’Africa, proprio per prevenire possibili insediamenti terroristici di Al Qaeda nel Corno d’Africa, come in passato era già avvenuto in Sudan. Oggi è presente ancora uno schieramento navale militare internazionale che però sembra solo orientato a prevenire e sventare atti di pirateria contro il commercio marittimo piuttosto che a bloccare un travaso di cellule terroristiche. In questo contesto, la presenza dei pirati nel Golfo di Aden è aumentata ed è evoluta con un crescente pericolo per il commercio marittimo e con il consolidamento di basi logistiche ben strutturate, pronte a fare da sponda fra le due rive del Golfo. I gruppi terroristici da sempre presenti in Somaliland e nel Puntland sono impegnati a portare avanti accordi con la pirateria per instaurare una collaborazione attiva che esalti lo stato di tensione. I terroristi utilizzano i pirati e le loro conoscenze di quel tratto di mare per garantire sostegno alle loro attività eversive ed i pirati oltre ad abbordare il naviglio commerciale, controllano il golfo e garantiscono la sicurezza per il passaggio “double way” di navi cariche di armi ed esplosivo e di gruppi operativi da o verso l’Afghanistan, lo Yemen o l’Iraq. Una situazione di criticità che si sta allargando con la presenza di Al Qaeda anche nella fascia subsahariana e nei Paesi del Magreb (Mauritania, Niger, Mali, ecc.), dove si verificano da tempo episodi simili a quanto avviene in mare e che inducono a pensare ad una regia comune. Nel Golfo di Aden i corsari saccheggiano le navi e sequestrano gli equipaggi, la regione subsariana è affidata alla “alta vigilanza” di bande dedite al sequestro di persona e di convogli. Molti analisti ormai condividono la certezza che i pirati, un tempo pescatori, ora sono divenuti combattenti organizzati, strutturati in vere e proprie unità operative complesse coordinate da “Consiglieri Militari” di Al Qaeda o da altri esperti del terrorismo islamico estremista. L’attacco di ieri a Mogadiscio conferma che i terroristi si muovono come e quando vogliono, per cui i problemi non possono essere lasciati alla deriva ed alla tempistica che caratterizza la diplomazia internazionale. La situazione deve, invece, essere affrontata con urgenza e con azioni incisive che cancellino il rischio che la Somalia possa diventare un nuovo Afghanistan. Non ”dichiarazioni di intenti” ma immediati sforzi congiunti che coinvolgano anche forze militari occidentali da affiancare all’attuale impegno dell’Unione Africana, oggi unica presente in area per mandato ONU. Una task force a cui affidare il compito di efficace contrasto alla pirateria marittima non limitato alla sola difesa delle rotte commerciali e nello stesso tempo un capillare ed affidabile controllo del territorio, in particolare in Somaliland. In caso contrario sarà sempre crescente il rischio che con la complicità dei pirati somali, organizzazioni operative di Al Qaeda si trasferiscano attraverso lo Yemen nel Corno d’Africa provenendo dalle Aree Tribali pakistane e da molte province afgane ormai non più sicure. Se ciò avvenisse, il ricatto terroristico oggi proposto con l’impiego degli IED sarebbe arricchito dal controllo delle rotte commerciali e delle “vie del petrolio” da oriente verso occidente ed il Golfo di Aden potrebbe diventare un crocevia di traffici illeciti, primo fra tutti armi, droga e cellule terroristiche dirette ad Ovest.
25 agosto 2010

1 commento:

stavolearm ha detto...

Mi pare che la debolezza delle democrazie e quindi della gran parte del mondo occidentale sia proprio nel prendere delle misure forti e proporzionate alle minacce in nuce od in essere. Cosi' poi si dovranno fare degli sforzi immani, vedi 2GM.