Era ipotizzabile, è stato previsto ed è avvenuto. La Primavera Araba ha
indotto speranze di democrazia e stabilizzazione delle aree islamiche del nord
Africa e parte della comunità internazionale ha creduto nel rinnovamento che,
invece, non c’è stato. Piuttosto,
assistiamo ad una regressione che cancellando le aspettative delle popolazioni
sta creando grosse incertezze in tutto il mondo arabo ed in Occidente.
Il fanatismo religioso dilaga sempre di più cancellando l’aspirata
laicità che avrebbe dovuto contraddistinguere i nuovi Governi nati sulla deriva
post rivoluzionaria. Esaltazione religiosa che, peraltro, sta coinvolgendo Paesi
islamici, in precedenza mai sfiorati dal fenomeno, se non per qualche sporadico
episodio.
Una radicalizzazione in continua crescita che coinvolge Tunisia,
Egitto e Libia e sta trascinando in un baratro la Siria, espandendosi, come avevamo previsto, nel Centro Africa fino
a toccare l’Indonesia e la lontanissima Australia.
Un processo che cancella la convivenza culturale,
tradizionale e religiosa raggiunta a
fatica nei decenni e che si sta trasformando in odio culturale e religioso
esaltando l’intransigenza, in particolare nei confronti dei cristiani e
dell'Occidente.
Una permeazione lenta ma incisiva che sta coinvolgendo
tutto il Mediterraneo e si avvicina pericolosamente ad Israele. Quasi una
regressione storica ritornando a quando il Sinai era terra di nessuno e
rappresentava la naturale via di penetrazione per chi volesse compiere atti
eversivi contro lo Stato ebraico, violandone i confini meridionali.
Oggi, dopo la Primavera Araba ,
attraverso il deserto torna a passare di tutto. Militanti delle Brigate dei
martiri di Al Asqa (il braccio armato di Fatha), armi provenienti dalla
disfatta dell'esercito lealista libico, profughi africani dal Mali, Sudan e
Nigeria accompagnati da un crescente traffico di droga.
Una situazione favorita dalla transizione che sta vivendo
l'Egitto post Mubarak che prima della Primavera Araba aveva rappresentato una
barriera naturale e politica a favore di Israele, contro ogni forma di eversione che poteva
arrivare dalla striscia di Gaza fino a colpire Tel Aviv.
La minaccia islamica contro lo Stato ebraico è, dunque, rinvigorita
rispetto alla situazione di relativa calma precedente alla Primavera Araba che
sicuramente ha favorito l’apertura di un altro fronte lungo i confini
meridionali dello Stato ebraico, che si aggiunge alla pressione degli Hezbollah
lungo i confini del Libano ed alle continue
minacce di Teheran, l’avversario più imprevedibile e pericoloso.
Le minacce iraniane per ora solo verbali potrebbero trasformarsi in veri e propri atti di
guerra perché nel Paese si sta sempre
più affermando l'ala oltranzista vicina alla guida suprema Ali Khamenei e che,
molto probabilmente, nel breve periodo prenderà il posto delle le fazioni
populiste e radicali favorevoli al
Presidente Mahamoud Annadinejad. Una situazione destinata ad alimentare l'odio
verso l'atavico avversario israelita, rendendo ancora più fluida e dai contorni
sfumati tutta la sicurezza dell’area mediterranea e del Medio Oriente.
Semplificando, possiamo affermare che nella Regione si
sta connotando un’area triangolare di estrema instabilità che si consolida
sempre di più anche per la disattenzione di Washington distratta dalle prossime
elezioni presidenziali. Una figura geometrica proiettata sul territorio i cui
vertici coincidono con realtà politiche e culturali da sempre vicine
all’estremismo religioso.
Teheran, sempre più convinta che lo stato di Israele deve
essere annientato. Damasco destinata a breve ad ospitare un Governo sicuramente
non laico che potrebbe favorire la pressione degli Hezbollah libanesi alleati e
sponsorizzati dall’Iran. Gaza dove incombe sempre di più la presenza di Al
Qaeda che potrebbe approfittare della emergente ala oltranzista di Hamas che si
sta affermando sui moderati. Al centro Tel Aviv, minacciata dall’accerchiamento
dei gruppi fondamentalisti islamici partoriti dalla Primavera Araba e che giorno dopo giorno
consolidano la loro presenza nelle
regioni mediterranee dell’Africa mussulmana.
Israele monitorizza costantemente la situazione ed è
lecito supporre che stia già procedendo
alla simulazione di azioni atte a contrastare possibili attacchi da tre
direzioni. Iran, Hezbollah sciiti e penetrazione attraverso il deserto del
Sinai di gruppi terroristici provenienti dalla striscia di Gaza. Membri del
gruppo armato di Hamas la cui presenza è confermata insieme a quella di cellule
operative del Mossad israeliano.
Notizie di questi giorni riportano che agenti della
struttura Kidan, cellula operativa dell’intelligence di Tel Aviv, hanno eliminato
Ibrahim Qudab Bereikat agente della jihad islamica a capo di cellule
terroristiche presenti in Sinai dalla fine della Primavera Araba. Un’azione discreta
quella del Mossad, ma efficace per
controllare l'insorgenza terroristica,
in particolare a ridosso dello strategico punto di confine egiziano di Karem Abu Salem.
Il clima di insicurezza, inoltre, è esaltato dalla corsa
al nucleare di Teheran. Fonti dell'intelligence ebraico riferiscono che entro
il prossimo novembre l'Iran avrà arricchito al 20% grandi quantità di uranio
sufficiente per realizzare testate nucleari sporche. Valutazioni che trovano
anche riscontro in recenti episodi avvenuti in Germania con l'arresto di
iraniani / tedeschi sospettati di esportare in Iran componenti tecnologiche
fondamentali per la realizzazione di centrali per l'arricchimento dell'uranio.
Dall'Iran, continuano ad arrivare voci di smentita sullo
sviluppo di un nucleare per scopi militari ma, nel frattempo, è aumentata la sperimentazione di missili di
lunga gittata predisposti per essere equipaggiati anche con testate non
convenzionali.
La situazione è in continua evoluzione e potrebbe essere
pesantemente condizionata da come si concluderanno le vicende siriane e da
quale sarà il dopo Assad che fino ad ora ha giocato un ruolo di cuscinetto che,
anche se indirettamente, ha garantito migliori condizioni di sicurezza per
Israele e per l’intero bacino del Mediterraneo orientale, alla stessa stregua
di quanto ottenuto in passato durante la guerra fredda dall’ex Jugoslavia di
Tito nei confronti dell'Occidente.
Un contesto sicuramente
dai contorni sfumati, che investe da
vicino la sicurezza di Israele e di tutta l’Area Mediterranea per arrivare a
coinvolgere tutto l’Occidente già minacciato da una pressante recrudescenza del fanatismo religioso islamico
che ormai opera in maniera globale.
26 settembre 2012, ore 18.00