domenica 27 marzo 2011

La rivolta araba non si ferma

Avevamo paventato fin dall’inizio che gli eventi nel Maghreb e lo Tsunami del mondo arabo non si sarebbe fermato ed avrebbe oltrepassato il Mediterraneo. Purtroppo il pessimismo a suo tempo manifestato si sta presentando come una triste realtà. Mentre l’attenzione del mondo è concentrata sulla Libia, a Sanaa, a Damasco, a Manama e presto forse anche in Arabia Saudita la popolazione “improvvisamente” ha preso coscienza di essere oppressa da dittature ereditarie ed è scesa in piazza. I regimi minacciati hanno applicato una regola comune, quella di reprimere con la forza le manifestazioni del dissenso, uccidendo la gente alla stessa stregua di quanto fatto da Geddafi e superando di gran lunga le reazioni dei deposti Ben Alì e Mubarak. L’Occidente ed in particolare gli Stati Uniti in passato hanno appoggiato i governi ora contestati dalla popolazione anche di fronte a situazioni palesemente non garanti la difesa dei diritti umani delle popolazioni. Come dimenticare l’inerzia dell’ONU per le palesi prevaricazioni dei diritti sociali elementari come la rivoluzione iraniana del 1979, i massacri attuati dai gruppi di fondamentalisti islamici algerini, la politica del Presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, le vicende di Gaza dl 2006, le azioni dei Fratelli Mussulmani ed i recenti accordi fra La Siria e l’Iran con un palese interesse per un Afghanistan sicuramente non moderato. Quella stessa Comunità internazionale che dopo la liberazione del Kuwait abbandonò gli sciiti dell’Iraq alla loro sorte dopo averne incoraggiato la rivolta contro Bagdad e che guardò disinteressata all’uso delle armi chimiche contro i curdi, oggi si preoccupa giustamente dei diritti della popolazione libica minacciata dalle repressioni dei rais, ma sembra non accorgersi che il Presidente siriano, quello yemenita ed il Sultano del Barhain ordinano di sparare sulla folla che manifesta. Una serie di preoccupanti avvenimenti che stanno avvenendo in aree strategicamente sensibili per la sicurezza europea, in particolare la Siria che deve affrontare il diffuso senso di stanchezza che coinvolte ormai quasi tutta la società siriana nei confronti dell’arroganza del potere, le differenti rivendicazioni che arrivano dai diversi livelli della società ed il pericolo che i nemici interni del regime potrebbero approfittare degli eventi per accelerare la fine del Presidente. Ciò che è iniziato nel Maghreb sta coinvolgendo tutto il Medio Oriente ed induce in tutto il mondo occidentale il timore per un possibile risveglio del terrorismo islamico su scala globale. Un’eventualità da non sottovalutare in quanto avvenimenti come quelli tunisini, egiziani e libici, accompagnati dagli accadimenti siriani ed yemeniti lasciano aperte le porte a possibili vuoti di potere che potrebbero favorire il radicarsi di ben altre forme di tirannia. L’Unione Europea con molto ritardo si occupa solo di Geddafi evidenziando peraltro sostanziali divisioni fra i singoli Stati membri che spingono a dubitare sulla reale volontà di tutti di agire solo per raggiungere gli scopi fissati dalla risoluzione 1973. E’ palese che la Coalizione internazionale appoggia i ribelli libici nel momento che bombarda le truppe di Geddafi anche se in ritirata, con una scelta che nel medio termine potrebbe risultare pericolosa per la sicurezza internazionale. Per ora né Al Qaeda né altri gruppi terroristici sembra che abbiano avuto un gioco rilevante nelle dimostrazioni di piazza, ma potrebbero averlo nell’immediato futuro quando la gente cercherà di pretendere ciò che l’ha spinta a ribellarsi al potere. L’interesse dei vari Bin Laden per le vicende in corso potrebbe acuirsi improvvisamente nel momento che la ventata di democrazia della società islamica potrebbe intaccare la loro visibilità. Peraltro, l’instaurarsi di improvvisi assetti democratici dove per decenni il popolo ha dovuto sopportare vessazioni tiranniche potrebbe non ottenere i risultati sperati ed indurre, invece, frustrazione in chi si è impegnato anche a rischio della propria vita. Eventualità che rappresenterebbero un’occasione per i gruppi terroristici o per l’affermazione di formazioni di estremisti interessate a sostituire i tiranni esiliati. L’Occidente, quindi, dovrà farsi carico di aiutare a crescere queste nuove realtà emergenti con equidistanza nei confronti delle varie realtà locali. Un impegno in cui il ruolo dell’Europa prossima più di altri alle aree di crisi dovrà essere preminente con lo sviluppo di concrete azioni di capacity building destinate a sostituire nell’immediato l’intervento militare ed a riprendere il tradizionale colloquio con le comunità islamiche. 27 marzo - ore 17.00

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