venerdì 28 settembre 2012

Dalla Primavera Araba alle tensioni Israele - Iran


Era ipotizzabile, è stato previsto ed è avvenuto. La Primavera Araba ha indotto speranze di democrazia e stabilizzazione delle aree islamiche del nord Africa e parte della comunità internazionale ha creduto nel rinnovamento che, invece,  non c’è stato. Piuttosto, assistiamo ad una regressione che cancellando le aspettative delle popolazioni sta creando grosse incertezze in tutto il mondo arabo ed in Occidente.

Il fanatismo religioso dilaga sempre di più cancellando l’aspirata laicità che avrebbe dovuto contraddistinguere i nuovi Governi nati sulla deriva post rivoluzionaria. Esaltazione religiosa che, peraltro, sta coinvolgendo Paesi islamici, in precedenza mai sfiorati dal fenomeno, se non per qualche sporadico episodio.  

Una radicalizzazione in continua crescita che coinvolge Tunisia, Egitto e Libia e sta trascinando in un baratro la Siria, espandendosi,  come avevamo previsto, nel Centro Africa fino a toccare l’Indonesia e la lontanissima Australia. Un processo che cancella la convivenza culturale, tradizionale e  religiosa raggiunta a fatica nei decenni e che si sta trasformando in odio culturale e religioso esaltando l’intransigenza, in particolare nei confronti dei cristiani e dell'Occidente.

Una permeazione lenta ma incisiva che sta coinvolgendo tutto il Mediterraneo e si avvicina pericolosamente ad Israele. Quasi una regressione storica ritornando a quando il Sinai era terra di nessuno e rappresentava la naturale via di penetrazione per chi volesse compiere atti eversivi contro lo Stato ebraico, violandone i confini meridionali.

Oggi, dopo la Primavera Araba,  attraverso il deserto torna a  passare di tutto. Militanti delle Brigate dei martiri di Al Asqa (il braccio armato di Fatha), armi provenienti dalla disfatta dell'esercito lealista libico, profughi africani dal Mali, Sudan e Nigeria accompagnati da un crescente traffico di droga.

Una situazione favorita dalla transizione che sta vivendo l'Egitto post Mubarak che prima della Primavera Araba aveva rappresentato una barriera naturale e politica a favore di Israele,  contro ogni forma di eversione che poteva arrivare dalla striscia di Gaza fino a colpire  Tel Aviv.

La minaccia islamica contro lo Stato ebraico è, dunque, rinvigorita rispetto alla situazione di relativa calma precedente alla Primavera Araba che sicuramente ha favorito l’apertura di un altro fronte lungo i confini meridionali dello Stato ebraico, che si aggiunge alla pressione degli Hezbollah lungo i confini del Libano ed alle  continue minacce di Teheran, l’avversario più imprevedibile e pericoloso.

Le minacce iraniane per ora solo verbali  potrebbero trasformarsi in veri e propri atti di guerra  perché nel Paese si sta sempre più affermando l'ala oltranzista vicina alla guida suprema Ali Khamenei e che, molto probabilmente, nel breve periodo prenderà il posto delle le fazioni populiste e  radicali favorevoli al Presidente Mahamoud Annadinejad. Una situazione destinata ad alimentare l'odio verso l'atavico avversario israelita, rendendo ancora più fluida e dai contorni sfumati tutta la sicurezza dell’area mediterranea e del Medio Oriente.

Semplificando, possiamo affermare che nella Regione si sta connotando un’area triangolare di estrema instabilità che si consolida sempre di più anche per la disattenzione di Washington distratta dalle prossime elezioni presidenziali. Una figura geometrica proiettata sul territorio i cui vertici coincidono con realtà politiche e culturali da sempre vicine all’estremismo religioso.

Teheran, sempre più convinta che lo stato di Israele deve essere annientato. Damasco destinata a breve ad ospitare un Governo sicuramente non laico che potrebbe favorire la pressione degli Hezbollah libanesi alleati e sponsorizzati dall’Iran. Gaza dove incombe sempre di più la presenza di Al Qaeda che potrebbe approfittare della emergente ala oltranzista di Hamas che si sta affermando sui moderati. Al centro Tel Aviv, minacciata dall’accerchiamento dei gruppi fondamentalisti islamici partoriti  dalla Primavera Araba e che giorno dopo giorno consolidano  la loro presenza nelle regioni mediterranee dell’Africa mussulmana.

Israele monitorizza costantemente la situazione ed è lecito supporre che stia  già procedendo alla simulazione di azioni atte a contrastare possibili attacchi da tre direzioni. Iran, Hezbollah sciiti e penetrazione attraverso il deserto del Sinai di gruppi terroristici provenienti dalla striscia di Gaza. Membri del gruppo armato di Hamas la cui presenza è confermata insieme a quella di cellule operative del Mossad israeliano.   

Notizie di questi giorni riportano che agenti della struttura Kidan, cellula operativa dell’intelligence di Tel Aviv, hanno eliminato Ibrahim Qudab Bereikat agente della jihad islamica a capo di cellule terroristiche presenti in Sinai dalla fine della Primavera Araba. Un’azione discreta quella del Mossad,  ma efficace per controllare l'insorgenza terroristica,  in particolare a ridosso dello strategico punto di confine egiziano di  Karem Abu Salem.

Il clima di insicurezza, inoltre, è esaltato dalla corsa al nucleare di Teheran. Fonti dell'intelligence ebraico riferiscono che entro il prossimo novembre l'Iran avrà arricchito al 20% grandi quantità di uranio sufficiente per realizzare testate nucleari sporche. Valutazioni che trovano anche riscontro in recenti episodi avvenuti in Germania con l'arresto di iraniani / tedeschi sospettati di esportare in Iran componenti tecnologiche fondamentali per la realizzazione di centrali per l'arricchimento dell'uranio.

Dall'Iran, continuano ad arrivare voci di smentita sullo sviluppo di un nucleare per scopi militari ma, nel frattempo,  è aumentata la sperimentazione di missili di lunga gittata predisposti per essere equipaggiati anche con testate non convenzionali.  

La situazione è in continua evoluzione e potrebbe essere pesantemente condizionata da come si concluderanno le vicende siriane e da quale sarà il dopo Assad che fino ad ora ha giocato un ruolo di cuscinetto che, anche se indirettamente, ha garantito migliori condizioni di sicurezza per Israele e per l’intero bacino del Mediterraneo orientale, alla stessa stregua di quanto ottenuto in passato durante la guerra fredda dall’ex Jugoslavia di Tito nei confronti dell'Occidente.

Un contesto  sicuramente dai contorni sfumati,  che investe da vicino la sicurezza di Israele e di tutta l’Area Mediterranea per arrivare a coinvolgere tutto l’Occidente già minacciato da una pressante  recrudescenza del fanatismo religioso islamico che ormai  opera in maniera globale.

26 settembre 2012, ore 18.00

giovedì 13 settembre 2012

La Primavera Araba ed il fondamentalismo islamico


Fondamentalisti islamici hanno ucciso ieri a Bengasi l’Ambasciatore statunitense in Libia. Un omicidio compiuto quasi sicuramente da cellule di  Al Qaeda che dimostra  come la Primavera Araba stia aprendo le porte ad un fondamentalismo islamico organizzato in gruppi che applicano precise tattiche militari prepianificate.

 L’evento di ieri, infatti, non è stato casuale. Non un atto sconsiderato indotto da un’improvvisa esaltazione di un gruppo di manifestanti, ma un vero e proprio episodio militare  condotto con un perfetto coordinamento sul terreno come l’efficacia dei risultati hanno dimostrato. Un’azione possibile solo se sviluppata da nuclei addestrati ad interoperare e che per azzerare la probabilità di insuccesso hanno probabilmente svolto in precedenza cicli simulati della stessa operazione.

Un attacco sferrato contro il simbolo degli USA in Libia, che evidenzia anche un’attenta gestione politica dell’azione. L’omicidio è, infatti,  avvenuto in concomitanza di tre momenti significativi.

L’undicesimo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle di New York; le manifestazioni della folla contro l’Ambasciata americana al Cairo quasi a voler creare un falso scopo ed, infine, la dichiarazione del Capo di Al Qaeda Al Zawahiri che proprio ieri ha ufficializzato la morte del suo vice, il libico Abu Yahaha al Libi, avvenuta nel Warziristan pakistano dopo un raid  di Drone americani.

I fatti di Bengasi rappresentano la punta dell’iceberg di un fenomeno  strisciante di emergente fondamentalismo che da tempo caratterizza tutta  l’area che ha ospitato la Primavera Araba nata come riscossa di una democrazia laica secondo la visione ottimistica di molti del mondo occidentale, ma che di fatto ha portato a ben altro.  L’estremismo islamico si sta appropriando, infatti,  delle aspirazioni di quelle popolazioni e le manipola sotto lo sguardo disinteressato del mondo occidentale.

Un Occidente che ha permesso l’esecuzione sommaria di Gheddafi mente fuggiva. Un massacro definito negli Stati Uniti, in Europa ed in Italia come “ una vittoria del popolo libico”, mentre il Governo di Bengasi si affrettava a riaffermare la sharia coranica come base fondamentale della nuova Costituzione libica  e nominava Comandante militare di Tripoli tale Abdel Hakim Bellhady, un tempo molto vicino a Bin Laden e già ospite per lungo tempo di Guantalamo.

Alla stessa stregua, in Egitto è stata favorita la deposizione del dittatore Mubarak  aprendo la porta ai Fratelli Mussulmani sicuramente non laici ed a Tunisi che venisse cacciato il tiranno Bel Alì spianando la strada all’affermazione degli Ennahda, movimento “moderato” che si propone la rinascita attraverso l’affermazione di una Tunisia islamista ed ha imposto di nuovo il velo alle donne.

Le cellule di Al Qaeda,  presenti da tempo nel Maghreb ed in Cirenaica,  hanno approfittato della situazione. Dapprima dando man forte ai ribelli e poi riorganizzando il loro network locale che sta trasformando l’organizzazione eversiva presente in Africa in un organismo sempre più globalizzato. Strutture strettamente collegate fra loro dal Corno d’Africa fino alle rive del Mediterraneo, in cui i Salafiti, da tempo operativi nell’area e collegati alle cellule eversive dislocate nello Yemen, rappresentano  lo “zoccolo duro”.

Una trasformazione che l’Occidente sembra ignorare con il rischio che improvvisamente possa essere ricattato da gruppi estremistici che si siano impossessati del controllo dell’arteria strategica  che dal Golfo di Aden ed  il Canale di Suez sbocca nel Mediterraneo, veicolando le risorse energetiche verso l’Occidente,.

Segnali allarmanti arrivano, inoltre, dalle parole del portavoce americano di Al Qaeda, Adam Gardhan,  che in occasione dell’anniversario dell’11 settembre ha contestato i contenuti delle parole Obama quando afferma che gli USA combattano Al Qaeda e non l’Islam.  Adam ha, infatti, definito la posizione americana come una “chiara opposizione all’Islam come sistema politico” minacciando “un prossimo olocausto contro New York e Los Angeles” per vendicare i mussulmani uccisi dagli attacchi dei Drone americani nello Yemen.  

Un escalation che se non affrontata immediatamente è destinata a favorire l’affermazione nella Regione  di gruppi estremistici che fanno della loro bandiera un’interpretazione esasperata e distorta dei contenuti del Corano, favorendo ancora una volta l’affermazione del ricatto del terrore piuttosto che una pace duratura.

Qualche segnale sta già arrivando dallo Yemen e da tutti i Paesi  del Golfo Persico dove è più radicata l’islamizzazione. 

13 settembre 2012, ore 14,00