lunedì 26 novembre 2012

Marò prigionieri in India. La delusione di un ex Comandante


Il tempo ha segnato inesorabilmente il suo passaggio per cui non sono più un Comandante operativo. Moralmente non ho però mai cessato di esserlo e per questo  sento il bisogno di dedicare il mio tempo, le mie energie, il mio senso etico e morale ai due nostri concittadini in uniforme che stanno vivendo momenti difficili. I nostri due Fucilieri di Marina da nove mesi tenuti in ostaggio in India.
 
Me lo impone il mio senso morale e la mia etica di ex Comandante maturata nel corso di tutta la mia attività professionale.  L’Accademia Militare e gli altri Istituti militari di formazione  mi hanno educato ed istruito alla difficile attività del Comando. I successivi anni hanno concorso a completare la mia formazione radicando in me la convinzione che ci si può definire buoni Comandanti solo se i propri collaboratori sono messi in condizione di operare con tranquillità e serenità; consci che in qualsiasi momento potranno fare riferimento sulla tutela del loro Leader  e sicuri di poter dire in qualsiasi momento e senza essere smentiti :   “me lo ha detto il mio Comandante”

Il vero Comandante deve essere, quindi,  un custode attento della sua identità e del suo ruolo; un cultore del rispetto dell’uomo e della vicinanza all’uomo in particolare nei momenti di difficoltà. Solo attraverso questa limpidezza comportamentale il “Capo” potrà guadagnare veramente il cuore dei suoi uomini esercitando su loro il proprio “carisma”, che può essere solo riconosciuto e non imposto per titolarità di carica.  

E’ un Comandante non solo chi gestisce truppe, ma anche e soprattutto chi è al vertice di qualsiasi Organizzazione complessa, sia essa civile o militare,  di un’Istituzione e di uno Stato. Costui ha l’obbligo morale di spendersi per i propri uomini.

Oggi sono deluso perché intravedo una certa freddezza in coloro che invece dovrebbero dimostrare piglio ed incisività nell’affrontare e risolvere il problema dei due Fucilieri di Marina prigionieri in India da quasi nove mesi. Militari italiani costretti a subire un vero e proprio atto di coercizione da uno Stato straniero che si dimostra disattento verso il Diritto internazionale e le Convenzioni ONU.

L’insoddisfazione di un uomo che ha creduto nelle sue funzioni di Comandante ed ha, invece,  la sensazione che altri che dovrebbero essere deputati ad esserlo, prendono le distanze dal ruolo ricoperto.

Non in ultimo, il Comandante in Capo delle Forze Armate, il Presidente della Repubblica a cui l’art. 87 della Costituzione conferisce  il Comando e la presidenza del Consiglio Supremo di Difesa, nonchè la facoltà di dichiarare lo stato di guerra, se approvato dalle Camere.

Un riconoscimento costituzionale di funzioni che non possono avere un carattere puramente formale  e simbolico (libro bianco 2002), considerato il ruolo di garanzia e di indirizzo politico affidato al Capo dello Stato in materia di sicurezza e difesa e tenuto conto di quanto recentemente affermato da Lui stesso circa a propri compiti che non possono né devono essere limitati alla sola attività di tagliare i nastri  tricolore in occasione di cerimonie di inaugurazione.

Fatta  salva ogni possibile mia disattenzione, mi permetto di affermare, che, invece, ad oggi ho sentito solo frasi di circostanza, espressioni di vicinanza ai due Marò ed alle loro famiglie, parole di auspicio e speranza per la soluzione del problema. Solo espressioni di fratellanza non accompagnate, però, da riscontri oggettivi almeno per dare un segnale di certezza a costoro ed a tutti gli altri colleghi che operano in uniforme, in Italia ed all’estero,  per garantire sicurezza e convivenza pacifica.

Solo una serie di dichiarazione di intenti ma nessuna iniziativa politica formale ed esplicita ai massimi livelli Istituzionali per coinvolgere in maniera significativa i principali organismi internazionali, a partire dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dalla  stessa Unione Europea. Azioni invece ricorrenti in altre occasioni per affrontare tematiche diverse ma, forse, caratterizzate da un maggiore ritorno di immagine personale rispetto al problema dei due militari italiani prigionieri in India.

A Massimiliano Latorre e Salvatore Girone si preferisce guardare con “affetto e  fratellanza”,  ma non con la determinazione di chi sia convinto del proprio ruolo e della necessità di esporsi per tutelare due cittadini in uniforme coinvolti in eventi connessi all’assolvimento del compito ricevuto dal proprio Parlamento e che, in questo momento, hanno  bisogno del supporto dello Stato ai massimi livelli.

Una situazione che non può che rendere tristi tutti coloro che per il loro Paese e per i propri uomini hanno spessissimo sacrificato loro stessi e le loro famiglie,  avulsi da qualsiasi condizionamento che potesse essere indotto da interessi di carica o di prestigio.

Io sono triste e sono convinto che come me lo siano tanti altri Comandanti o ex Comandanti  !

26 novembre 2012 – 14,30

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Latorre e Girone pagano sulla loro pelle la supinità nei confronti di una potenza soprattutto commerciale e di questi tempi poi... lasci immaginare. Nessuno vuol bruciarsi la pelle a fare il primo. Onore ai due Fanti di Marina Uomini veri e non quaquaraqqà omminicchi!

Anonimo ha detto...

La Corte Suprema Indiana si è riservata il giudizio sulla giurisdizione dal 4 settembre e son quasi tre mesi fa. Nella peggiore ipotesi occorrerà iniziare il giudizio nel Tribunale del Kerala ed al contempo fare appello alla Corte di Giustizia all'Aia. Meno male che i due marò sono al Trident Hotel anziché in galera perché la cosa si preannuncia lunga per anni a venire. La soluzione veloce potrebbe essere prelevare i nostri da una spiaggia di Kochi. Ma questo costerebbe a Finmeccanica l'esclusione da ricchi contratti di forniture militari. Peraltro Finmeccanica è invischiata in un'inchiesta di tangenti a funzionari indiani. Potremmo anche bloccare l'interscambio (dopotutto ci guadagneremmo perchè loro vendono a noi di più).
Se ci viene rifiutata la giurisdizione siamo nelle pastoie di un sistema giudiziario molto più lento di quello italiano (già non veloce) ma equilibrato e giusto. In udienza non sarà difficile smontare le accuse che sono abbastanza inconsistenti ma ci vorranno anni.
In pratica io la vedo così: in questo pasticcio i nostri fucilieri in India ci resteranno anni, per salvaguardare il posto di lavoro di tanti italiani, dato che l'Italia non ha la forza di agire diversamente.
Mario Ricci - Viareggio