mercoledì 14 novembre 2012

Un possibile rimedio per l’Italia terra di disastri naturali


Il territorio italiano è ormai alla mercé  di qualsiasi evento naturale importante. Una realtà ormai sotto gli occhi di tutti che si somma alla già elevata minaccia dei terremoti che appartengono al DNA del nostro Paese. E’ sufficiente qualche millimetro di pioggia in più rispetto al consueto, magari concentrato in un arco di tempo modesto, per assistere a spettacoli assurdi. Montagne che franano, torrenti e fiumi che straripano, ponti e strade che crollano.
 
Tutti i geologici nazionali denunciano da tempo il pericolo che incombe sul nostro Paese dovuto alla scarsa cura e gestione del territorio, sempre di più diminuita negli anni accompagnata, invece, da un’edificazione selvaggia, dall’abbandono delle attività agricole e dal  disboscamento causato dagli incendi dolosi.

 La situazione è sempre più grave ed in talune zone ha praticamente raggiunto un livello di massima guardia anche per il trend di mutazione meteorologica che spinge ad ipotizzare un costante ma inesorabile allargamento della fascia tropicale verso nord, Condizioni che se non affrontate con immediatezza ed incisività potrebbero portare ad un’inesorabile desertificazione del nostro territorio.   

Un’esigenza  riconosciuta da quasi tutti ma che non viene affrontata alla radice con l’alibi ricorrente della scarsità delle risorse economiche disponibili a livello centrale e periferico. Vincoli che però non giustificano l’attuale inerzia nel non valutare soluzioni alternative che possano consentire di iniziare ad affrontare il problema con provvedimenti praticamente a “costo zero”, utilizzando risorse già presenti sul territorio ed assolutamente affidabili.

Tutto questo senza inventare nulla ma rifacendoci a quanto avviene in altre parti del mondo con efficacia e mutuando soluzioni che negli anni hanno dato risultati assolutamente soddisfacenti fatte salve rare eccezioni indotte da eventi catastrofici.

Primo fra tutti l’esempio di quanto avviene negli Stati Uniti d’America dove l’ampiezza e complessità morfologica del territorio ha da sempre imposto un attenta vigilanza preventiva. Tutto è cominciato dalla fine  del Secondo Conflitto mondiale, coinvolgendo il Corpo degli ingegneri militari (United States Army Corps of Engineers” - USACE) a cui è demandato il controllo dei corsi d’acqua interni, dello sfruttamento del territorio, della pulizia dei siti inquinati. Costoro assicurano i necessari interventi con il solo costo delle materie prime necessarie in quanto le professionalità impiegate sono tratte da militari in servizio effettivo e quindi già dipendenti dello Stato.

Una struttura operativa di circa 40.000 persone per tutto il territorio nazionale, di cui fanno parte militari e civili, dipendenti dal Ministero della Difesa. Costoro, oltre alle attività peculiari di ingegneria militare in pace ed in guerra, sono impegnati nella vigilanza e ripristino di dighe, canali, corsi d’acqua, fiumi di vasta portata, fornendo servizi specifici di ingegneria a favore della popolazione e riducendo il rischio di catastrofi naturali di grande portata.

 Una complesso che opera su tutto il territorio nazionale in attività rilevanti che costituiscono una vera e propria palestra addestrativa per gli stessi militari destinati anche a fornire supporto tecnico e concorso alle Truppe combattenti impiegate nei vari Teatri Operativi per missioni di Peace Keeping e Peace Enforcing.  

USACE garantisce anche supporto operativo e consultivo al “Departement of Homeland Security” (DHS) instituito subito dopo l’11 settembre per garantire la protezione del territorio ed alla “Federal Managment Agency” (FEMA) che fa parte del Dipartimento per la Sicurezza Interna ed ha compiti simili a quelli del Dipartimento per la Protezione Civile italiana.

In tale quadro, USACE collabora nella prevenzione di possibili emergenze derivate da importanti calamità naturali e negli interventi di ripristino delle aree danneggiate. Un impegno costante per il monitoraggio di tutte le acque interne nazionali, per la manutenzione e ripristino di tutte le opere idrauliche destinate a raccogliere, convogliare e smaltire le acque piovane e per l’individuazione di aree a rischio frana e loro messa in sicurezza.

Un patrimonio professionale che è proprio anche dell’Italia composto dal personale dell’Arma del Genio Militare, in possesso di specialità specifiche di tutto rispetto ed affidabilità e di mezzi e tecnologie moderne. Ufficiali ingegneri, Sottufficiali in possesso di titoli di studio superiori e di Lauree triennali assolutamente adeguati per affrontare sul piano tecnico ed organizzativo la specifica minaccia. Strutture operative dislocate su tutto il territorio nazionale con una copertura areale pressoché totale e che nel tempo in occasione di gravi calamità naturali, hanno dimostrato di possedere capacità e potenzialità di intervento della massima valenza.

Una parte di costoro, a turno, potrebbe essere destinata a vigilare sul territorio nazionale nel realizzare quanto necessario per evitare  tragedie in termini di danni economici ed di vite umane che avvengono non appena la Nazione è colpita da temporali violenti che durino più di una notte.

Personale tecnico che potrebbe coordinarsi con il Corpo Forestale dello Stato anche per affrontare il problema del disboscamento selvaggio e delle frane conseguenti  e, nello stesso tempo,  esercitare una vera e propria vigilanza capillare del territorio per prevenire e vigilare sugli incendi dolosi o sul dissennato sfruttamento del suolo per la realizzazione di insediamenti abitativi abusivi.

Professionisti dipendenti dello Stato che guadagnerebbero in professionalità affrontando problemi reali e non simulati come avviene nelle normali fasi addestrativa militari, incrementando la loro capacità nelle operazioni militari fuori del territorio nazionale anche a  vantaggio delle realtà locali emergenti da periodi bellici o di criticità interna.

Un modo anche per ottimizzare il costo / efficacia del mantenimento di strutture dello Stato e per evitare che si ricorra a loro solo all’emergenza, spesso con risultati scarsamente efficaci e comunque costosissimi in quanto prodotto di soluzioni improvvisate  e dettate dalle emergenze e dai  bisogni eccezionali del momento.

Solo un’idea che potrebbe essere, però, meritevole di approfondimento per tentare di affrontare  almeno nell’immediato e con costi assolutamente contenuti,  un problema da anni dimenticato e che in taluni casi ha raggiunto punti di criticità irreversibile: il controllo del territorio ed il mantenimento delle risorse naturali del nostro Paese.

14 novembre 2012, ore 15,30

1 commento:

p.Guidoni ha detto...

Non ho il piacere di conoscerti personalmente ma ho seguito con ammirazione quanto stai facendo per non far cadere nell’oblio la brutta storia dei marò detenuti in India. Ora, emotivamente coinvolto (a ragione) dai disastri causati da eventi meteorologici che si sono verificati un po’ dovunque, con l’amore e la competenza nello specifico settore (sei un ufficiale dell’Arma del Genio!) fai delle proposte facendo un parallelo con quanto avviene negli USA..
Nulla di più errato. E’ evidente che non hai seguito le vicende che hanno portato all’attuale organizzazione della Protezione Civile, campo in cui ho qualche esperienza sia in ambito nazionale che NATO.
Infatti, quanto tu auspichi, era già insito nella normativa diramata dallo Stato Maggiore della Difesa con una pubblicazione del 1983 “DC – 2 La cooperazione Civile-Militare”.
La protezione Civile era il 4° settore della Difesa Civile che si prefiggeva di delineare tutte le attività di difesa (continuità dell’azione di governo, telecomunicazioni, sanità pubblica ecc. – sei erano i settori di interesse) che avrebbero dovuto, in caso di guerra o di grandi calamità naturali affiancare l’azione militare.
Tale organizzazione trovava il vertice organizzativo nel “Centro Militare per la difesa civile” presso lo Stato Maggiore Difesa.
Evidentemente trattare la protezione Civile nell’ambito della Difesa civile, con la preminenza organizzativa dell’apparato militare, in Italia era politicamente scorretto. Ecco che, abbandonata ogni idea di costituire seriamente una difesa civile si costituì il ministero della Protezione Civile, passando all’organizzazione civile i compiti che le Forze Armate si erano assunte.
Pensi davvero che sia possibile un ritorno, anche se parziale, al passato? Non pensi che con l’impiego di consistenti nuclei di Ufficiali, molte delle ruberie che hanno contraddistinto le protezione civile (vds Albania …) se non impossibili sarebbero un po’ più difficili da mettere in pratica con seri Ufficiali, dediti al lavoro ed alla Patria, tra i piedi?
A Te la risposta.
Con stima
Pierpaolo Guidoni (paracadutista)