Il territorio italiano è ormai
alla mercé di qualsiasi evento naturale importante. Una
realtà ormai sotto gli occhi di tutti che si somma alla già elevata minaccia
dei terremoti che appartengono al DNA del nostro Paese. E’ sufficiente qualche
millimetro di pioggia in più rispetto al consueto, magari concentrato in un
arco di tempo modesto, per assistere a spettacoli assurdi. Montagne che
franano, torrenti e fiumi che straripano, ponti e strade che crollano.
Tutti i geologici nazionali
denunciano da tempo il pericolo che incombe sul nostro Paese dovuto alla scarsa
cura e gestione del territorio, sempre di più diminuita negli anni accompagnata,
invece, da un’edificazione selvaggia, dall’abbandono delle attività agricole e
dal disboscamento causato dagli incendi dolosi.
Un’esigenza riconosciuta da quasi tutti ma che non viene
affrontata alla radice con l’alibi ricorrente della scarsità delle risorse
economiche disponibili a livello centrale e periferico. Vincoli che però non
giustificano l’attuale inerzia nel non valutare soluzioni alternative che
possano consentire di iniziare ad affrontare il problema con provvedimenti
praticamente a “costo zero”, utilizzando risorse già presenti sul territorio ed
assolutamente affidabili.
Tutto questo senza inventare
nulla ma rifacendoci a quanto avviene in altre parti del mondo con efficacia e
mutuando soluzioni che negli anni hanno dato risultati assolutamente
soddisfacenti fatte salve rare eccezioni indotte da eventi catastrofici.
Primo fra tutti l’esempio di
quanto avviene negli Stati Uniti d’America dove l’ampiezza e complessità
morfologica del territorio ha da sempre imposto un attenta vigilanza preventiva.
Tutto è cominciato dalla fine del Secondo
Conflitto mondiale, coinvolgendo il Corpo degli ingegneri militari (United
States Army Corps of Engineers” - USACE) a cui è demandato il controllo dei corsi
d’acqua interni, dello sfruttamento del territorio, della pulizia dei siti
inquinati. Costoro assicurano i necessari interventi con il solo costo delle
materie prime necessarie in quanto le professionalità impiegate sono tratte da militari
in servizio effettivo e quindi già dipendenti dello Stato.
Una struttura operativa di circa
40.000 persone per tutto il territorio nazionale, di cui fanno parte militari e
civili, dipendenti dal Ministero della Difesa. Costoro, oltre alle attività
peculiari di ingegneria militare in pace ed in guerra, sono impegnati nella
vigilanza e ripristino di dighe, canali, corsi d’acqua, fiumi di vasta portata,
fornendo servizi specifici di ingegneria a favore della popolazione e riducendo
il rischio di catastrofi naturali di grande portata.
USACE garantisce anche supporto
operativo e consultivo al “Departement of Homeland Security” (DHS) instituito
subito dopo l’11 settembre per garantire la protezione del territorio ed alla
“Federal Managment Agency” (FEMA) che fa parte del Dipartimento per la Sicurezza Interna
ed ha compiti simili a quelli del Dipartimento per la Protezione Civile
italiana.
In tale quadro, USACE collabora
nella prevenzione di possibili emergenze derivate da importanti calamità
naturali e negli interventi di ripristino delle aree danneggiate. Un impegno
costante per il monitoraggio di tutte le acque interne nazionali, per la
manutenzione e ripristino di tutte le opere idrauliche destinate a raccogliere,
convogliare e smaltire le acque piovane e per l’individuazione di aree a
rischio frana e loro messa in sicurezza.
Un patrimonio professionale che è
proprio anche dell’Italia composto dal personale dell’Arma del Genio Militare,
in possesso di specialità specifiche di tutto rispetto ed affidabilità e di
mezzi e tecnologie moderne. Ufficiali ingegneri, Sottufficiali in possesso di
titoli di studio superiori e di Lauree triennali assolutamente adeguati per
affrontare sul piano tecnico ed organizzativo la specifica minaccia. Strutture
operative dislocate su tutto il territorio nazionale con una copertura areale pressoché
totale e che nel tempo in occasione di gravi calamità naturali, hanno
dimostrato di possedere capacità e potenzialità di intervento della massima
valenza.
Una parte di costoro, a turno,
potrebbe essere destinata a vigilare sul territorio nazionale nel realizzare quanto
necessario per evitare tragedie in
termini di danni economici ed di vite umane che avvengono non appena la Nazione
è colpita da temporali violenti che durino più di una notte.
Personale tecnico che potrebbe
coordinarsi con il Corpo Forestale dello Stato anche per affrontare il problema
del disboscamento selvaggio e delle frane conseguenti e, nello stesso tempo, esercitare una vera e propria vigilanza
capillare del territorio per prevenire e vigilare sugli incendi dolosi o sul
dissennato sfruttamento del suolo per la realizzazione di insediamenti
abitativi abusivi.
Professionisti dipendenti dello
Stato che guadagnerebbero in professionalità affrontando problemi reali e non
simulati come avviene nelle normali fasi addestrativa militari, incrementando
la loro capacità nelle operazioni militari fuori del territorio nazionale anche
a vantaggio delle realtà locali
emergenti da periodi bellici o di criticità interna.
Un modo anche per ottimizzare il
costo / efficacia del mantenimento di strutture dello Stato e per evitare che
si ricorra a loro solo all’emergenza, spesso con risultati scarsamente efficaci
e comunque costosissimi in quanto prodotto di soluzioni improvvisate e dettate dalle emergenze e dai bisogni eccezionali del momento.
Solo un’idea che potrebbe essere,
però, meritevole di approfondimento per tentare di affrontare almeno nell’immediato e con costi
assolutamente contenuti, un problema da
anni dimenticato e che in taluni casi ha raggiunto punti di criticità
irreversibile: il controllo del territorio ed il mantenimento delle risorse
naturali del nostro Paese.
14 novembre 2012, ore 15,30
1 commento:
Non ho il piacere di conoscerti personalmente ma ho seguito con ammirazione quanto stai facendo per non far cadere nell’oblio la brutta storia dei marò detenuti in India. Ora, emotivamente coinvolto (a ragione) dai disastri causati da eventi meteorologici che si sono verificati un po’ dovunque, con l’amore e la competenza nello specifico settore (sei un ufficiale dell’Arma del Genio!) fai delle proposte facendo un parallelo con quanto avviene negli USA..
Nulla di più errato. E’ evidente che non hai seguito le vicende che hanno portato all’attuale organizzazione della Protezione Civile, campo in cui ho qualche esperienza sia in ambito nazionale che NATO.
Infatti, quanto tu auspichi, era già insito nella normativa diramata dallo Stato Maggiore della Difesa con una pubblicazione del 1983 “DC – 2 La cooperazione Civile-Militare”.
La protezione Civile era il 4° settore della Difesa Civile che si prefiggeva di delineare tutte le attività di difesa (continuità dell’azione di governo, telecomunicazioni, sanità pubblica ecc. – sei erano i settori di interesse) che avrebbero dovuto, in caso di guerra o di grandi calamità naturali affiancare l’azione militare.
Tale organizzazione trovava il vertice organizzativo nel “Centro Militare per la difesa civile” presso lo Stato Maggiore Difesa.
Evidentemente trattare la protezione Civile nell’ambito della Difesa civile, con la preminenza organizzativa dell’apparato militare, in Italia era politicamente scorretto. Ecco che, abbandonata ogni idea di costituire seriamente una difesa civile si costituì il ministero della Protezione Civile, passando all’organizzazione civile i compiti che le Forze Armate si erano assunte.
Pensi davvero che sia possibile un ritorno, anche se parziale, al passato? Non pensi che con l’impiego di consistenti nuclei di Ufficiali, molte delle ruberie che hanno contraddistinto le protezione civile (vds Albania …) se non impossibili sarebbero un po’ più difficili da mettere in pratica con seri Ufficiali, dediti al lavoro ed alla Patria, tra i piedi?
A Te la risposta.
Con stima
Pierpaolo Guidoni (paracadutista)
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