venerdì 28 novembre 2014

I due Marò : l’Italia non abbandona la strada della questua


Il silenzio istituzionale circonda la vicenda dei due Marò che ormai si trascina da 1000 giorni e due settimane trascorsi dai due nostri militari a Delhi, ostaggio dell’India.1000 giorni in cui si sono succeduti tre Governi, tre Ministri degli Esteri e della Difesa che hanno tanto promesso ma poco realizzato.

Quasi tre anni trascorsi senza che nulla accadesse per risolvere la vicenda durante i quali, intanto, ex Ministri del Governo Monti hanno consolidato il loro futuro. Rappresentanti istituzionali che presumibilmente per ruolo ricoperto al momento dei fatti, ebbero un peso  determinante nelle decisioni che portarono a restituire all’India Latorre e Girone il 22 marzo 2013.

Notizie di stampa riportano infatti che l’ex Ministro della Difesa  Di Paola si trasferisce negli Stati Uniti, destinazione Irvine, in California e dal primo gennaio 2015 sarà impegnato come vice presidente esecutivo, con responsabilità mondiale, in una banca privata che finanzia progetti in paesi in via di sviluppo, la EurOrient financial group riconosciuta dall’ Onu. L’ex Ministro dello Sviluppo Economico, invece, il dott. Corrado Passera, si affaccia sulla scena politica italiana leader di una nuovo movimento politico.

Nulla invece è maturato per riportare in Patria i due militari, dopo le  vittorie diplomatiche dell’ex Ministro Terzi che era riuscito per due volte ad ottenere dall’India che i due Fucilieri di Marina tornassero in Italia.

Un’azione che offriva uno spiraglio perché i due rimanessero in Italia, magari in seguito ad un divieto di espatrio sancito dalla Magistratura italiana che nei loro confronti indagava per il reato di omicidio volontario. Atti che forse sarebbero stati anche ben accettati da un’India preoccupata a non pregiudicare i rapporti diplomatici con l’Italia e nello stesso tempo a non deludere la popolazione indiana, in particolare quella di estrema sinistra del Kerala.  

Ben diversa, invece,  la situazione per i due militari ai quali quel 22 marzo era stato assicurato che sarebbero rientrati in Italia dopo due / tre settimane dimenticando però di dire loro di quale anno. Uno, Massimiliano Latorre,  colpito da un grave problema fisico è in convalescenza in Italia e dovrebbe rientrare in India il 13 gennaio 2015. L’altro Salvatore Girone è rimasto in ostaggio dell’India in custodia cautelare presso l’Ambasciata italiana a Delhi.

Improvvisamente il nuovo Ministro degli Esteri Gentiloni, fa sentire la sua voce attraverso Agenzie di stampa ed in occasione di un intervista rilasciata ad un Telegiornale della televisione pubblica e ci informa che l’Italia “intende imprimere un significativo cambio di passo” e precisa tra l’altro,  secondo quanto riportato da un articolo pubblicato dal “Corriere.it che  l’Italia pur non abbandonando la strada dell’arbitrato internazionale ritiene che la soluzione del pasticcio potrà venire solo da un negoziato bilaterale e fuori dai riflettori. (http://www.corriere.it/opinioni/14_novembre_22/maro-due-sentenze-un-vero-cambio-passo-b5d84d0c-7251-11e4-9b29-78c5c2ace584.shtml)

Il tutto addolcito dall’ottimismo del Premier Renzi che è convinto di ottenere la benevolenza di Modi scambiando con lui due parole durante il G20 in Australia. Un Premier indiano che invece qualche giorno prima aveva pubblicamente esplicitato la sua convinzione che l’India dovesse applicare il diritto e le Convenzioni internazionali nei casi di pirateria marittima.

Un invito, quello di Modi, che l’Italia sembra, però, non voler accogliere nel momento che a livello istituzionale si continua a preferire la politica del compromesso piuttosto che a far valere i propri diritti in un contesto internazionale appositamente preposto ad esprimersi sulle controversie fra Stati.

Nulla è cambiato sotto il sole direbbe qualcuno. Continuiamo a questuare una soluzione “amichevole” secondo la migliore tradizione italiana del “vogliamoci bene”, linea politica anche confermata dalle dichiarazioni del Presidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati, Onorevole Cicchitto che recentemente ha auspicato:  "................. i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone possano contare anche sulla solidarietà europea e della comunità internazionale per una rapida e definitiva risoluzione della loro vicenda" (ANSA 6 nov).
 
Fernando Termentini, 28 nov. 2014 - ore 10,15

mercoledì 19 novembre 2014

Italia bancomat terrorismo ?

Da più parti specialmente in ambito internazionale, l'Italia viene considerata come il "bancomat" del terrorismo internazionale in quanto troppo spesso, se non sempre, paga il riscatto  per la liberazione di ostaggi  italiani in mano di organizzazioni eversive come Al Qaeda ed ora l'ISIS.

Un addebito al nostro Paese che  a partire dalla liberazione delle due Simona in Iraq,  ritorna non appena è dato l'annuncio della liberazione di un italiano e anche se non confermato dalle Istituzioni, viene invece testimoniato da molti organi di informazione nazionali, senza che venga smentito.   

Cerchiamo di ripercorrere, quindi, le tappe più significative per tentare di capire quanto le critiche nei confronti dell'Italia siano credibili e se, piuttosto, siano fantasie per screditare il nostro Paese. Richiami ad episodi importanti che si sono succeduti nel tempo riferendoci a  fonti di stampa accreditate, con lo scopo di  proporre una narrazione sintetica ma nello stesso tempo  completa, che aiuti a comprendere se la nostra Nazione merita di essere indicata come una delle fonti di risorse economiche per i terroristi. Uno dei motivi, forse, perché i nostri connazionali diventano  "prede appetibili e remunerative" per chiunque abbia il terrorismo come scopo primario da raggiungere.  

Quanto sia importante per le organizzazioni eversive disporre di ingenti risorse economiche lo dice in un comunicato tale Abur Basir, portavoce di Nasseir al Wuhayshi, capo di al Qaida nella Penisola arabica. Nell'agosto 2012 scriveva a Abdelmalek Droukdel, leader di al Qaeda Maghreb che la Jihad aveva costi elevati ma il bottino a disposizione dellorganizzazione era consistente e tale da garantire la copertura delle spese. Notizia pubblicata dal  New York Times che  parlava anche di una contabilità tenuta dai terroristi articolata fra il conteggio  del numero di morti per la causa e delle risorse economiche disponibili, di cui più della  metà era riconducibile al  business degli ostaggi.

In quella occasione Abur Basir sottolineava l'importanza di questa risorsa affermando che  rapire stranieri è un bottino facile, un commercio di grande profitto e, quindi, un tesoro prezioso.

Una rendita che, però, potrebbe essere azzerata solo se si applicassero le norme internazionali in vigore che proibiscono di pagare riscatti ai terroristi come stabilito da  una risoluzione delle Nazioni Unite approvata dopo l'11 settembre 2001  e da un accordo sottoscritto dai Paesi del G8 per fermare  "un  commercio di grande profitto" per Al Qaeda.

In realtà, le cose,vanno diversamente e sia il New York Times che il Wall Street Journal hanno nel tempo pubblicato circostanziati articoli  in cui rivelano come il business degli ostaggi sia in crescita in particolare nel nord Africa. Notizie mai smentite dai principali Paesi europei, compresa l'Italia. Quasi un'ammissione  di aver pagato riscatti per la liberazione di cittadini rapiti dalle organizzazioni terroristiche.

Un giro di affari che a livello internazionale è stimato in 125 milioni di dollari incassati dal 2008 ad oggi dalle formazioni eversive per la riscossione  di  riscatti. Un flusso di denaro enorme a cui l'Italia contribuisce in maniera sostanziale come si evince da recenti inchieste giornalistiche. 

Fonti di stampa ci dicono, infatti,  che dal 2004 ad oggi  l'Italia abbia  pagato  complessivamente 61 milioni di euro per 14 ostaggi catturati dalle organizzazioni eversive operative in varie aree geografiche. Una cifra enorme ed una scelta assolutamente diversa da quelle adottate dagli USA e dalla Gran Bretagna come dimostrano fatti concreti.  Due operatori umanitari, Federico Motka (italo-svizzero) sequestrato lo stesso giorno dell'inglese David Haines è stato rilasciato dopo qualche mese, il cittadino inglese decapitato a settembre dall'ISIS. Per liberare il cooperante italo-svizzero, secondo il settimanale Panorama lItalia ha pagato un riscatto di 6 milioni di euro".

Non è il solo caso di pagamento raccontato dai media. Anche per il rilascio del giornalista Quirico, sequestrato in Siria il 9 aprile 2013 e rilasciato l'8 settembre, sembra sia stato pagato un riscatto. Lo raccontano due  giornalisti, Harald Doornbos e Jenan Moussa, con un articolo pubblicato da Foreign Policy nel quale affermano che il governo italiano ha pagato quattro milioni di dollari. Rivelazione che è stata attribuita a tale Motaz Shaklab del Consiglio nazionale siriano, organo  dellopposizione ad Assad internazionalmente riconosciuto. Costui per la circostanza dice di essere stato il mediatore tra il governo italiano e i rapitori e di essere stato presente al momento del pagamento. La  Ministro Bonino interpellata ebbe a dire, invece e più volte, che "Non le risultava" che sia stato pagato un riscatto. Praticamente un'ammissione del tipo: io non c'ero e se c'ero non ho visto !

È un dato di fatto, quindi,  che tutti gli italiani rapiti all'estero a partire da Giuliana Sgrena,  Simona Pari e Simona Torretta, per arrivare a Federico Motka e  Marco Vallisa,  passando dai giornalisti Mastrogiacomo e  Domenico Quirico ed altri, siano stati liberati dietro il pagamento di riscatti milionari. La dimostrazione  che i nostri governi non solo hanno trattato con i terroristi, ma hanno anche distribuito milioni di euro di denaro pubblico  finanziando organizzazioni come l'ISIS ed i suoi assassini come  il «boia nero» autore del video della decapitazione di Steven Sotloff.

Solamente due giorni orsono, inoltre,  un operatore umanitario è stato giustiziato, l'americano Peter Edward Kassig, di appena 26 anni mentre quasi contemporaneamente veniva liberato un altro ostaggio italiano, Marco Vallisa, il 54enne tecnico italiano rapito in Libia a Zwara il 5 luglio 2014, per il quale sembra sia stato pagato un riscatto di 4 milioni di dollari. 

Una triste conferma, Tutti  gli ostaggi di Paesi che rifiutano di pagare riscatti per non rimpinguare le casse del terrorismo internazionale sono giustiziati, solo gli italiani e qualche francese vengono liberati dietro enormi esborsi di danaro.

Una realtà che lascia pensare che probabilmente i terroristi islamici considerano merce preziosa qualsiasi ostaggio italiano e anche francese. Una convinzione che, però, incrementa il rischio per i nostri connazionali che in qualche modo operano nel mondo.

Oggi, per quanto noto, rimangono nelle mani dei sequestratori ancora quattro italiani.   Vanessa Marzullo e Greta Ramelli rapite lo scorso 31 luglio, cooperanti simpatizzanti dei terroristi islamici come  lo erano le due Simona sequestrate in Iraq nel 2003,   padre Paolo Dall'Oglio, un Sacerdote anche lui filo-islamico rapito il 29 luglio 2013 e, da oltre due anni, il cooperante Giovanni Lo Porto sequestrato in Pakistan il 19 gennaio 2012.

Un'Italia controcorrente rispetto al "resto del mondo" fatte salve rare eccezioni. Un Paese contraddittorio anche in questo. Si è pronti a consegnare in ostaggio ad un Paese terzo due nostri militari, i Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone,  e nello stesso tempo si è pronti a pagare il riscatto per far liberare  ostaggi catturati da terroristi, magari perchè poco attenti a muoversi in aree a rischio.

Prassi non smentite dal nostro Esecutivo che invita a non polemizzare con l'India e nello stesso tempo per il tramite  del  Sottosegretario agli Esteri Giro ci informa:  Riporteremo i nostri ostaggi a casa. Non importa come, precisando anche  che "ogni Paese è sovrano di trattare o meno" con i rapitori, lasciando capire che l'Italia non intende abbandonare la strada del pagamento di riscatti, nonostante che nostri alleati nella lotta al terrorismo come  Londra e Washington, siano totalmente contrari a questa politica destinata ad incoraggiare i rapitori. 

La vita umana non ha prezzo e quindi potrebbe essere anche giustificabile il pagamento di un riscatto per liberare un ostaggio. Non lo è più, però, nel momento che  i proventi vanno a rimpinguare le casse di organizzazioni eversive pronte ad usare il denaro incassato per uccidere centinaia di migliaia di persone, anche donne e bambini. 

Peraltro, non si comprende perché non sia applicata anche in caso di sequestri di persona all'estero, la legge nazionale che proibisce e punisce il pagamento di qualsiasi riscatto anche arrivando a sequestrare i beni del rapito e della sua famiglia. Un  vincolo che dovrebbe essere esteso anche quando la persona sia rapita fuori dal territorio nazionale, evitando di essere complici nel fornire risorse ai gruppi eversivi.

Un  provvedimento da integrare con precise informazioni e moniti nei confronti di coloro che decidono per qualsiasi motivo di recarsi  in  Paesi a rischio, stabilendo che ciascuno lo farebbe  a proprio rischio e pericolo.

Non possiamo infatti continuare a mandare il pericoloso messaggio di essere dei buoni pagatori e, quindi,  fra i finanziatori delle  formazioni estremistiche che minacciano la sicurezza mondiale e le garanzie che ogni democrazia moderna assicura ai propri cittadini.

Fin tanto che continueremo, invece, a pagare riscatti i  potenziali ostaggi italiani continueremo ad essere sempre più vulnerabili ed a  rappresentare un bancomat inesauribile per il terrorismo internazionale.

Fernando Termentini, 19 nov. 2014 - ore 15,00

sabato 15 novembre 2014

I due Fucilieri di Marina : 1000 giorni di indebita prigionia

1000 giorni sono trascorsi da quando i nostri due Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono stati imprigionati dall'India senza che nei loro confronti fossero formalizzati atti di accusa circostanziati.
 
Un soggiorno obbligato dall’Italia nel momento che il 22 marzo 2013 lo Stato decise di riconsegnarli alla giustizia indiana nonostante prevedesse la pena di morte e negando loro ogni diritto connesso allo status di militari impiegati in operazioni Fuori Area volute dal Parlamento nazionale e da risoluzioni ONU per il contrasto alla pirateria marittima. 

E' fuori di ogni dubbio che in quella occasione l'Italia ha eseguito un atto di estradizione passiva, scegliendo di delegare all’India la gestione di un’azione giudiziaria assolutamente indebita, peraltro non suffragata da prove.  

Fatti che si trascinano da 1000 giorni e protetti da "verità nascoste" che hanno suggerito al Governo Monti di riconsegnare due militari in mani “palesemente ostili”. Una decisione in assoluto contrasto con la cultura giuridica ed etica italiana e presa senza rispettare la   Costituzione  e larticolo 698 del Codice di Procedura Penale che vieta lestradizione di chiunque, italiano o non, rischi di essere oggetto di  un procedimento  penale senza la garanzia dei diritti fondamentali della difesa ed in assenza prove  certe.  

Una  decisione  istituzionale  di dubbia congruità legale ed allepoca  giustificata  dall’assicurazione  formale  dellIndia sulla non applicazione della pena capitale. Documento, però, privo di consistenza  giuridica,  come espressamente sancito da una sentenza della Corte Costituzionale (n. 223 del 27 giugno 1996) con cui la Suprema Corte ha ritenuto la   semplice garanzia formale della non applicazione della pena  di  morte,  atto  insufficiente  alla  concessione  dellestradizione.  

Un vero e proprio arbitro i cui motivi non sono chiari e per questo i fatti sono stati sottoposti all'attenzione  della Procura della Repubblica di Roma.

Una decisione abnorme per un Paese come il nostro,  tradizionalmente in prima linea nel combattere la pena di morte. In quel triste giorno, invece, l'Italia ha voluto tutelare  interessi di dubbia natura considerati prevalenti rispetto alla certezza della difesa del diritto alla vita, solennemente proclamato in tutti gli atti internazionali sui diritti della  persona, a cominciare dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1984.

Un’Italia che in quella occasione, a distanza di più di due secoli,  ha dimenticato che la “pena di morte non è un diritto, ma è guerra di una nazione contro un cittadino”, come scriveva Cesare Beccaria in “Dei delitti e delle pene”.

L'eventualità che l'India potrebbe applicare la pena capitale, peraltro, non è ancora scongiurata se si analizzano recenti agenzie di stampa sulla vicenda. Un' AGI da New Delhi del 30 agosto che riporta tra l’altro “… La polizia antiterrorismo Nia, che ha istruito il caso dei maro' accusati dell'uccisione di due pescatori indiani nel febbraio 2012, lo ha affidato al tribunale speciale , nonostante l'opposizione della difesa che sostiene che la Nia non avesse più  competenza….e  su cui si e' in attesa delle controdeduzioni del governo di New Delhi”.

Controdeduzioni che non risulta siano ancora arrivate per cui rimane “pending” la competenza della NIA e quindi l’applicazione della Sua Act (legge antiterrorismo) e, conseguentemente, il rischio della pena capitale non è ancora cancellato.

Dopo 1000 giorni, quindi, nulla è certo sulla sorte dei due nostri militari e lo Stato italiano continua a barcamenarsi confermando la vergogna di aver deciso di rinunciare  alla sovranità nazionale e di aver lasciato in mani ostili due nostri concittadini colpevoli solo di aver scelto di servire il proprio Paese in uniforme.

1000 giorni rotti solo da dichiarazioni di intenti e da nessun risultato, che offendono l’Italia, le sue tradizioni e la sua cultura. Quasi tre anni in cui la sovranità italiana è stata cancellata per proteggere interessi economici di lobby e personali non meglio connotabili.

Una storia senza fine, inaccettabile ed in cui le parole dominanti sono state sempre “riservatezza e profilo basso". 1000 giorni caratterizzati da un’indifferenza totale e quasi generalizzata a livello politico, incomprensibile da parte di chi invece avrebbe dovuto far sentire la propria voce in maniera incisiva. Primo fra tutti il Presidente della Repubblica custode della Costituzione ed al quale la Carta Costituzionale all’articolo 87 assegna l’alto Onore di Capo delle Forze Armate.

1000 giorni in cui si sono succeduti tre Governi che sembra si siano passati “il testimone” su come gestire il caso. Quello del Presidente Monti che  ha deciso di rispedire in India i due Fucilieri di Marina con un Ministro della Difesa attento a non abbandonare una nave ormai alla deriva e prossima all’approdo, pur di non rischiare posizioni di privilegio future.

Il secondo, del Premier Letta molto distaccato dalla vicenda  nella sua azione di Governo e che ha preferito  delegare la Responsabile della Farnesina Emma Bonino, molto brava a promettere ma nello stesso tempo, poco conclusiva negli atti. Piuttosto, molto decisa nelle parole quando affermava “Non è provata ‘innocenza dei due Marò”, dissacrando i principi fondamentali dello Stato di diritto.

Un terzo Governo, l’attuale, con il Presidente del Consiglio pronto a dichiarare agli italiani la sua vicinanza ai due Marò con telefonate ed altre azioni di facciata, ma poco concreto nei risultati.

Un Primo Ministro che in base alle sue consolidate esperienze in tema di politica estera  preferisce ricorrere ad una "Diplomazia Tranquilla" , sinonimo in questo caso di "Diplomazia Dormiente", visti i risultati fino ad ora raggiunti.

Un Esecutivo caratterizzato forse più del precedente da sole dichiarazioni di intenti che a nulla hanno portato e che ha anche disatteso una proposta della Croce Rossa Internazionale di occuparsi della vicenda.

Le Onorevoli  Pinotti e Mogherini, rappresentanti della Difesa e degli Esteri, assolutamente in sintonia nel rivendicare a parole il diritto italiano a giudicare, incisive nel dichiarare di essere pronte ad internazionalizzare il caso, ma pronte il giorno dopo a dichiarare l’intenzione di portare avanti contatti bilaterali basati su approcci di  "secret diplomacy" ereditati forse dalla dottoressa Bonino.

Ora un nuovo Ministro degli Esteri italiano che si affaccia alla ribalta internazionale dichiarando anche lui, appena nominato,  di aver telefonato a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, per poi tacere.

Gli italiani, invece, continuano ad attendere che due concittadini rientrino in Italia liberi ed a testa alta e le Forze Armate aspettano un segnale che garantisca loro la tutela dello Stato quando impiegate in operazioni fuori dal territorio nazionale.

Gli italiani che ancora credono nello Stato sono stanchi e non meritiamo ancora una volta le dichiarazioni di speranza come quelle del Presidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati, Onorevole Cicchitto che recentemente ha auspicato che:  "................. i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone possano contare anche sulla solidarietà europea e della comunità internazionale per una rapida e definitiva risoluzione della loro vicenda" (ANSA 6 nov).

Un’ulteriore dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che parte della politica piuttosto che agire concretamente preferisce affidare l’affidabilità dello Stato alla solidarietà degli altri.

Un'Italia, infine, stanca di essere irrisa all'estero quando il neo Ministro degli Esteri On. Gentiloni afferma, a quasi sei mesi dal’elezione del Presidente MODI, che il mutato quadro politico  in India "produca risultati" sul caso dei due marò. 

Una dichiarazione che non tiene però conto del fatto che dopo sei mesi dall'elezioni di Modi nulla è accaduto rispetto al passato. Piuttosto una continuità con quanto già avvenuto in questi 1000 giorni: il continuo rinvio delle udienze dei tribunali indiani aggravato dalla circostanza che si ritorni a parlare dell’applicazione o meno della  Sua Act.

Il Ministro Gentiloni invece di sperare dovrebbe far leva su quanto stabilito dal diritto internazionale e dalla Convenzione UNCLOS, avviando l'arbitrato tanto promesso dall'Onorevole Mogherini,  ma che forse dimenticato in qualche cassetto della Farnesina.

L'Italia, infatti,  ha tutte le carte in regola per avere  riconosciuti i propri diritti da “un arbitro internazionale” così come previsto dalla Convenzione del mare. Non esistono giustificazioni perchè ancora non sia stata avviata questa procedura, nonostante che due giorni orsono proprio il Presidente Modi  abbia dichiarato  che l’India in tutte le controversie sul Diritto del Mare deve richiamarsi ad UNCLOS.

L'Onorevole Gentiloni, quindi, se vuole confermarci la sua fiducia nella nuova politica di Modi, deve avviare immediatamente gli atti internazionali previsti ed in un certo senso indicati dal Presidente indiano come la strada da seguire.

Non procedere in questa direzione rappresenterebbe una specifica responsabilità della politica italiana che deve essere chiarita e di cui qualcuno dovrà renderne conto.

Vogliamo parlarne ?

Fernando Termentini, 15 novembre 2014 - ore 08,30

 

lunedì 10 novembre 2014

L’ISIS prepara il futuro

L’ISIS, lo Stato Islamico abbreviato in IS e conosciuto anche come Stato Islamico dell'Iraq e della Grande Siria (ossia Stato Islamico dell'Iraq e al-Sham, ISIS,), a differenza di Al Qaeda madre del terrorismo del terzo millennio, diventa ogni giorno una realtà in crescita non solo operativa ma anche politica.

Una compagine che coagula fanatici religiosi che combattono una jihad complessa. Non più solo kamikaze pronti solo ad immolarsi in nome di Allah,  ma anche e soprattutto gente attenta  a programmare strategie  di lunga durata sfruttando al massimo le moderne tecnologie e tecniche di comunicazione.

Metodi che stanno portando a risultati significativi. Lo Stato Islamico attira adepti in tutto il mondo occidentale e riscuote ampi consensi che potrebbero rappresentare un pericolo per la sicurezza internazionale.

Ormai sono centinaia di migliaia i combattenti della jihad arruolati in Occidente e quotidianamente arrivano notizie della morte di jihadisti provenienti dall'Europa. Solo negli ultimi due giorni si dà per certa la morte di almeno quattro occidentali di cui due provenenti dal Belgio e caduti a Kobane.

Un'attenta analisi delle notizie pubblicate quotidianamente  su Internet, in particolare tratte da testate e/o siti vicini al mondo arabo, consente di poter affermare che gli addetti alla comunicazione dell'ISI monitorizzano costantemente ciò che accade in Occidente e gestiscono un capillare flusso di informazioni.

Moderni “pizzini” dai quali traspare una particolare attenzione per qualsiasi evento che in qualche modo può causare instabilità o disordini nel mondo occidentale. Gli attivisti ed anche i semplici simpatizzanti, ad esempio, osservano e parlano con estrema competenza dei risultati del referendum in Scozia ed anche a ciò che avviene in Italia,  terra di possibile approdo e smistamento di cellule eversive mescolate ai flussi di migranti.

Monitorizzano, anche, manifestazioni come quella  degli Anonymous svolta a Londra giorni orsono, invitando i simpatizzanti a partecipare, probabilmente con l’intenzione di infiltrarsi nei movimenti di protesta per  creare disordini.

Il WEB è ormai sommerso da proclami in lingua inglese, diretti agli islamici nati e cresciuti in Occidente. Parole di propaganda in puro stile islamico ma efficaci per fare proseliti  in una cultura come quella araba. Frasi come, “per grazia di Allah, gloria a Lui l'Altissimo, ridisegniamo la mappa del mondo islamico perché diventi un unico stato sotto la bandiera del Khilafa con il permesso di Allah, gloria a Lui l'Altissimo”. Ed ancora “per grazia di Allah, gloria a Lui l'Altissimo, noi  stiamo scrivendo una storia pura per la gente dell'Islam in questo periodo in cui l'oppressione ha regnato e l'ingiustizia e la corruzione si sono diffuse in tutto il mondo, da oriente e da occidente”.

Anche annunci che informano che l’IS si sta allargando e sviluppando nel sub continente indiano con compagini di mujahideen appartenenti a formazioni di Al Qaeda. A costoro uno dei portavoce ufficiali,  tale  Ustadh Usaamah Mahmoud indirizza continuamente l'invito:  "Aggrappatevi tutti insieme alla corda di Allah". 

Una novità importante e nello stesso tempo preoccupante quello che sta avvenendo nel Subcontinente indiano. Nei proclami si fa, infatti, un  preciso riferimento ad “un ritorno dell'Islam nei territori dell’India, definita dalla propaganda dell'ISIS come terra di musulmani fino a quando non  fu occupata dal nemico infedele che l’ha divisa in parti e separata in regioni”. Un’ entità (AQIS) che è frutto di un lavorio durato per più due anni e probabilmente sfuggito all'Intelligence occidentale. 

Ci troviamo, quindi, di fronte non ad “improvvisatori dell’azione eversiva” ma a personaggi in grado di organizzare e gestire una strategia che progressivamente dilaga in varie aree geografiche, portata avanti anche con il supporto di personaggi come tale Choudary, riferimento religioso di tanti altri come un certo Rahaman.

 Attivisti che utilizzano i moderni sistemi di comunicazione ed in particolare Internet per arruolare proseliti e per fornire informazioni utili a coloro che scelgono di partire per la Siria e Iraq per combattere la Jihad. . (http://english.alarabiya.net/en/News/world/2014/11/07/Radical-UK-cleric-announces-wish-to-join-ISIS-.html).

Personaggi sicuramente da non sottovalutare in quanto ferventi sostenitori della sharia (legge Coranica) e propugnatori del radicalismo islamico, in particolare per quanto attiene al ruolo delle donne da loro considerate soggetti inferiori  che devono essere ridotti in schiavitù (http://www.youtube.com/watch?v=FSzaPNw_AjY ).

Per quanto emerge da molte notizie di stampa, si può affermare che attualmente una fra le più pericolose è la centrale di coordinamento, reclutamento e pianificazione operativa  a  Londra (http://www.news.com.au/world/four-men-arrested-for-allegedly-plotting-a-terror-attack-to-kill-queen-elizabeth/story-fndir2ev-1227116658248), mentre altre Nazioni europee  come Austria, Olanda, Germania, Francia e Svezia vengono utilizzate per la “triangolare” risorse economiche necessarie alla causa.

In questo contesto solo un’anomalia appare evidente; lo strano silenzio degli  integralisti residenti in Italia. Un silenzio preoccupante, forse voluto per distogliere l’attenzione da un possibile atto imminente  nel nostro Paese,  in particolare approfittando del crescente malumore sociale delle piazze. 

Navigando sulla rete, infatti, si individuano simpatizzanti dell’ISIS residenti in Italia collegati fra loro con un network articolato e molto attivo. La comunicazione mediatica è, comunque,  in evoluzione. L’IS con  messaggi "paralleli" cerca di ottenere consensi ed ha abbandonato la pubblicazione di immagini cruente, che in qualche modo potevano suscitare reazioni negative anche nei mussulmani occidentali ed evita di pubblicare “messaggi sensibili”. 

Sono stati, invece,  riaperti link da tempo abbandonati  con antichi personaggi residenti nei Balcani, forse anche militanti nella guerra in Bosnia, un fenomeno che dovrebbe essere attentamente monitorato.

Possiamo, quindi, affermare che l’ISIS non è solo ed unicamente una realtà combattente come potevano essere le vecchie Brigate di mujahideen operativi  in Afghanistan negli anni '80 ed a metà anni ’90 in Bosnia Herzegovina. Piuttosto una struttura che fa riferimento a potenzialità culturali da non sottovalutare e che stanno dimostrando di saper programmare ed adeguare in tempo reale la loro politica al mutare della situazione,  affidandosi ad un network comunicativo sempre più strutturato ed impenetrabile. 

Quali possano essere i loro possibili obiettivi per azioni terroristiche nel medio termine non è semplice prevederlo. Qualsiasi opzione è aperta con modalità operative che possono spaziare dalla classica autobomba (VBIED), all’ordigno improvvisato (IED) realizzato anche utilizzando sostante radioattive o chimiche (NC) e/o kamikaze classici che potrebbero arrivare a sostituire la cintura esplosiva con virus per trasformarsi in "bombe biologiche".

Anche i target potrebbero essere di varia natura. Nelle aree del centro Asia e del Medio Oriente dove è più pressante la presenza del Califfato l’attenzione terroristica potrebbe essere orientata prioritariamente a colpire  gasdotti ed oleodotti per mettere in crisi il sistema economico mondiale. Altrove pianificata per colpire significative strutture della civiltà occidentale e del cattolicesimo.

Una minaccia che non è escluso possa portare ad atti concreti nel breve - medio periodo. Ipotesi ancora più realistica se venisse confermata la notizia data ieri : sarebbe stato ucciso o almeno ferito il leader dell'ISIS in seguito ad un bombardamento aereo degli USA.

Fernando Termentini, 10 nov. 2014 - ore 08,45

lunedì 3 novembre 2014

Fucilieri di Marina : la telenovela continua


E' difficile scrivere ancora della vicenda dei due Fucilieri di Marina  dopo 1000 giorni da quando  lo Stato li ha ceduti "a mani ostili" senza pretendere che fossero rispettati i loro diritti. Quasi tre anni trascorsi da quel 22 marzo 2013 quando sono stati consegnati alla Giustizia indiana applicando un’estradizione passiva, nonostante che nei loro confronti non  fossero prodotte prove di accusa.

Ma non può essere sottaciuto il disagio di assistere ancora ad una "telenovela" portata avanti all'infinito senza nemmeno variare il copione, piuttosto ripetendo sempre una trama ormai stucchevole.

Dopo Monti, Ministro degli Esteri per un mese, si sono succeduti ben tre Ministri, la Bonino, la Mogherini e, da ieri,  Gentiloni. Anche due Governi, quello Letta e l'attuale presieduto da Renzi.

In un Paese normale ci si sarebbe aspettati una serie di provvedimenti in successione e secondo una linea di politica estera caratterizzata da un trend in crescita in termini di successi. Invece nulla di tutto ciò, il caso è ancora gestito dall'India e l'unica continuità è quella rappresentata da una serie ininterrotta di parole, solo parole, come se tutti si riferissero ad un'unica nota di linguaggio concordata tre anni orsono  fra Palazzo Chigi ed i due Dicasteri della Difesa e degli Esteri.

Non possiamo, quindi, sottacere gli  atti principali di questo "melodramma" dell'Italia moderna, ricordando le dichiarazioni ufficiali dei responsabili istituzionali. Uno sforzo per cercare di proporre una triste  realtà che dovrebbe far pensare.

Settembre 2013 la Ministro Bonino : "Il Governo Letta ha "ereditato un dossier  di grande complessità" sulla vicenda dei due marò italiani trattenuti in India, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone."Il nostro impegno è portare  a casa i marò" .

Ottobre 2013, ancora la titolare della Farnesina. "Ma noi non abbiamo tanta credibilità da spendere all'estero".  "......Confido e sono speranzosa di riuscire, posso dare la garanzia del nostro impegno massimo".

Poi silenzio assoluto rotto da richiami ad essere riservati e da considerazioni sulla non innocenza provata dei due Marò, molto opinabili per un Ministro di uno Stato di diritto .

 22 febbraio 2014, il giorno dell'insediamento dell'attuale Governo, il Premier Renzi lanciava un  twitter "Ho appena parlato al telefono con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone”. Ed ancora il 25 febbraio alla Camera il Premier ribadiva "Il governo farà di tutto per "risolvere rapidamente la vicenda". Con un unico obiettivo: "riportare in Italia .....i due fucilieri.... ". E poi " ..... "Vanno giudicati in Italia”.

Dichiarazioni rimaste tali in quanto ad oggi i risultati ancora non si vedono ed il romanzo continua.

Il 13 marzo la Ministro della Difesa Onorevole Pinotti da Delhi ci spiegava che "il motivo di questa visita era soprattutto incontrare e parlare direttamente con Massimiliano e Salvatore"  e che  "c'e' una linea univoca del Governo, concordata con il Presidente del Consiglio", anche "se io e il Ministro degli Esteri Mogherini siamo quelli che più da vicino la seguiamo".

Il 16 marzo 2013 sempre la titolare della Difesa in un'intervista a Sky TG24 ammetteva che   "di errori ne sono stati fatti tanti, dalle regole di ingaggio, alla mancanza di una chiara strategia….”."I nostri militari non possono essere giudicati in India, perchè questo metterebbe a repentaglio tutto lo status dei militari italiani che partecipano a missioni. Per questo noi vogliamo internazionalizzare questa vicenda".

 Una posizione condivisa dalla Ministro degli Esteri On. Mogherini che il 25 marzo dichiarava dopo aver incontrato il proprio omologo indiano,  "Abbiamo ribadito la nostra determinazione ad esplorare tutte le azioni politiche e legali per vedere riconosciuti i nostri diritti ad esercitare la giurisdizione sul caso maro'". "La giurisdizione deve essere italiana, non riconosciamo quella indiana. In caso di conflitto la strada è quella dell'internazionalizzazione".

Concetto ribadito dopo 2 giorni, il 18 marzo,  quando la titolare della Farnesina informava le Commissioni Esteri della Camera e del Senato  che  sul caso marò "abbiamo mandato l'ultima nota verbale la settima scorsa" a New Delhi, "il prossimo passaggio può essere l'avvio di un arbitrato internazionale: ne discuteremo con loro e con i loro avvocati".

Precisava inoltre, "Il raccordo dei Ministeri degli Esteri e della Difesa con la Presidenza del Consiglio, strumento essenziale per affrontare in modo più coordinato e più unito di quanto fatto in passato". Aggiungeva "avere una voce unica: la forza del nostro messaggio è nell'univocità del messaggio che facciamo arrivare a Delhi".

Il 24 aprile l'On. Pinotti, infatti, affermava,  "Siamo usciti dall'alveo bilaterale, per innalzare il contenzioso a livello internazionale: siamo ancora aperti a discutere con gli indiani",  ma "non abbiamo altra via che ricorrere all'arbitrato internazionale". Ed ancora, "Non accettiamo un processo indiano di cui non riconosciamo la validità". Parole non seguite da atti concreti.

Il  29 aprile il Premier Renzi in una trasmissione pubblica: "chiedo rispetto per l'Italia, per due persone sotto accusa ma non considerate colpevoli da nessuno". C''e'' un luogo, il tribunale naturale, nel quale devono essere giudicati i Maro''. Non c''e'' altra strada all''internazionalizzazione della vicenda…..la detenzione in India è  inaccettabile".

Il  5 giugno a  Radio Anch'io sempre la Ministro della Difesa ricordava che il governo "ha intrapreso la strada dell'arbitrato che ha tempi tecnici che si stanno concludendo"."Oggi  siamo nell'ultima fase prima del momento vero e proprio in cui parte l'arbitrato, ……… proveremo a trovare  un'intesa con il nuovo governo sul punto che non devono essere giudicati in India, altrimenti siamo pronti a partire con l'arbitrato. Non c'è nessun rallentamento".

Il triller non si esaurisce e le parole rimangono tali. La conclusione è sempre più lontana e si passa alla fase riservata, quella della "secret diplomacy", applicata un anno prima dalla Ministro Bonino ed il romanzo continua quando ieri, 2 novembre,  nel corso di un'intervista informa, "Aperta interlocuzione con governo indiano, speriamo porti ottimi frutti'' . Ed ancora  "Stiamo lavorando con molta attenzione e con riservatezza: il caso marò è una questione di cui non è importante parlare ma su cui è importante lavorare". " Siamo consapevoli che c''è una scadenza, che è quella di gennaio, e non ce ne  dimentichiamo".

Dichiarazioni di auspicio che si aggiungono alle parole del neo Ministro degli Esteri,  On. Gentiloni che dichiara poco dopo l’investitura sulle "prime telefonate" che ha fatto "sono state a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone", perche' il "dossier" è prioritario anche per il neo titolare della Farnesina resta il destino dei due Maro". Frasi già pronunciate il 22 febbraio scorso dal Premier Renzi ed ancora prima all'insediamento del Governo Letta.

Il Ministro è al MAE da soli 2 giorni, non si può pretendere che abbia la bacchetta magica e risolva immediatamente un problema che si trascina da 1000 giorni. Annunciarsi però allo stesso modo di due suoi predecessori lascia perplessi ed induce a pensare che forse la "telenovela" continuerà  ancora per molto.

Ci si augura solo che l’On. Gentiloni non dimentichi l’importanza degli atti della Diplomazia attraverso i quali  uno Stato afferma la sua valenza in ambito internazionale e ricordi che negli ultimi 20 anni uno dei punti di forza dell'Italia è rappresentato dalla fiducia che si è guadagnata nelle missioni militari internazionali di Peace Keeping.

Non difendere, quindi,  i diritti dei propri militari impiegati in missioni internazionali - ed i Marò lo erano nel quadro del contrasto alla pirateria svolto sotto egida ONU - rappresenterebbe una sconfitta della Diplomazia italiana che non può arrendersi e rinunciare a  quanto a fatica è stato guadagnato in termini di visibilità e sacrificando decine di vite umane.

Ministro,  non si limiti, quindi, a telefonare dimostrando solo l’umana vicinanza ai nostri militari, ma abbandoni la strategia delle parole e metta fine a questa telenovela infinita.

Fernando Termentini, 3 nov. 2014 - ore 08,30

Fonti : Agenzie stampa ANSA, AGI, ADNKRONOS, TMNnews