mercoledì 15 dicembre 2010

Guerriglia a Roma

Gli episodi di guerriglia urbana avvenuti nel pomeriggio del 14 dicembre a Roma, evidenziano un’organizzazione ed un coordinamento dei manifestanti che non può essere imputata a studenti impegnati a proporre un loro disappunto. Peraltro, in questa circostanza, gli attori principali erano giovani molti dei quali appena maggiorenni per quanto dato da capire dall’aspetto. Folla di ragazzi scesi in strada per manifestare il dissenso con un approccio goliardico, avulso da qualsiasi forma di violenza. Osservando con attenzione le immagini di quanto accaduto immediata, invece, la conclusione che tutto sia stato preordinato nel dettaglio. La logistica, le modalità operative ed il network delle comunicazioni sicuramente non sono stati improvvisati come non è stata inventata sul momento la tattica delle azioni compiute. Gruppetti che hanno colpito in ordine sparso concentrando in punti prestabiliti la reazione delle forze dell’ordine per favorire l’infiltrazione improvvisa di altri nuclei numericamente modesti ma preparati a colpire obiettivi prefissati ed a ritirarsi immediatamente, diradandosi. Gente dotata di ogni tipo possibile di arma impropria, pale, picconi, stracci imbevuti di liquidi infiammabili, petardi, bombe carta e quanto altro adatto a provocare danni seri alle persone ed alle cose. Manifestanti che hanno raggiunto Roma da tutta Italia ed anche dall’estero come dimostrato dalla cittadinanza francese di uno degli arrestati. Folla, quindi, non estemporanea e casualmente aggregata in gruppi, piuttosto precostituita in nuclei organici organizzati, equipaggiata con appropriati mezzi di offesa in sostituzione dei normali striscioni generalmente utilizzati per rendere pubblico il dissenso. Gravi manifestazioni di violenza gratuita che non dovrebbero più far parte della cultura democratica occidentale e che, invece, dopo decine di anni, sono ritornati prepotentemente ed improvvisamente sulla ribalta europea. Azioni di guerriglia urbana molto simili fra loro, che si susseguono nei principali Paesi europei. Francia, Gran Bretagna, Grecia ed Italia stanno ospitando, infatti, azioni violente che inducono a pensare che nel Vecchio Continente afflitto dalla crisi economica e con un Euro poco stabile, qualcuno opera con la volontà di inasprire le tensioni sociali per imporre realtà politiche altrimenti poco appetibili. Un’ipotesi confermata dal tipo delle tattiche applicate sulle strade e contro la polizia, dal tipo di armi improprie utilizzate, comuni a tante le altre manifestazioni europee che hanno avuto protagonisti gruppi eversivi della stessa origine ed estrazione politica e culturale. Gente forse anche legata alla malavita organizzata, a strutture criminali che traggono beneficio dal clima di tensione a favore dei loro traffici illeciti, primo fra tutti il commercio della droga. Gruppi eredi delle Brigate Rosse italiane, degli irredentisti irlandesi, della Rote Armee Fraktion tedesca e delle minoranze basche spagnole, probabilmente anche collusi con il terrorismo internazionale. E’ incontrovertibile che la tensione esiste e che è destinata a crescere se alimentata da posizioni politiche estreme manifestate attraverso pericolosi incitamenti verbali che possono esasperare gli animi ed indurre ad estremismi, in particolare se diretti verso e giovani generazioni. La storia ci insegna che nel momento che gli studenti scendono in piazza perché manipolati da un’informazione strumentale nasce il pericolo dell’insorgenza di forme di contestazione spesso difficilmente gestibili, con il rischio che la situazione possa trascendere verso forme che riporterebbero qualsiasi situazione mille anni indietro rispetto al momento della conquista dei diritti democratici. Una minaccia che non può essere sottovalutata, ma che deve essere analizzata nel dettaglio per essere in condizione di prevenirla eliminando ogni possibile rischio di vedere in futuro compromesse le garanzie dello Stato di diritto.
15 dicembre 2010

1 commento:

Piero Laporta ha detto...

Quando nei commenti di Rai3, l’Unità, il Manifesto e via infiltrando, si lascia intendere che colui il quale ha aiutato il finanziare assalito da uno sciame di terroristi “non può che essere un infiltrato”, si fa un’involontaria doppia ammissione. Primo. Si esclude che vi siano manifestanti pacifici e pronti a un comportamento civile verso un agente in difficoltà. Secondo. I promotori del corteo sapevano della presenza di delinquenti pronti a tutto e non hanno collaborato con le forze dell’ordine.

Resta il fatto, evidente a chiunque abbia un minimo di esperienza militare e di manifestazioni di piazza, che le centinaia di delinquenti, nascosti nella mandria in corteo e fuoriusciti a comando dalle sue fila, erano dotati di ottimo addestramento, sapevano dove cogliere gli oggetti da tirare (e dunque il percorso del corteo era stato stabilito con lungimiranza), avevano preconfezionato degli ordigni efficaci e, soprattutto, si muovevano in singolare sincronia col grosso del corteo “pacifico”.

La quantità dei delinquenti, il loro sincronismo, la puntualità con la quale rispondevano i loro compagni dalle retrovie, dalle vie circostanti e dalla parte “pacifica” del corteo, sono altrettante certificazioni che la violenza era pianificata e organizzata entro la manifestazione “pacifica”. Resta da capire quanto della parte “pacifica” del corteo fosse “pancia” e quanto “cervello”. Se gli “infiltrati” fossero stati artefici delle violenze sarebbero entrati in contatto con chi guidava il corteo e, allo stesso tempo, avrebbero dovuto avere una leadership sulle centinaia dei delinquenti violenti, la cui sincronia è segno d’una linea di comando e controllo ben sperimentata e conosciuta al loro interno.