mercoledì 28 novembre 2012

I due Marò prigionieri in India. Sono indignato


Due giorni orsono ho pubblicato una mia ammissione di delusione per aver preso coscienza del silenzio che importanti figure istituzionali applicano nei confronti dei nostri Fucilieri di Marina in ostaggio dell’India. Solo dichiarati segnali di vicinanza che, però, a questo punto sembrano più formali che sostanziali.

Oggi sono indignato e preoccupato ! Infatti, non è più ammissibile che la vicenda dei due nostri militari prigionieri in India sembra ormai appartenere al passato della storia del nostro Paese.

Siamo passati da una festività indiana ad un’altra ed ancora nulla si conosce sul pronunciamento dell’Alta Corte indiana. Amici da Mumbai mi dicono che la celebrazione del  Diwali” e le altre festività sono terminate e tutti gli uffici sono aperti ormai da tempo. I Giudici indiani, invece, continuano a meditare come se stessero approfondendo o addirittura imparando per l’occasione i contenuti del Diritto Internazionale e della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare ( UNCLOS, Montego Bay, Giamaica, il 10 dicembre 1982).

E’ giunto il momento che costoro si pronuncino. Un ritardo come quello in essere non sarebbe nemmeno accettato dalla tradizionale pazienza del popolo indiano. Non è tollerabile che la nostra Nazione continui ad essere ignorata.

L’Unione Europea pretende dagli Stati Membri il necessario impegno che contribuisca alla crescita del Vecchio Continente. Credo che per contro i membri dell’Unione possano aspettarsi se non  pretendere una chiara ed incisiva posizione dell’Europa quando ci sia da tutelare in ambito internazionale  gli interessi degli Stati e dei loro cittadini. Non mi sembra che questo stia avvenendo nel caso dei due nostri Marò da nove mesi arbitrariamente trattenuti dall’India che imputa loro ipotesi di un reato per cui i tribunali indiani possono anche applicare la pena di morte.

La baronessa Asthon, alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri,  esprime il suo disagio e la sua grande preoccupazione sulla pena di morte applicata da un Tribunale indiano nei confronti di un terrorista pluriomicida. Pronunciamento che di fatto esprime un suo giudizio sui contenuti della sentenza mentre per i due Fucilieri di Marina, confusi inizialmente come “contractors” civili,  evita di spendere una parola incisiva perché non è opportuno interferire nella Giustizia indiana.

Molti dei massimi livelli istituzionali nazionali si affannano a dichiarare anche reiteratamente  la loro solidarietà ed il loro impegno perché la vicenda si concluda favorevolmente per i nostri militari. Una serie di belle parole accompagnate da promesse e da auspici, ma che dopo nove mesi assumono sempre di più il significato di mere dichiarazioni di intenti fino ad oggi non seguite da fatti concreti.

Su tutta la vicenda aleggia, invece,  il silenzio nazionale,  istituzionale e dei mezzi di comunicazione, ben più impegnati in un passato anche recente, quando cittadini italiani si sono trovati in difficoltà in Paesi esteri.

Giornalisti, operatori del terzo settore, turisti incappati nelle maglie di terroristi o di bande di delinquenti, talvolta per aver sottovalutato il rischio o la minaccia incombente e non, come nel caso dei due nostri militari, per un dovere istituzionale.

Per i nostri due ragazzi quasi tutta la classe politica è silenziosa, impegnata come è ad individuare ogni possibile soluzione perché non sia minacciato il loro futuro di casta. La maggior parte dei media italiani, interessati ad acquisire “punti di merito politico”  da mettere sul mercato dopo le elezioni della prossima primavera piuttosto che a sollecitare le coscienze sulla situazione ormai abnorme che stanno vivendo due italiani servitori dello Stato.  

Un silenzio assordante che non può più essere sollecitato a vantaggio della riservatezza, condizione  che non può più rappresentare un vincolo avendo sicuramente perduto valenza dopo otto mesi.

Sicuramente non compete a noi cittadini proporre soluzioni diverse da quelle in atto, ma è un diritto esprimere il senso di frustrazione che ormai si è impossessato di chi da mesi si sta impegnando a favore dei nostri ragazzi. Un diritto di manifestare il proprio disappunto garantito dalla democrazia e che dovrebbe meritare maggiore rispetto invece che critica come sta avvenendo anche da qualche significativo livello istituzionale.
 
Tutto tace e noi siamo stanchi !

27 novembre 2012 – ore 16.00

 

lunedì 26 novembre 2012

Marò prigionieri in India. La delusione di un ex Comandante


Il tempo ha segnato inesorabilmente il suo passaggio per cui non sono più un Comandante operativo. Moralmente non ho però mai cessato di esserlo e per questo  sento il bisogno di dedicare il mio tempo, le mie energie, il mio senso etico e morale ai due nostri concittadini in uniforme che stanno vivendo momenti difficili. I nostri due Fucilieri di Marina da nove mesi tenuti in ostaggio in India.
 
Me lo impone il mio senso morale e la mia etica di ex Comandante maturata nel corso di tutta la mia attività professionale.  L’Accademia Militare e gli altri Istituti militari di formazione  mi hanno educato ed istruito alla difficile attività del Comando. I successivi anni hanno concorso a completare la mia formazione radicando in me la convinzione che ci si può definire buoni Comandanti solo se i propri collaboratori sono messi in condizione di operare con tranquillità e serenità; consci che in qualsiasi momento potranno fare riferimento sulla tutela del loro Leader  e sicuri di poter dire in qualsiasi momento e senza essere smentiti :   “me lo ha detto il mio Comandante”

Il vero Comandante deve essere, quindi,  un custode attento della sua identità e del suo ruolo; un cultore del rispetto dell’uomo e della vicinanza all’uomo in particolare nei momenti di difficoltà. Solo attraverso questa limpidezza comportamentale il “Capo” potrà guadagnare veramente il cuore dei suoi uomini esercitando su loro il proprio “carisma”, che può essere solo riconosciuto e non imposto per titolarità di carica.  

E’ un Comandante non solo chi gestisce truppe, ma anche e soprattutto chi è al vertice di qualsiasi Organizzazione complessa, sia essa civile o militare,  di un’Istituzione e di uno Stato. Costui ha l’obbligo morale di spendersi per i propri uomini.

Oggi sono deluso perché intravedo una certa freddezza in coloro che invece dovrebbero dimostrare piglio ed incisività nell’affrontare e risolvere il problema dei due Fucilieri di Marina prigionieri in India da quasi nove mesi. Militari italiani costretti a subire un vero e proprio atto di coercizione da uno Stato straniero che si dimostra disattento verso il Diritto internazionale e le Convenzioni ONU.

L’insoddisfazione di un uomo che ha creduto nelle sue funzioni di Comandante ed ha, invece,  la sensazione che altri che dovrebbero essere deputati ad esserlo, prendono le distanze dal ruolo ricoperto.

Non in ultimo, il Comandante in Capo delle Forze Armate, il Presidente della Repubblica a cui l’art. 87 della Costituzione conferisce  il Comando e la presidenza del Consiglio Supremo di Difesa, nonchè la facoltà di dichiarare lo stato di guerra, se approvato dalle Camere.

Un riconoscimento costituzionale di funzioni che non possono avere un carattere puramente formale  e simbolico (libro bianco 2002), considerato il ruolo di garanzia e di indirizzo politico affidato al Capo dello Stato in materia di sicurezza e difesa e tenuto conto di quanto recentemente affermato da Lui stesso circa a propri compiti che non possono né devono essere limitati alla sola attività di tagliare i nastri  tricolore in occasione di cerimonie di inaugurazione.

Fatta  salva ogni possibile mia disattenzione, mi permetto di affermare, che, invece, ad oggi ho sentito solo frasi di circostanza, espressioni di vicinanza ai due Marò ed alle loro famiglie, parole di auspicio e speranza per la soluzione del problema. Solo espressioni di fratellanza non accompagnate, però, da riscontri oggettivi almeno per dare un segnale di certezza a costoro ed a tutti gli altri colleghi che operano in uniforme, in Italia ed all’estero,  per garantire sicurezza e convivenza pacifica.

Solo una serie di dichiarazione di intenti ma nessuna iniziativa politica formale ed esplicita ai massimi livelli Istituzionali per coinvolgere in maniera significativa i principali organismi internazionali, a partire dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dalla  stessa Unione Europea. Azioni invece ricorrenti in altre occasioni per affrontare tematiche diverse ma, forse, caratterizzate da un maggiore ritorno di immagine personale rispetto al problema dei due militari italiani prigionieri in India.

A Massimiliano Latorre e Salvatore Girone si preferisce guardare con “affetto e  fratellanza”,  ma non con la determinazione di chi sia convinto del proprio ruolo e della necessità di esporsi per tutelare due cittadini in uniforme coinvolti in eventi connessi all’assolvimento del compito ricevuto dal proprio Parlamento e che, in questo momento, hanno  bisogno del supporto dello Stato ai massimi livelli.

Una situazione che non può che rendere tristi tutti coloro che per il loro Paese e per i propri uomini hanno spessissimo sacrificato loro stessi e le loro famiglie,  avulsi da qualsiasi condizionamento che potesse essere indotto da interessi di carica o di prestigio.

Io sono triste e sono convinto che come me lo siano tanti altri Comandanti o ex Comandanti  !

26 novembre 2012 – 14,30

venerdì 23 novembre 2012

Catherin Asthon ed il significato di Unione Europea

In seguito all’entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Consiglio europeo ha nominato Catherine Ashton Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Presiede il Consiglio "Affari esteri" e dirige la politica estera e di sicurezza comune.

La Asthon, baronessa inglese, ha in varie occasioni dimostrato una personalissima interpretazione del concetto di “Unione Europea”, distante, almeno all’apparenza, dallo spirito che invece dovrebbe caratterizzare l’unione di Stati e di uomini di diverse Nazioni e tradizioni, uniti dal senso di appartenenza all’Unione.

Anche nel caso della vicenda dei due nostri Fucilieri di Marina in ostaggio dell’India l’approccio del Presidente del Consiglio europeo degli “Affari esteri” non è stato quello che ci sarebbe aspettato. Una risposta solo formale alla richiesta inviata da un significativo gruppo di cittadini italiani  che auspicavano un’azione mediatrice nei confronti di Nuova Delhi perché fosse rispettato il Diritto Internazionale nei confronti dei due militari italiani prigionieri in India  per ipotesi di reato universalmente riconosciute di esclusiva competenza dello Stato di appartenenza. 

Nella fattispecie, il portavoce della Asthon ha comunicato, infatti, una serie di argomentazioni a dir poco “fumose”. “Caro Gruppo Facebook  Ridateci i nostri Leoni…………. Permettetemi di aggiornarvi sulle azioni intraprese dalla EEAS in considerazione del caso dei due marines detenuti. I nostri sforzi, sia a Bruxelles che a New Delhi, si sono concentrati nel tentativo di aprire un dialogo con l’India al fine di affrontare la questione sulla regolazione della presenza di elementi armati a bordo di navi mercantili con l’intento di proteggere da eventuali attacchi di pirateria……………, in seguito all’incontro tra l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza nonché Vice-Presidente della Commissione Europea Catherine Ashton ed il Primo Ministro Italiano Monti a cui si fa riferimento, l’Unione Europea ha partecipato attivamente nella chiarificazione della legge applicabile …….. Confidiamo in una rapida soluzione della situazione sulla base delle concordate e riconosciute norme internazionali. Prendo atto che la questione è ora davanti alla Suprema Corte dell’India in appello della decisione della Corte del Kerala di perseguire i due membri del Battaglione San Marco. Non sarebbe corretto per l’UE intervenire in una questione che è posta dinanzi alle competenti istanze giudiziarie di uno Stato Straniero………………….”.

In sintesi, quindi, in questa occasione la Asthon non ha voluto interferire su aspetti giudiziari gestiti da uno Stato straniero. A distanza di qualche settimana la baronessa dichiara, inveceI am very concerned», per l'impiccagione di un terrorista in India”. Tale Ajmal Kasab, coinvolto nell’attentato di Mumbai del 2008,  giustiziato due giorni orsono dopo una condanna a morte per aver provocato l’uccisione di 166 persone fra cui moltissimi cittadini indiani (ndr. Articolo pubblicato in data odierna dal quotidiano “Il Giornale”  - Fausto Biloslavo - marò Tace sui nostri soldati, protesta per lo stragista giustiziato: «Sono preoccupata»).

Due prese di posizione assolutamente diverse. Oggi la baronessa dichiara grande preoccupazione per una sentenza di un Tribunale di uno Stato sovrano, giudizio, peraltro,  emesso nel rispetto del Codice Penale nazionale che prevede la pena di morte a cui l’India recentemente, e con una posizione ufficiale in ambito ONU,  non ha voluto rinunciare. Diverso, invece, l’atteggiamento di qualche settimana fa nei confronti dei nostri due marò quando la Asthon avrebbe dovuto solo ricordare all’India l’opportunità dell’applicazione di leggi internazionali e di Convenzioni delle Nazioni Unite sottoscritte anche da  New Delhi.

Nel caso del terrorista l’Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri è “concerned” per le decisioni giuridiche di uno Stato sovrano e commenta di fatto una sentenza. Nella vicenda  dei due Marò preferisce, invece,  non interferire su vicende all’esame dei Tribunali indiani.

Posizioni totalmente diverse. La prima condivisibile in quanto contro la pena capitale nel rispetto della vita umana. La seconda difficile da assorbire nel momento che la titolare della politica estera europea non si è voluta esporre a favore di cittadini dell’Unione.

Come cittadino italiano sono onorato di vivere in un Paese che vede il Tricolore italiano esposto a fianco della Bandiera dell’Unione Europea. Non posso però esimermi dall’esprimere perplessità sulla dualità espressa dalla Rappresentante della Politica Estera europea. Mi sarei aspettato dalla Asthon una posizione più definita ed  inequivocabile nei confronti di due cittadini europei, peraltro appartenenti ad una Forza Armata di uno Stato membro.

Determinazione nell’assumere posizioni rivendicando il rispetto del Diritto Internazionale, avvalorando in ambito internazionale le tradizioni garantiste e democratiche del Vecchio Continente la cui affidabilità non può essere solo individuata sull’analisi di parametri economici ma difendendo ed affermando il concetto di “Unione”, intesa  come coagulo di tradizioni, di valori etici e di diritti comuni a tutti i cittadini che ne fanno parte.

23 novembre 2012 – ore 14.00

 

giovedì 22 novembre 2012

Militari prigionieri in India. Dopo nove mesi ancora un silenzio assordante

Diverse sono le forme per rappresentare l’orgoglio e la dignità nazionale senza appropriarsi di esasperazioni nazionalistiche non più coerenti con la realtà globale del mondo moderno.

Differenti i possibili approcci. Criteri diversi propri della politica internazionale che una Nazione intende porre in essere ma comunque convergenti verso un unico scopo, quello di difendere gli interessi nazionali garantendo non solo appannaggi economici ma soprattutto difendendo i valori etici del proprio Paese ed i diritti universali dei propri connazionali.

Orientamenti che trovano origine dalla Costituzione, dalla legge nazionale e dalle normative internazionali per garantire un eguale e paritaria tutela dello Stato a tutti i cittadini. Un impegno che generalmente in tutto il mondo è preminente quando sono coinvolti cittadini in uniforme, soldati che nell’assolvere un compito istituzionale devono essere assicurate le garanzie dell’applicabilità della norma internazionale sul “principio di immunità delle forze militari in transito”.

Il 6 marzo 2012,  ho rappresentato il mio stupore depositando su questo blog un’espressione di tristezza ed anche di stizza di fronte a quella che sembrava un’inerzia nazionale di fronte agli avvenimenti che hanno portato alla detenzione in India dei due nostri Fucilieri di Marina.

Oggi, dopo nove mesi dall’evento non è facile trovare altre parole che esprimano lo sgomento per un episodio che sembrerebbe inventato dalla fantasia di romanzieri come Kafka. Non è semplice anche perché l’intera vicenda è circondata ed occultata da una cortina nebbiogena alimentata e gestita da uno  Stato sovrano che tiene in ostaggio i nostri due militari, l’India.

Una coltre che alla distanza si infittisce resa più densa dall’assenza di notizie certe o di comunicati ufficiali che aiutino a capire cosa stia accadendo. Solo una dato è certo, la Corte Suprema indiana da mesi ormai sta valutando il caso per esprimersi sulla competenza territoriale dello Stato del Kerala sui fatti avvenuti, ma non si pronuncia ancora. Forse i Giudici stanno meditando,  trascinandosi da una settimana all’altra ed interrompendo il lavoro per osservare le festività civili e religiose locali.

Una situazione che forse ormai è lecito definire abnorme. Sicuramente non esalta l’immagine nazionale italiana a differenza di quanto avvenuto per altri Stati in circostanze simili con un unico risultato assolutamente non condivisibile. Si allunga il calvario di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.

Solo uscite pubbliche dei responsabili italiani dei dicasteri degli Esteri e della Difesa. Solo poche parole di vicinanza ed oserei dire molto di circostanza del Capo dello Stato nonostante che la Costituzione assegni a lui l’alto incarico di Comandante Supremo delle Forze Armate. Da tempo ormai un lungo silenzio del Presidente del Consiglio rotto solo da un recente timido pronunciamento dell’Europa e delle Nazioni Unite, ufficializzato dopo otto mesi dagli eventi.

Nel  buio totale solo una luce accesa e continuamente alimentata da Massimiliano e Salvatore che fin dal primo momento, quando  circondati da una folla di ufficiali ed agenti indiani raggiungevano la prigione indiana hanno dimostrato di saper guardare il mondo in faccia fieri di rappresentare la propria Nazione. Una fierezza che non è mai venuta a mancare, coerente con le più sane tradizioni di coloro che in uniforme difendono gli interessi nazionali guidati da una scelta avulsa da qualsiasi tornaconto personale, ma solo motivati da un’etica che fa parte del loro DNA.

Un vecchio detto popolare ci tramanda che “nessuna nuova buone nuove”. Speriamo che sia confermato anche in questo caso .

22 novembre 2012, ore 15,00

domenica 18 novembre 2012

Gaza ed Israele, la situazione vacilla


Hamas ha ripreso a bersagliare il territorio israeliano con un numero considerevole di razzi anche a lungo raggio in grado di colpire Tel Aviv. Materiale militare fornito quasi sicuramente dall’Iran come il missile Fajr-5,  parti del quale sono state trovate fra i resti di un missile distrutto dalla contraerea israeliana.

Una recrudescenza dei vecchi contrasti che rompe la fragile tregua raggiunta nel tempo  e che si manifesta a ridosso di recenti eventi significativi  negli USA.

Le dimissioni del Capo della CIA Petraeus e la sua deposizione al Congresso sui fatti di Bengasi da cui emerge che ci fu una vera e propria azione di guerra studiata da tempo e ben organizzata.

La volontà espressa da Hilary Clinton di lasciare la carica di Segretario di Stato dopo aver pubblicamente ammesso le proprie responsabilità per quanto accaduto a Bengasi. Hilary che ebbe un’influenza importante nelle vicende della Primavera Araba che portarono alla cacciata di Ben Alì e di Mubarak ed aprirono la strada all’affermazione di nuove formazioni politiche tuttaltro che liberali e laiche.

Obama, costretto ad affrontare immediatamente i problemi connessi a queste vicende, reduce di una campagna elettorale durante la quale era riuscito a stento a rigettare le accuse dei repubblicani che lo colpevolizzavano per la gestione dei fatti di Bengasi e di tutta la politica americana in Medio Oriente ed in Africa settentrionale. Scelte giudicate dagli avversari politici poco appropriate e che di fatto hanno permesso il consolidamento nell’area di espressioni  politiche favorevoli ad un’interpretazione intransigente delle regole islamiche. I Fratelli Mussulmani in Egitto, il partito degli An – Nahda in Tunisia, l’applicazione della “Sharia” in Libia.

Israele, mentre il mondo era impegnato ad analizzare i fatti americani, ha effettuato raid mirati sui territori di Gaza, uccidendo il capo militare di Hamas Ahmed al-Jabari ed uno dei principali leader politici del movimento, Ahmed Abu Jalal.

Immediata la risposta di Gaza sicuramente preparata da tempo. Non una reazione limitata come avvenuto altre volte in passato,  ma un intenso e costante lancio di razzi su Israele tale da costringere Tel Aviv a riaprire i rifugi rimasti chiusi dal 1991. Una risposta immediatamente approvata dai vincitori della Primavera Araba, dell’Iran e della stessa lega Araba.

Il Presidente egiziano Mohamed Morsi ha inviato a Gaza il proprio Ministro degli Esteri ed attestato truppe a ridosso dei confini con Israele. Il Presidente Tunisino ha aperto una linea diretta con Hamas e la Lega Araba attraverso il suo segretario generale Al Arabi, ha ufficializzato ferme e decise posizioni, quali: tutti gli accordi di pace fra Hamas ed Israele dovranno essere rivisti, le reazioni di autodifesa di Tel Aviv sono “crimini di guerra” contro i palestinesi, “i massacri non devono restare impuniti”, la Lega Araba si “impegna con i palestinesi a Gaza e altrove a sostenerli nel far fronte all’aggressione e per rompere l’isolamento”.

Ieri 17 novembre , inoltre, il Ministro della Difesa iraniano  Ahmad Vahidi  ha invitato il mondo mussulmano a vendicarsi contro le azioni di Israele a Gaza. Un chiaro messaggio anche agli Hezbollah del Libano, posizionati a ridosso del confine libanese con lo Stato ebraico, che potrebbero aprire un secondo fronte contro Tel Aviv.

Lo scenario che si sta configurando non è sicuramente semplice anche perché è diminuita la tradizionale leadership  di Hamas, movimento radicale molto vicino ed ispirato ai Fratelli Mussulmani ma lontano dall’integralismo inteso in senso assoluto caratteristico dello jihadismo di Al Qaeda.

Oggi, nella striscia di Gaza sono attivi diversi gruppi armati. Le Brigate Izzedim Al Quassam, originariamente braccio armato di Hamas, che nel 2011 hanno compiuto con decisione autonoma circa un migliaio di attacchi contro Israele.

Le Brigade Al Quds, combattenti della jihad islamica, fondate nel 1990 su modello iraniano  fin dall’inizio protagoniste della lotta armata.

I gruppi salafisti di Jaish al Islam molto vicino ad Al Qaeda,  che imputano ad Hamas la responsabilità di essersi dimostrata troppo debole nei confronti di Israele e di non aver applicato la legge coranica della “Sharia”.  

L’ala militante di Al Fatah, struttura politica e paramilitare dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), fondata nel 1959 da Yāser ʿArafāt, fedele al successore Abu Mazen. Fanno parte di Al Fatah le  brigate dei martiri di Al Aqsa

Infine, le brigate Salaheddin, espressione militare dei Comitati di Resistenza popolare, nate alla fine degli anni ’90 dai dissidenti di Al Fatah, oggi integrate da altri gruppi estremistici anche non palestinesi.

I molti attori in gioco potrebbero far precipitare la situazione in un contesto reso ancora più complicato dalle mutate realtà politiche dei Paesi islamici a ridosso del Mediterraneo e dall’estrema conflittualità dell’Iran nei confronti di Israele che ha subito una palese accelerazione anche per la situazione che si è venuta a creare in Siria.

Il tutto in un momento non facile per Obama costretto a riorganizzare il vertice dell’intelligence USA e della politica estera statunitense, mentre Israele, per difendere il proprio diritto di esistenza,  è pronta a rientrare via terra a Gaza.

18 novembre 2012 – ore 12.00 

sabato 17 novembre 2012

Marò prigionieri in India. Tutti parlano



L'ex Ministro della Difesa, Onorevole Ignazio La Russa  a distanza di otto mesi dalla prigionia in India dei nostri Fucilieri di Marina, esprime una sua posizione : La Russa, da ministro li avrei liberati con un sotterfugio - ASCA.it

Onorevole, mi consenta, ma sarei  curioso di sapere cosa intende l'onorevole La Russa quando dice li avrei liberati con un sotterfugio !
A quale recondita tecnica di "liberazione degli ostaggi"si riferisce sarebbe interessante saperlo come altrettanto interessante conoscere sulla base di quali sue pregresse esperienze militari riconduce simili affermazioni.
Forse sarebbe stato, invece, più consigliabile un'attenta valutazione preventiva degli effetti che la legge 130 così come congegnata avrebbe avuto in casi come quello in questione.
Altrettanto auspicabile é che si abbandoni la "tuttologia" data dall'essere un parlamentare lasciando a ciascuno di fare il proprio mestiere.
17 nov. 2012, ore 14,00


mercoledì 14 novembre 2012

Un possibile rimedio per l’Italia terra di disastri naturali


Il territorio italiano è ormai alla mercé  di qualsiasi evento naturale importante. Una realtà ormai sotto gli occhi di tutti che si somma alla già elevata minaccia dei terremoti che appartengono al DNA del nostro Paese. E’ sufficiente qualche millimetro di pioggia in più rispetto al consueto, magari concentrato in un arco di tempo modesto, per assistere a spettacoli assurdi. Montagne che franano, torrenti e fiumi che straripano, ponti e strade che crollano.
 
Tutti i geologici nazionali denunciano da tempo il pericolo che incombe sul nostro Paese dovuto alla scarsa cura e gestione del territorio, sempre di più diminuita negli anni accompagnata, invece, da un’edificazione selvaggia, dall’abbandono delle attività agricole e dal  disboscamento causato dagli incendi dolosi.

 La situazione è sempre più grave ed in talune zone ha praticamente raggiunto un livello di massima guardia anche per il trend di mutazione meteorologica che spinge ad ipotizzare un costante ma inesorabile allargamento della fascia tropicale verso nord, Condizioni che se non affrontate con immediatezza ed incisività potrebbero portare ad un’inesorabile desertificazione del nostro territorio.   

Un’esigenza  riconosciuta da quasi tutti ma che non viene affrontata alla radice con l’alibi ricorrente della scarsità delle risorse economiche disponibili a livello centrale e periferico. Vincoli che però non giustificano l’attuale inerzia nel non valutare soluzioni alternative che possano consentire di iniziare ad affrontare il problema con provvedimenti praticamente a “costo zero”, utilizzando risorse già presenti sul territorio ed assolutamente affidabili.

Tutto questo senza inventare nulla ma rifacendoci a quanto avviene in altre parti del mondo con efficacia e mutuando soluzioni che negli anni hanno dato risultati assolutamente soddisfacenti fatte salve rare eccezioni indotte da eventi catastrofici.

Primo fra tutti l’esempio di quanto avviene negli Stati Uniti d’America dove l’ampiezza e complessità morfologica del territorio ha da sempre imposto un attenta vigilanza preventiva. Tutto è cominciato dalla fine  del Secondo Conflitto mondiale, coinvolgendo il Corpo degli ingegneri militari (United States Army Corps of Engineers” - USACE) a cui è demandato il controllo dei corsi d’acqua interni, dello sfruttamento del territorio, della pulizia dei siti inquinati. Costoro assicurano i necessari interventi con il solo costo delle materie prime necessarie in quanto le professionalità impiegate sono tratte da militari in servizio effettivo e quindi già dipendenti dello Stato.

Una struttura operativa di circa 40.000 persone per tutto il territorio nazionale, di cui fanno parte militari e civili, dipendenti dal Ministero della Difesa. Costoro, oltre alle attività peculiari di ingegneria militare in pace ed in guerra, sono impegnati nella vigilanza e ripristino di dighe, canali, corsi d’acqua, fiumi di vasta portata, fornendo servizi specifici di ingegneria a favore della popolazione e riducendo il rischio di catastrofi naturali di grande portata.

 Una complesso che opera su tutto il territorio nazionale in attività rilevanti che costituiscono una vera e propria palestra addestrativa per gli stessi militari destinati anche a fornire supporto tecnico e concorso alle Truppe combattenti impiegate nei vari Teatri Operativi per missioni di Peace Keeping e Peace Enforcing.  

USACE garantisce anche supporto operativo e consultivo al “Departement of Homeland Security” (DHS) instituito subito dopo l’11 settembre per garantire la protezione del territorio ed alla “Federal Managment Agency” (FEMA) che fa parte del Dipartimento per la Sicurezza Interna ed ha compiti simili a quelli del Dipartimento per la Protezione Civile italiana.

In tale quadro, USACE collabora nella prevenzione di possibili emergenze derivate da importanti calamità naturali e negli interventi di ripristino delle aree danneggiate. Un impegno costante per il monitoraggio di tutte le acque interne nazionali, per la manutenzione e ripristino di tutte le opere idrauliche destinate a raccogliere, convogliare e smaltire le acque piovane e per l’individuazione di aree a rischio frana e loro messa in sicurezza.

Un patrimonio professionale che è proprio anche dell’Italia composto dal personale dell’Arma del Genio Militare, in possesso di specialità specifiche di tutto rispetto ed affidabilità e di mezzi e tecnologie moderne. Ufficiali ingegneri, Sottufficiali in possesso di titoli di studio superiori e di Lauree triennali assolutamente adeguati per affrontare sul piano tecnico ed organizzativo la specifica minaccia. Strutture operative dislocate su tutto il territorio nazionale con una copertura areale pressoché totale e che nel tempo in occasione di gravi calamità naturali, hanno dimostrato di possedere capacità e potenzialità di intervento della massima valenza.

Una parte di costoro, a turno, potrebbe essere destinata a vigilare sul territorio nazionale nel realizzare quanto necessario per evitare  tragedie in termini di danni economici ed di vite umane che avvengono non appena la Nazione è colpita da temporali violenti che durino più di una notte.

Personale tecnico che potrebbe coordinarsi con il Corpo Forestale dello Stato anche per affrontare il problema del disboscamento selvaggio e delle frane conseguenti  e, nello stesso tempo,  esercitare una vera e propria vigilanza capillare del territorio per prevenire e vigilare sugli incendi dolosi o sul dissennato sfruttamento del suolo per la realizzazione di insediamenti abitativi abusivi.

Professionisti dipendenti dello Stato che guadagnerebbero in professionalità affrontando problemi reali e non simulati come avviene nelle normali fasi addestrativa militari, incrementando la loro capacità nelle operazioni militari fuori del territorio nazionale anche a  vantaggio delle realtà locali emergenti da periodi bellici o di criticità interna.

Un modo anche per ottimizzare il costo / efficacia del mantenimento di strutture dello Stato e per evitare che si ricorra a loro solo all’emergenza, spesso con risultati scarsamente efficaci e comunque costosissimi in quanto prodotto di soluzioni improvvisate  e dettate dalle emergenze e dai  bisogni eccezionali del momento.

Solo un’idea che potrebbe essere, però, meritevole di approfondimento per tentare di affrontare  almeno nell’immediato e con costi assolutamente contenuti,  un problema da anni dimenticato e che in taluni casi ha raggiunto punti di criticità irreversibile: il controllo del territorio ed il mantenimento delle risorse naturali del nostro Paese.

14 novembre 2012, ore 15,30

sabato 10 novembre 2012

Le dimissioni del Capo della CIA


David H. Petraeus Direttore della CIA ha lasciato il suo incarico. Si è dimesso adducendo come motivo il fatto di aver tradito la moglie “comportamento non accettabile per un Leader”. Parole eticamente apprezzabili che forse però mascherano ben altri motivi a monte delle dimissioni avvenute appena dopo l’insediamento di Obama. Il tradimento, nonè avvenuto sicuramente nell’ultima settimana ed il neo eletto Presidente sembra averle accettate senza nessun tentativo di recupero, prassi inusuale  almeno sul piano formale,  a meno che non sia stata concordata in precedenza.

Una decisione del Leader del più importante Servizio di Intelligence nel mondo, già Comandante della Coalizione militare protagonista della guerra in Iraq e voluto proprio da Obama al Comando di ISAF in Afghanistan, in sostituzione del Generale Stanley Mc Chrystal richiamato in Patria dopo un’intervista in cui aveva espresso valutazioni non in linea con quelle del Presidente. Un Obama che solo dopo otto mesi decise di richiamare anche Petraeus  per assegnargli il prestigioso incarico di responsabile della CIA. Una scelta probabilmente dettata dall’esigenza di eliminare il rischio di dover competere con Petraeus invece che con Romney in occasione delle recenti elezioni.

David Petraeus ha un curriculum di tale valenza da sembrare impossibile che lasci il suo incarico solo perché ha tradito la moglie. Una motivazione assurda in particolare in un Paese assolutamente liberista in termini di rapporti coniugali e che qualora fosse il vero motivo lascerebbe seriamente dubitare sull’efficacia di un servizio di intelligence come la CIA il cui Capo non riesce a coprire una relazione extraconiugale.

Altre sono, invece, le possibili ipotesi. Prima fra tutte quella legata all’attacco all’Ambasciata di Bengasi in Libia avvenuto peraltro l’11 settembre ricorrenza dell’attentato alle Torri Gemelle e come tale data a rischio di azioni terroristiche.  In quella occasione quattro  americani trucidati dalla folla. L’Ambasciatore degli Stati Uniti ed altri tre Agenti della CIA sotto copertura. Un evento di cui Obama avrebbe dovuto rispondere al Paese e di cui Petraeus era stato accusato di aver gestito male.

Un episodio di cui lo stesso Segretario di Stato, Hilary Clinton, si è assunta le responsabilità alla vigilia del secondo dibattito televisivo della campagna elettorale fra Romney e Obama seguita di lì a poco dall’annuncio delle sue dimissioni dall’importante carica istituzionale per un secondo mandato del Presidente uscente.

Petraeus si è dimesso alla vigilia della data in cui avrebbe dovuto relazionare al Congresso sui fatti di Bengasi.

Due dimissionari forse per lo stesso fatto. Hilary con la motivazione di volersi ritirare a vita privata, Petraeus perché aveva avuto una relazione extraconiugale. Più ipotizzabile, invece che la prima con la prospettiva di essere designata dal Partito Democratico aspirante Presidente nel 2016 sia stata consigliata a farsi per ora da parte.  Il Generale, invece, sia stato costretto ad un passo indietro per divergente con Obama proprio sugli eventi di Bengasi, alla stessa stregua di quanto avvenne in passato per il suo ex collega Mc Chrystal. Divergenze che riguarderebbero proprio gli jihadisti libici che Petraeus voleva punire pesantemente mentre Obama vi aveva rinunciato.  

E’ caduta forse la prima testa dell’Obama bis. Speriamo che il Presidente non continui ad usare i suoi Generali come se fossero allenatori di una squadra di baseball.

10 ott. 2012 – ore 16,30

sabato 3 novembre 2012

L’inciucio indiano


Massimiliano Latorre, Salvatore Girone, i nostri Fucilieri di Marina del reggimento S. Marco, da otto mesi sono in ostaggio dell’India e l’Alta Corte di Nuova Delhi non ha ancora pronunciato un verdetto.

 Massimiliano e Salvatore sono accusati di avere ucciso il 15 febbraio 2012 due pescatori indiani che operavano di fronte alla costa indiana dello Stato Federale del Kerala.

 I due facevano parte del Nucleo di Protezione Militare destinato a garantire sicurezza alla nave,  secondo quanto prescritto dalla legge italiana n. 130 del 2 agosto 2011 e da una Convenzione ONU sottoscritta da quasi tutti le Nazioni, compresa l’India.

I fatti  sarebbero accaduti in conseguenza ad un’azione di contrasto alla pirateria marittima che i  due militari italiani avevano svolto imbarcati sulla petroliera italiana  Enrica Lexie,  in navigazione nell’Oceano indiano a 20 – 22 miglia marittime dalla costa, quando effettivamente il Nucleo di Protezione Antipirateria italiano aveva bloccato un attacco di un barchino di corsari, con un’azione dissuasiva;  colpi d’arma da fuoco sparati in acqua a scopo di avvertimento accompagnati da segnali acustici e luminosi.

Gli indiani con un sotterfugio hanno fatto rientrare la petroliera nel porto di Koci, arrestando immediatamente dopo i due militari, nell’assoluto disprezzo della norma internazionale sul “principio di immunità delle forze militari in transito”. Un’azione assolutamente arbitraria quella compiuta dall’India, incoraggiata forse da un cauto approccio dell’Italia, almeno nella fase iniziale della vicenda.

La nave  è stata fatta rientrare nelle acque territoriali indiane consegnandosi di fatto alle Autorità del Kerala con una decisione autonoma dell’armatore. Non è dato da capire se l’ordine sia stato concordato con le Istituzioni italiane civili e/o militari che, in caso di emergenza, avrebbero auspicabilmente dovuto avocare il coordinamento delle operazioni.  Un provvedimento che probabilmente non c’è stato per una carente formulazione delle norme attuative della Legge 130  sull’impiego di militari con funzioni di antipirateria marittima.

Successivamente, i due militari sono stati fatti sbarcare dalla nave e consegnati alle Autorità locali alla presenza di una nutrita ed autorevole rappresentanza diplomatica e militare italiana. Fra tutti il Console Generale a Mumbai Gianpaolo Cutillo e l’Addetto Militare presso l’Ambasciata italiana a Nuova Delhi, che per quanto reso noto hanno preferito scegliere la strada del compromesso piuttosto che avvalersi delle prerogative garantire dal loro status di diplomatici.   

Risulta che non fosse, invece,  presente l’Ambasciatore Giacomo Sanfelice di Monteforte, titolare delle garanzie concesse dall’immunità diplomatica universalmente riconosciute nel rispetto della Convenzione di Vienna del 1961 sulle Convenzioni Diplomatiche. Forse la sua presenza avrebbe potuto  conferire un tono di ufficialità più significativo, anche esercitando un’incisiva pressione sulle Autorità indiane a totale vantaggio dei nostri militari.

Durante il 1° interrogatorio a cui sono stati sottoposti Massimiliano e Salvatore, in contrasto con tutte le norme consuetudinarie, sembra che le Autorità italiane non hanno assicurato loro un interprete “giurato”, accreditato presso l’Ambasciata italiana. E’ stato invece preferito affidare la traduzione ad un Vescovo indiano di religione cattolica, probabilmente amico delle famiglie dei due poveri pescatori uccisi.

Il 18 febbraio, è iniziato il calvario per Massimiliano e Salvatore, un travaglio dovuto ad un inciucio perpetrato dall’India nei confronti dell’Italia senza riscontri oggettivi inconfutabili, molti dei quali oggi non esistono più.

Le ogive estratte dai corpi dei due morti, per quanto dato da conoscere, non risultano essere compatibili con il calibro del munizionamento in dotazione alle Forze Armate italiane ( analisi tecnica ing. Di Stefano, http://www.seeninside.net/piracy/). I danni sul peschereccio su cui erano imbarcati i due poveri pescatori uccisi non sono compatibili con una traiettoria di proiettili sparati dalla tolda dell’Enrica Lexie alta più di 20 m dal pelo dell’acqua. I cadaveri dei due pescatori non sono più disponibili per eventuali controperizie perché in fretta e furia cremati. Il natante su cui erano imbarcati al momento dei fatti non è più utilizzabile per eventuali esami tecnici, in quanto affondato.

Su quali prove si basi, dunque, l’accusa indiana è tutto da capire. L’unico fatto certo è che dal 18 febbraio l’India sta prevaricando qualsiasi norma del Diritto internazionale, con un serie di azioni a danno dell’Italia  che, in futuro, potrebbero rappresentare un pericoloso precedente.  

Un imbroglio mascherato da sofismi giuridici con un rimbalzo di competenze fra lo Stato Federale del Kerala e lo Stato Sovrano di Nuova Delhi nella gestione di un evento tutto da provare e comunque verificatosi in acque internazionali.

Il Kerala, la “Svizzera Tropicale indiana”, da sempre roccaforte della sinistra estrema e del potere sindacale dell’India, distante dal Governo Centrale di Delhi sul quale ha sempre esercitato condizionamenti anche rilevanti. 

L’inciucio indiano mascherato da cavilli giuridici, è piuttosto riconducibile a motivi politici come si evince dalle parole pronunciate dal portavoce del Ministro degli Esteri indiano in occasione del Gran Premio di Formula svolto il 28 ottobre a Delhi, quando ha criticato l’iniziativa della Ferrari di esporre  sulle proprie autovetture la Bandiera della Marina Militare italiana per esprimere solidarietà ai due Marò. Testuali le sue parole “utilizzare un evento sportivo per promuovere cause che non sono sportive  è non essere coerenti con lo spirito sportivo”, parole, peraltro, condivise da Ecclestone che ha specificato che lo sport non ha nulla a che fare con le “questioni politiche”.

Tutto avviene in un contesto internazionale indifferente. L’ONU tace anche se la lotta alla pirateria ha una valenza significativa per le Nazioni Unite. La NATO disattende un problema che potrebbe rientrare nell’articolo 5 della Carta dell’Alleanza. L’Unione Europea con la propria rappresentante Asthon dichiara che  “Non sarebbe corretto per l’UE intervenire in una questione che è posta dinanzi alle competenti istanze giudiziarie di uno Stato Straniero”.

L’imbroglio indiano nel frattempo continua in danno di due nostri concittadini in Uniforme tenuti in ostaggio da otto mesi.
 
Roma 3 novembre 2012 – ore