mercoledì 22 maggio 2013

E’ morto un italiano che amava la sua Bandiera !


Sandro Macchia  è morto ! Sembra si sia ucciso. Un colpo di pistola sparato alla testa mentre era solo nella sua abitazione.

Era un uomo che credeva nello Stato,  che aveva dato molto allo Stato e continuava a farlo impegnandosi in prima persona per tenere alta l’attenzione sulla vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.

Un generoso che agiva spesso d’impeto come tutti coloro che credono nei loro ideali. Forse anche con irruenza ma sempre con onestà intellettuale e fedele ai Suoi principi.  Non cercava spazi personali per  apparire, piuttosto si impegnava concretamente per raggiungere i risultati come farebbe qualsiasi uomo che crede nelle proprie scelte e le porta avanti a testa alta.

Scriveva Sandro “Conosco il Sacrificio di coloro i quali oggi non sono più fra noi e gli ideali che li hanno ispirati ………….Da Incursore paracadutista il mio desiderio è quello di vedere condiviso il mio sentimento di vicinanza a Salvatore e Massimiliano …..”

Scrive di Lui l’Ambasciatore Terzi nella Sua pagina di FB “GIORNATA INCREDIBILMENTE TRISTE PER ME E PER MOLTI DI VOI.... E' venuto a mancare tragicamente e improvvisamente un amico vero di questa community, *Sandro Macchia*, che con tanta passione, interesse e coinvolgimento ha sempre scritto su questa pagina dando il proprio contributo attivo alle nostre innumerevoli discussioni...   Sandro, mancherai a TUTTI noi: sei stato uno dei primi utenti ad affezionarti a questo gruppo, a contribuire disinteressatamente ai nostri quotidiani confronti sui temi più vari, i tuoi post sono ovunque su questo muro, e... ci mancherai tanto, davvero!!!” Ed aggiunge “Onore sincero a tutti i nostri Militari deceduti in servizio, e a Sandro Macchia, ex Militare morto per motivi a noi sconosciuti…….”.

Ciao Sandro,  assiduo ed eccezionale protagonista fra coloro che hanno fin dal primo momento voluto esprimere la vicinanza ai due Fucilieri di Marina in ostaggio dell’India da 15 mesi. Non dimenticherò mai il Tuo impegno nel portare avanti tutto ciò in cui credevi,  con la limpidezza di colui che ama la propria Bandiera e la storia che il simbolo rappresenta.

Encomiabile il Tuo impegno nel cercare di tenere alta l’attenzione sulla vicenda dei due nostri Fucilieri di Marina e sollecitare  l’impegno delle  Istituzioni perché Massimiliano e Salvatore fossero restituiti alle loro famiglie ed all’Italia.  Onore a Te.

Roma 22 maggio 2013 , ore 11,00 

venerdì 17 maggio 2013

Destino segnato per i due Marò


Il 21 marzo u.s. l'Italia ha rinunciato alla sua sovranità nazionale cedendo al ricatto politico ed economico di uno Stato terzo che da quasi sedici mesi disprezza il Diritto  e le Convenzioni Internazionali e detiene in ostaggio due militari italiani.  Ha rispedito in India come fossero merce di scambio i nostri due Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone,  solo perchè Delhi “ha alzato la voce” minacciando di limitare le garanzie diplomatiche e la stessa libertà personale del nostro Ambasciatore e perchè qualcuno dell'Esecutivo del momento ha preferito difendere gli interessi di lobby economiche, piuttosto che di due nostri militari praticamente "svenduti" per trenta denari.

Decisione che lasciava in quel momento perplessi suscitando in molti il desiderio di capire cosa in realtà stese accadendo. Prioritaria l’esigenza di assicurarsi che i due militari fossero assolutamente tutelati sulla non applicazione della pena di morte nei loro confronti. Chiedevo quindi al Ministero degli Affari Esteri di poter disporre di una copia del documento prodotto dall’India in tal senso ed a cui si riferivano rappresentanti istituzionali.

Ieri finalmente una risposta della Farnesina che, però, rinnova tutte le perplessità  precedenti. Una lettera a firma del Ministro Emma Bonino da cui emergono due punti essenziali.

Il primo relativo alla volontà italiana di pretendere che l’India rispetti il diritto internazionale. Testualmente “Sulla base del diritto internazionale consuetudinario e pattizio, continuiamo a ritenere che la giurisdizione sui due Fucilieri di Marina coinvolti nel tragico episodio spetti all’Italia e che essi debbano essere giudicati dalla magistratura italiana. I più recenti sviluppi confortano il Governo italiano nella scelta di un confronto costruttivo con l’India. In particolare, il dialogo avviato ha fatto emergere la consapevolezza, anche da parte indiana, di dover affrontare con maggiore decisione, linearità e speditezza la vicenda, per una sua soluzione equa e rapida”.

Il secondo meno importante ma puranche sostanziale con il quale viene negato di poter disporre di una copia dell’assicurazione indiana sulla non applicabilità della pena di morte motivata con l’affermazione “Il documento, infatti, rientra in una delle categorie - quella dei carteggi scambiati dall’amministrazione con i rappresentanti degli Stati esteri in Italia ed esponenti dei Governi e delle amministrazioni degli Stati esteri - che il Decreto Ministeriale n. 604/1994 sottrae all’accesso, fra l’altro, “per motivi attinenti alla correttezza delle relazioni internazionali”.

Evidentemente qualcosa in un recente passato è sfuggito ai controlli del Dicastero considerando che uno stralcio del documento è stato pubblicato e commentato in un recente articolo pubblicato sul settimanale Panorama.

Precisazioni quelle sottoscritte dal Ministro che però non rispecchiano, almeno per quanto attiene alla “competenza di giudicare”, quanto riportato da vari organi di stampa che ci informano che la Bonino abbia riferito in Parlamento “i due Fucilieri di Marina saranno sottoposti ad una nuova procedura di indagine a New Delhi che dovrebbe durare due mesi in applicazione di una legge che esclude la pena di morte”, aggiungendo “un processo fast and fair (rapido e giusto) è la strada da seguire, bisogna trovare un modo per portare a casa i Marò e questa strada di dialogo e fermezza ci potrà consentire di risolvere la questione”.

Pronunciamenti la cui sostanza è confermata anche da una dichiarazione del dott. De Mistura rilasciata il 14 maggio all’ANSA che riporta fra l’altro ''l'inchiesta sarà veloce, rapida ed equa',  lasciando presumere che ormai si accetta che l’India emetta un verdetto.

Affermazioni differenti che, come avvenuto in passato,  inducono sicuramente confusione. L’11 marzo, l’allora Sottosegretario De Mistura dichiarava all’AGI “La decisione di non far rientrare i maro’ in India e’ stata presa in coordinamento stretto con il presidente del Consiglio Mario Monti e d’accordo tutti i ministri....”, mentre in Parlamento il 26 marzo il Senatore Monti praticamente si dissociava dalla decisione che era stata presa di trattenere i Marò in Italia. Ieri la missiva del Ministro Bonino che in prima approssimazione sicuramente non è coerente con quanto riferito dalla stessa sempre in Parlamento.

Non è azzardato affermare, quindi, che la vicenda si fa sempre meno chiara e viene proposta agli italiani in maniera sicuramente confusa, quasi un’offesa all’intelligenza di molti e sicuramente alla mia.

Probabilmente è stata scelta una soluzione all’italiana che non rende però onore al nostro Paese né tantomeno rispecchia la volontà di pretendere che il Diritto Internazionale sia rispettato né tantomeno riconosciuta l’immunità funzionale di cui i due militari italiani hanno diritto,  come invece sottoscrive il Ministro.

Piuttosto un arrangiamento a discapito della nostra sovranità nazionale e che potrebbe compromettere la sicurezza futura dei nostri militari impiegati nel mondo in operazioni di Peace Keeping ch potrebbero dubitare di avere garantito dalla propria Nazione il riconoscimento del loro status come sta avvenendo per i due Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. 

Roma 17 maggio 2013, ore 15,45

lunedì 13 maggio 2013

Massimiliano Latorre e Salvatore Girone : Nulla è ancora chiaro.


Il 15 febbraio 2012 la Marina Militare italiana comunica ufficialmente :

“I Fucilieri del Battaglione S. Marco, imbarcati come nucleo di protezione militare (NPM) su mercantili italiani sono intervenuti oggi alle 12,30 indiane, sventando un ennesimo tentativo di abbordaggio. La presenza dei militari della Marina Militare ha dissuaso cinque predoni del mare che a bordo di un peschereccio hanno tentato l’arrembaggio della Enrica Lexie a circa 30 miglia ad Ovest della costa meridionale indiana …..”.

Quel giorno ha  inizio una delle più complesse controversie internazionali destinate ad entrare a far parte come “caso di studio” nei testi di Diritto Internazionale e che rappresenta un momento oscuro  della nostra storia. Un modello di riferimento per spiegare come la titubanza ed il susseguirsi di decisioni anche discordanti fra loro, non aiutino una Nazione ad affermare la propria credibilità e sovranità, prescindendo dalle alchimie finanziarie o dal mancato rispetto dei parametri economici di Maastricht.

Eventi che hanno segnato la vita di due nostri concittadini, militari coinvolti in vicende collegate al compito istituzionale loro assegnato, presi in ostaggio da uno Stato Terzo, arrogante nei confronti di un’Italia pronta a cedere sovranità a vantaggio  di non meglio definiti  interessi economici.

Un’Italia che ha rinunciato ad avvalersi di qualsiasi diritto di applicare l’arbitrato internazionale, previsto per la gestione delle controversie internazionali. Uno strumento che nella fattispecie  avrebbe assegnato ad altri non coinvolti nella vicenda il compito di fare chiarezza, in particolare su chi avesse il diritto di esercitare l’azione giudiziaria.

Non si comprende il motivo per cui ancora non sia stato avviato unilateralmente questo atto fondamentale previsto dal Diritto Internazionale, ma si preferisce confermare un approccio esitante che ormai dura da 15 mesi, quasi certamente determinato dalla insicurezza politica e da un senso di sottomissione di fronte al contesto internazionale e probabilmente, anche indotto da interessi economici che coinvolgono lobby di alta finanza.

Per contro, l’Italia il 21 marzo, non ha superato qualsiasi titubanza nel disporre il rientro dei due militari in India alla scadenza di quattro settimane di permesso “elettorale”, pure rinnegando una decisione presa l’11 marzo che prevedeva il loro non rientro. Un ulteriore assoggettamento ad un altro ricatto indiano che minacciava la libertà personale dell’Ambasciatore italiano a Delhi negandogli l’immunità diplomatica, storicamente  applicata nel mondo anche in caso di controversie globali fra Stati.

Una decisione, questa ultima, che dalle dichiarazioni dell’allora Sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura, appariva come una scelta collegiale del Governo. Il dott. De Mistura, infatti,  secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa diramata dall’AGI alle ore 17,51 dell’11 marzo, dichiarava ““La decisione di non far rientrare i maro’ in India “e’ stata presa in coordinamento stretto con il presidente del Consiglio Mario Monti e d’accordo tutti i ministri” coinvolti nella vicenda, “Esteri, Difesa e Giustizia”. Aggiungeva che “siamo tutti nella stessa posizione, in maniera coesa e con il coordinamento di Monti”. 

L’attuale “Commissario straordinario del Governo quale inviato speciale per  il coordinamento delle amministrazioni interessate” alla soluzione della vicenda dei Marò, in quel momento chiariva inoltre che  “a questo punto la divergenza di opinioni” tra l’Italia e l’India sulle questioni della giurisdizione e dell’immunità richiede un arbitrato internazionale: il ricorso al diritto internazionale o una sentenza di una corte internazionale”.

Lo stesso ex  Sottosegretario agli Esteri italiano che il 10 maggio 2012, forse affrettatamente,   aveva dichiarato alla stampa indiana: «La morte dei due pescatori è stato un incidente fortuito, un omicidio colposo. I nostri Marò non hanno mai voluto che ciò accadesse, ma purtroppo è successo».

Ora il silenzio oscura di nuovo i fatti. Un silenzio tombale dopo il rientro dei due militari in India, le dimissioni dell’allora Ministro Terzi e le dichiarazioni del Presidente del Consiglio il 26 marzo in Parlamento. Un Senatore Monti perentorio in quella circostanza nel dissociarsi dalla decisione dell’11 marzo di non far rientrare in India Massimiliano e Salvatore ma, nello stesso tempo, in contrasto con quanto dichiarato due settimane prima dal dott.  De Mistura.  il giorno dopo promosso al rango di Vice Ministro.

Un silenzio rotto solo da sintetiche dichiarazioni di intenti del nuovo Governo, con il Ministro degli Esteri e quello della Difesa che immediatamente hanno dichiarato come loro impegno prioritario il rientro dei Marò dall’India.  

I media tacciono, non si sa nulla sul Tribunale indiano che doveva essere costituito con lo scopo di giudicare i due Marò nel più breve tempo possibile, nessuno informa i cittadini sulla sorte di altri concittadini strappati alle loro famiglie con un atto arbitrario di uno Stato che ha calpestato la sovranità italiana e disatteso i più elementari contenuti del Diritto Internazionale. 

Non si parla più nemmeno di arbitrato internazionale e si assiste ad una quasi totale rassegnazione come se si fosse deciso di aspettare la sentenza indiana ormai data per scontato e riprendersi i due militari italiani in base all’accordo bilaterale India - Italia del 10 agosto del 2012 sulla restituzione sul “trasferimento delle persone condannate”, per far scontare loro la pena nel Paese di appartenenza. . Un accordo che allora poteva rappresentare un’uscita di sicurezza  in assenza di una decisione ancora certa della Corte Suprema di Nuova Delhi, ma che oggi costituisce una resa dell’Italia che rinuncia a far valere i proprio diritti nel contesto internazionale.

Un atteggiamento che potrebbe rappresentare un precedente pericoloso e  non coerente con la cultura politica e giuridica di uno Stato caratterizzato da antiche tradizioni come l’Italia. Una scorciatoia facile da percorrere ma che sicuramente non propone un’immagine nazionale credibile sul piano internazionale e non concorre ad indurre fiducia in coloro che per dovere istituzionale difendono  gli interessi e la sicurezza nazionale in condizioni spesso difficili.

Un messaggio sicuramente non rassicurante per chi in questo momento in Libano, in Afghanistan ed in altre aree difficili potrebbe essere costretto ad usare le armi per assolvere al compito ricevuto e nello stesso tempo, involontariamente,  causare “danni collaterali”.

Di fronte alla vicenda dei due Marò, costoro difficilmente potranno essere certi che lo Stato garantirà loro l’immunità funzionale negata ai colleghi incappati nei fatti indiani, diritto negato dall’India senza che l’Italia opponesse resistenza nelle opportune sedi internazionali.  

Roma 13 maggio 2013 - ore 15,00

mercoledì 8 maggio 2013

Al Qaeda ritorna in Libia


Al Qaeda non ha mai abbandonato la Libia. Gruppi estremistici erano presenti in Cirenaica fin dal 1990. Inizialmente raggruppati nel Gruppo Combattente Islamico Libico, militanti libici salafiti  poi confluiti in Al Qaeda, molti dei quali attivi protagonisti delle azioni terroristiche in Iraq contro gli USA.

Aggregazioni rimpinguate da un flusso continuo di nuovi elementi fatti confluire in area dal successore di Bin Laden, Ayman al Zawahiri, approfittando dei momenti caotici della guerra civile libica e nel momento in cui i lealisti fedeli a Gheddafi iniziavano a perdere il controllo di vaste aree del territorio. 

Gruppi consistenti di estremisti che approfittando della disfatta di Gheddafi nel tempo si sono appropriati di numeroso materiale bellico del disciolto esercito lealista. Armi, munizioni ed esplosivi di ultima generazione, parte consistente dello strumento militare di Gheddafi, risorse smistate a favore di gruppi eversivi presenti in Mali, in Algeria ed ora anche arrivate in Siria.  Scorte inesauribili a disposizione di quello che era stato uno degli Eserciti meglio equipaggiati, con ogni probabilità anche arricchite da armamento chimico già a disposizione del Rais e concentrato in depositi ai confini con il TChiad.

Oggi è confermato che numerosissimi elementi di jihadisti attivi durante la guerra civile libica sono passati a far parte della struttura eversiva dell’AQIM (L'Al-Qaeda nel islamica del Maghreb), che sarebbe in procinto di consolidare il suo Quartier Generale proprio in Libia.

Combattenti islamici a cui si stanno aggiungendo  moltissimi miliziani di Al Qaeda costretti a lasciare il Mali  dopo l’intervento francese e che si vanno attestando in campi di addestramento in territorio libico sotto lo sguardo assente di Tripoli.

Una logica conseguenza delle vicende che hanno sconvolto la Libia e tutta l’area dell’Africa settentrionale mediterranea, in conseguenza della “Primavera Araba”. Realtà ipotizzata in queste pagine fin dal febbraio 2012(http://fernandotermentini.blogspot.it/2012/02/libia-un-dopoguerra-incerto-come-quello.html) e forse sottovalutata dell’Occidente, in particolare dall’Europa sempre di più minacciata da compagini eversive  ormai attestate a ridosso dei suoi confini meridionali e prossime a consolidarsi sulle sponde sud orientali del Mediterraneo.
Avvenimenti che si ripetono nel tempo come quanto avvenuto in Afghanistan alla fine dell’invasione dell’ex Unione Sovietica a partire dal marzo 1989, quando, subito dopo l’uscita dei sovietici dal Paese asiatico, una consistente compagine di mujaheddin,in precedenza aiutata ed addestrata dall’Occidente e dal Pakistan nel contrasto “all’Armata Rossa”,  sarebbe diventata il cuore del network del terrorismo internazionale gestito da Bin Laden. 

In Libia quasi certamente sta avvenendo qualcosa di analogo. Le cellule salafite della Cirenaica hanno contribuito alla fine di Gheddafi per poi strutturarsi per permeare la realtà libica. Un rischio confermato anche dalle dichiarazioni del Presidente del TCiad Idriss Deby che recentemente ha espresso la propria preoccupazione per l’inerzia del Governo di Tripoli nei confronti di questi gruppi radicali che si stanno riorganizzando usando la Libia come futuro terreno di addestramento di nuove milizie terroristiche.

Il momento è, peraltro, favorevole considerando l’estrema instabilità che sta vivendo la Libia. Cirenaica e Fezzan sono da tempo fuori controllo  ed in tutto il Paese e particolarmente in  Tripolitania, le storiche tribù libiche si stanno imponendo per ottenere il controllo dei principali settori della vita pubblica.

Segnali non incoraggianti, suffragati anche da quanto sta avvenendo in ambito del Governo locale. Membri importanti dell’Esecutivo libico sono, infatti,  oggetto di pressioni da parte delle cellule radicali fino al punto che due giorni orsono il Ministro della Difesa Mohamed al-Barghati ha dato le dimissioni, poi rientrate su richiesta del Premier libico. Anche il Ministro della Giustizia, Salah al-Marghani denuncia forme di intimidazione, come la presenza che pick-up di miliziani armati di mitragliere antiaeree che minacciano il palazzo di Giustizia.

Tutti episodi che, in qualche modo, inducono a pensare che forse in Libia lo Stato è in procinto di arrendersi al ricatto di queste milizie. 

Una serie di vicende che dovrebbero preoccupare ed impegnare immediatamente la comunità internazionale in quanto potrebbero riportare il Paese nel caos e favorire l’affermazione ed il consolidamento di una nuova struttura eversiva in grado di esercitare un ricatto terroristico globale, ben superiore a quello posto in essere da Bin Laden.

Le strutture terroristiche presenti in Libia armate ed equipaggiate con moderno materiale bellico anche ”non convenzionale” reperito negli arsenali di Gheddafi, potrebbero, infatti, attivare un network criminale coinvolgendo tutte le forze radicali islamiste presenti nell’area, a partire dagli Al Shabaab attivi in Somalia, per rivitalizzare in maniera esponenziale nel Golfo di Aden le azioni di pirateria marittima.

Una minaccia per l’economia occidentale ed in particolare per quella europea. Ben più distruttiva degli attacchi terroristici alle Torri Gemelle in quanto una volta consolidata potrebbe sconvolgere il flusso commerciale di materie prime e di risorse energetiche che  dall’Asia e dall’Africa sono destinate a raggiungere l’Europa attraverso il canale di Suez, peraltro sempre più controllato da formazioni politiche radicali vicine ai Fratelli Mussulmani.
  
Roma 08 marzo 2013, ore 12,30