sabato 30 aprile 2011

Lo spettro di Al Qaeda sulle rive del Mediterraneo

In Libia Geddafi propone un negoziato mentre seguita a sparare sui civili. In Siria i carri armati si attestano minacciosi alla periferia di Damasco e l’Esercito spara sulla folla nelle strade di Daraa a sud del Paese. In Egitto, il Governo di transizione garante della futura democrazia reprime con la forza il ritorno di fiamma delle manifestazioni di massa. Segnali sicuramente non rassicuranti e che confutano le affermazioni di coloro che, con un approccio esasperatamente ottimistico, avevano giudicato positivamente i “venti di fronda” dell’Africa Settentrionale. Invece, i fatti hanno dimostrato la validità di ben altre previsioni che fin dall’inizio degli eventi hanno denunciato la probabilità che lo tsunami delle rivendicazioni si estendesse in tutto il Medio Oriente. Un’onda anomala che non sembra attenuarsi come dimostrano gli eventi in Siria, nello Yemen, nel Barheim e che sfiorano anche la Giordania ed il Libano. Una sorta di jihad a cui sicuramente concorre Al Qaeda che troppo frettolosamente è stata considerata in via di disgregazione. L’attentato di Marrakech in Marocco dimostra, invece, che almeno la componente magrebina di Al Qaeda è assolutamente attiva e forse in collegamento con le cellule che operano in Libia. Un’organizzazione pronta ad affermare le sue posizioni integraliste approfittando della situazione che si è venuta a creare nell’Egitto del post Mubarak, nella Tunisia dopo Ben Alì e che presto caratterizzerà la Libia post Geddafi. In Marocco, la presenza di elementi jihadisti vicini all’organizzazione di Al Qaeda per il Maghreb islamico (AQMI) è stata accertata da tempo. Alla fine di gennaio, mentre montava la rivolta in Tunisia, l’Intelligence di Rabat ha arrestato 27 sospetti terroristi coordinati da un esponente di AQMI impegnato a strutturate una base da cui lanciare attentati terroristici all’interno del paese ed all’estero. Un banda sospettata, anche, di avere collegamenti con l’organizzazione separatista Polisario e di essere vicina al Gruppo Salafista per la Predicazione e il Combattimento (GSPC), ormai integrata con Al Qaeda. Nuclei con basi radicate in Algeria e nelle zone desertiche fra il Mali ed il Niger dove, come riferito dal quotidiano arabo Al Hayat, affluiscono ogni giorno rifornimenti di armi e munizionamenti, rastrellati dalle cellule di Al Qaeda presenti in Libia. Gruppi estremistici che potrebbero approfittare della situazione in Africa settentrionale per coagulare alleanze con altre fazioni di fondamentalisti come i Fratelli Mussulmani ed il Gruppo Islamico Marocchino Combattente che, come sospettato, ha anche cellule dormienti in Europa. L’attentato di Marrakech, peraltro, ha ottenuto un effetto psicologico assolutamente negativo proprio nei confronti dell’Occidente che garantisce al Marocco il flusso turistico, prima risorsa economica di un Paese ancora non toccato dalla sollevazione popolare. Un atto forse compiuto da colui che otto anni orsono realizzò l’attacco kamikaze a Casablanca con 33 vittime e che recentemente è stato liberato per un atto di clemenza del re Mohammed VI. L’azione, secondo quanto riferisce l’intelligence marocchina, è stata opera di un gruppo ben preparato e non da un kamikaze isolato. L’ordigno molto potente sembra che sia stato fatto esplodere con un radiocomando a distanza e fonti affidabili riferiscono che l’azione è stata preannunciata su Internet con un video in cui cinque uomini mascherati dichiaravano l’intenzione di azioni terroristiche in difesa dei detenuti politici in Marocco. L’evento colpisce il Paese in un momento di estrema criticità per il governo che ha promesso riforme giudicate insufficienti dalla popolazione e ferisce nel cuore una realtà del mondo arabo considerata fra le più avanzate in termini di libertà e laicità e che potrebbe frenare il processo di democratizzazione in corso. E’ stata coinvolta una delle zone della città imperiale marocchina maggiormente frequentate dagli occidentali, il caffè Argana dal cui terrazzo è possibile apprezzare la bellezza della piazza Jemaa al Fna di Marakech, considerata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. Un segnale forse destinato a superare la sponda del Mediterraneo, indirizzato verso l’Europa, in particolare diretto ai Paesi responsabili dell’escalation bellica contro la Libia come la Francia di Sarkozy che Al Qaeda considera un nemico dell’integrazione islamica con l’Occidente. Anche un avviso per un Occidente che dimostra di essere estremamente sensibile per una Libia ricca di petrolio, ma che rimane disattento per quanto accade in Siria come se i dimostranti di Damasco e di Daraa fossero diversi da chi è caduto durante le manifestazioni in Tunisia ed in Egitto ed oggi muore in Libia. E’ importante, quindi, capire chi ci sia dietro l’attentato, se si tratti di un gruppo isolato piuttosto che una “scheggia impazzita”, o se il tutto si sia svolto sotto la regia di una grande struttura terroristica internazionale che si sta organizzando e che potrebbe minacciare ancora una volta il mondo Occidentale con un nuovo 11 settembre.
29 aprile 2011, ore 16,30

lunedì 11 aprile 2011

AL Qaeda si avvicina al Mediterraneo

Gli avvenimento contemporanei in Africa Settentrionale, in Medio Oriente, in Afghanistan ed in Pakistan inducono a pensare che sia in atto una riorganizzazione di Al Qaeda sul piano globale. La comunità internazionale è concentrata sulle vicende del mondo arabo, mentre gli uomini di Bin Laden tornano a colpire in Afghanistan e in Pakistan. Una ripresa cruenta che coinvolge principalmente l’Afghanistan, da sempre lo scenario più favorevole a Bin Laden, dove nell’ultima settimana sono aumentati gli attacchi terroristici in molte aree del Paese e nella stessa Kabul. Oggi l’ANSA informa che i talebani progettano, anche, la realizzazione di basi permanenti nelle montagne della provincia orientale del Nuristan, immediatamente a ridosso del confine con il Pakistan. Lo ha reso noto il governatore Jamaluden Badar che teme grossi problemi di sicurezza nella nevralgica provincia afgana del Nuristan, se la situazione non sarà rapidamente affrontata da Karzai. Fonti giornalistiche USA riferiscono anche dell’esistenza di nuovi campi di addestramento realizzati nel distretto di Konegharv a nord est del Paese, confermando che da almeno sei mesi Al Qaeda si sta riorganizzando approfittando di un certo rallentamento di attenzione della NATO. Anche nel nord - ovest del Pakistan, è in corso un riassetto delle forze eversive di Al Qaeda. Nel Waziristan settentrionale, 350 kamikaze si stanno addestrando come precisato da Umar Fidai, un attentatore superstite dell’attacco suicida attuato recentemente contro il tempio sufi di Saki Sarwar a 45 km Dera Ghazi Khan ai confini del Pakistan con l’India. Una situazione che comincia a preoccupare anche governi occidentali ed il primo ministro inglese Cameron la scorsa settimana si è recato ad Islamabd accompagnato da Sir John Sawer responsabile dell’M16 (l’intelligence britannico) e si è impegnato a fornire un supporto tecnico dell’M16. L’accordo prevede di organizzare a Peshawar una scuola di formazione per gli apparati di sicurezza pakistani, alla stessa stregua di quanto avvenne fra il 1987 ed il 1989 per appoggiare la resistenza afgana contro l’invasore sovietico. Bin Laden sicuramente segue con attenzione ciò che sta avvenendo in Africa settentrionale, attraverso le sue cellule presenti da tempo nel Maghreb ed in Cirenaica. Nuclei che già in passato hanno alimentato la jihad contro l’Occidente reclutando volontari libici come è stato scoperto da un Data Base scaricato da un computer portatile di un certo Sinjar, leader di Al Qaeda ucciso nel 2007 ai confini della Siria con l’Iraq. Fonti ufficiali americane riferiscono che in Libia sono state individuate varie tracce della presenza di Al Qaeda a favore dei ribelli. Combattenti quaedisti impegnati a fianco degli insorti, in particolare come istruttori e strutture vicine all’organizzazione terroristica, che dall’Egitto e dal Tchiad riforniscono di armi i rivoltosi. Lo stesso Mustapha Gherani, portavoce del Governo provvisorio, ha ammesso la presenza di costoro indicando due esponenti di spicco della rete terroristica impegnati nella formazione dei ribelli. Mujaheddin in possesso di consolidata e pregressa esperienza maturata nei vecchi campi di addestramento afgani, come un certo Sufyan Ben Qumu vicino a Bin Laden fin dai tempi del Sudan e reduce da Guantanamo dopo una permanenza di quasi sette anni. Altri segnali giungono dall’Egitto confermando che forse elementi fondamentalisti si stanno consolidando nell’area iniziando ad infiltrare la piazza ed a rivitalizzare i moti rivoluzionari. Il governo transitorio egiziano dimostra una certa preoccupazione ed ha iniziato a riavvicinarsi a Paesi arabi coinvolti dall’onda rivoluzionaria. Recente la visita a Damasco del Generale Mohammed Muafi, responsabile dell’intelligence egiziana, che ha incontrato il presidente siriano Bashar al Assad per rinsaldare le relazioni siro - egiziane “nell'interesse dei due popoli fratelli e di tutti gli arabi”, come riferito da una nota ufficiale dei due governi. Una Siria dove proprio in questi giorni la repressione della rivolta sta provocando centinaia di morti, mentre la Comunità internazionale sembra non accorgersene perché troppo impegnata a garantire i diritti e la sicurezza della popolazione civile libica, seppure con l’uso delle armi. L’intero Medio Oriente potrebbe incendiarsi se il regime siriano cadesse, aprendo un varco all’espansione ed al radicamento di Al Qaeda come avvenuto alla fine degli ’80 in Afghanistan quando l’Occidente assicurò un incondizionato e non controllato sostegno politico e militare alla resistenza afgana creando, di fatto, le premesse per l’insediamento dei Talebani e di Bin Laden. Oggi, una non attenta gestione del problema libico e nord africano in generale, potrebbe favorire Al Qaeda che in breve tempo arriverebbe sulle coste africane del Mediterraneo ed al Golfo di Aden passando da Suez. . 11 aprile 2011, ore 17.30