mercoledì 15 febbraio 2012

La jihiad in Siria, un altro pericolo per l'Occidente

Il 12 febbraio Ayman al Zawahiri, l'erede di Bin Laden, ha diffuso un video su Internet incitando i mussulmani turchi, iracheni, libanesi e giordani a sostenere la ribellione contro Damasco. Una conferma che Al Qaeda, ancora una volta, cerca di approfittare delle rivolte locali per raggiungere il proprio obiettivo principale, il ritorno ad un califfato transnazionale. La situazione siriana potrebbe offrire un momento favorevole in quanto sicuramente destinata ad avviarsi verso un’ulteriore escalation dopo il veto cinese e russo alla risoluzione dell’ONU che intendeva porre fine al massacro dei manifestanti siriani. Un aumento delle tensioni che potrebbe sfociare in una vera e propria guerra civile con una ricaduta negativa sulla stabilità di tutta l’area e tale da richiamare l’attenzione ed interventi diretti della comunità internazionale. Al momento è già palese l’interesse di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia che insieme a Paesi del Golfo come il Qatar e l’Arabia Saudita, hanno promosso la risoluzione dell’ONU poi respinta dalla Russia e dalla Cina. Significativa la partecipazione attiva dei Paesi arabi, un tempo alleati di Damasco, ora preoccupati per i problemi palestinesi e per l’appoggio siriano ed iraniano agli Hezbollah libanesi, da sempre nemici di Riyad. Anche la Turchia sta dimostrando un certo interesse per quanto accade nella confinante Siria. Asmara ha iniziato a garantire sostegno alla formazione di un’organizzazione armata fondata da disertori dell’Esercito siriano, che inquadra moltissimi dei ribelli contro il regime di damasco (Free Syrian Army – FSA). Sicuramente l’Occidente ha interesse che Assad lasci la guida del Paese per interrompere definitivamente il link Damasco – Teheran e per accelerare l’uscita della Siria dall’alleanza islamica che sta coinvolgendo sempre di più Afghanistan, Pakistan ed Iran. Una realtà che probabilmente inizierà ad ufficializzare le proprie intenzioni in occasione della riunione programmata il 16 e 17 febbraio p.v. ad Islamabd , e che potrebbe condizionare in maniera determinante il futuro di tutta l’area mussulmana del Centro Asia e rappresentare, anche, una minaccia per l’Arabia Saudita e tutti i Paesi del Golfo. Una situazione complessa che va affrontata con provvedimenti mirati e dopo attenta analisi, per evitare che il crollo del regime di Assad dia inizio ad un conflitto regionale, che potrebbe favorire, ancora una volta, l’espansione di forze jihadiste vicine ad Al Qaeda come avvenuto in Libia. Una preoccupazione che sta già coinvolgendo sul piano politico l’Occidente. In particolare gli USA e la Gran Bretagna che, come riferiscono fonti attendibili, stanno affiancando ai ribelli siriani esperti militari, ripetendo l’esperienza libica. Alla stessa stregua, anche, di quanto avvenuto in Afghanistan alla fine degli anni '80 quando l’Occidente appoggiò gli afgani contro l’invasore sovietico con mujahideen inquadrati in "Brigate islamiche" di combattenti arabi. Situazione di cui potrebbe approfittare Al Qaeda perché esperienza già vissuta in Afghanistan dagli attuali capi dell’organizzazione ed origine del consolidamento del movimento guidato da Bin Laden. Iniziative militari che sono accompagnate anche da progetti politici come la nomina nel 2011 dell’Ambasciatore USA a Damasco, Robert S. Ford, già numero due dell'Ambasciata americana a Bagdad dal 2003 al 2005. Diplomatico di grandi capacità che, insieme a Negroponte, ha giocato un ruolo fondamentale nell'operazione "salviamo l'Iraq", interfacciandosi con le forze paramilitari irachene, decisive nella vittoria contro Saddam, e modellate sull'esperienza precedentemente maturata da Robert nel Centro America. Una rappresentanza diplomatica in Siria, perfettamente interfacciata con il Generale David Petraeus, neo Direttore della CIA che, come Comandante del "Multi National Security Transitin Command (MNSTC)" impegnato nel programma "Counterinsurgency" in Iraq, nel 2004 fu il naturale riferimento militare di Robert S. Ford. Anche in Siria, dunque, si stanno imponendo modelli politico / militari già noti e sperimentati in altri Paesi e si continua come in altre occasioni a lasciare spazio ad entità non meglio connotate, ma vicine alle forze quadiste. Unità attestate a ridosso del confine siriano con l’Iraq e la Giordania, che garantiscono alle forze ribelli i rifornimenti che arrivano da Ankara e Ryad. Elementi che se sfuggiranno al controllo, come avvenuto a Kabul all’inizio degli anni ’90, potrebbero rappresentare nel medio termine una nuova minaccia eversiva. Un eventuale intervento militare di una Coalizione internazionale occidentale con lo scopo di stabilizzare l’area che, seppure accettata dalla Lega Araba come avvenuto per la Libia, sarebbe destinata ad incidere negativamente sulla situazione generale, ampliando l'area di conflittualità con il coinvolgimento di tutto il Medio Oriente e dell'Asia Centrale, fino al Mediterraneo. E’ inequivocabile che Assad se ne debba andare, ma è altrettanto vero che è assolutamente necessario evitare gli errori del passato, quando per appoggiare la resistenza afgana contro l'invasore sovietico ed accelerare la caduta del Muro di Berlino, fu lasciato spazio a Bin Laden, che, approfittando della situazione, ebbe vita facile nel consolidare la sua rete terroristica contro l'Occidente. Un processo che probabilmente si è ripetuto in parte in Libia lasciando spazio ad ex esponenti di spicco di Al Qaeda e che se si estendesse anche in Siria potrebbe rappresentare una nuova ed importante minaccia globale. Perché ciò non avvenga devono essere evitate le “alleanze parallele” tipo quella della Gran Bretagna – Francia per la crisi libica e Francia – Turchia che, nel caso specifico della Siria, hanno proposto autonomamente di creare un gruppo di opposizione vicino al popolo siriano, pronto a sostenere l’opposizione sul piano finanziario e umanitario Realtà tipiche del periodo della “Guerra Fredda”, con USA, Francia, Gran Bretagna, Arabia Saudita, Qatar e Turchia pronti a sostenere politicamente e materialmente i ribelli e un’altra parte - l’Iran, gli Hezbollah libanesi, la Russia e forse anche la Cina - impegnata a sostenere il regime di Damasco. Condizioni di estrema labilità che non contribuiscono a creare stabilità nel Medio Oriente, ma che agevolerebbero l’inserimento di forze radicali islamiche, favorite anche dall’insorgenza di vecchi rancori fra i sunniti che in Libano appoggiano il partito al Mustaqbal di Sadd Hariri vicini ai ribelli e gli sciiti Hezbollah fedeli ad Assad. Un terreno fertile perché la jihad radicale ed eversiva si rinvigorisca in un’area strategica, con conseguenze difficilmente prevedibili in particolare per Israele..
Roma 15 febbraio 2012, ore 13.00

Nessun commento: