Effettivamente, il “The Indipendent” a
luglio annunciava che l’Ambasciatore Mohamed Ali Alhakim presso le Nazioni
Unite aveva informato che gli jihadisti avevano trafugato materiali nucleari
utilizzati per la ricerca scientifica presso una università nel nord dell’Iraq.
In particolare si parlava di quasi 40 chilogrammi (88 libbre ) di derivati di
uranio che erano conservati giustappunto a Mosul.
Da anni si parla di possibili “IED
sporchi” ma fino ad ora non si aveva la
certezza che i gruppi eversivi potessero disporre di sostanze non convenzionali
per incrementare gli effetti convenzionali degli ordigni. La notizia, invece, del materiale radioattivo
trafugato a Mosul rende concreta la possibilità che nel mondo esistono
possibili fonti di approvvigionamento di agenti NBC (Nucleari, Biologici e
Chimici) facilmente accessibili dalle le forze jihadiste. Agenti biologici come
l’antrace o il botulino prodotto nei segreti laboratori di Saddam Hussein. Sostanze
radioattive provenienti dagli arsenali nucleari della disciolta Unione
Sovietica od anche scorie radiologiche
per uso sanitario accantonate negli scantinati di ospedali distrutti in Iraq,
in Siria ed anche in Bosnia Herzegovina. Aggressivi chimici contrabbandati
verso l’Occidente passando da Paesi del Terzo Mondo, fra quelli che
notoriamente rappresentano l’approdo finale dei rifiuti tossici provenienti
dalle nazioni industrializzate o dai vecchi arsenali militari ormai in disuso.
Un "bomba sporca", infatti, non è altro che un ordigno realizzato con
esplosivo convenzionale circondato da uno strato più o meno consistente di
scorie radioattive anche recuperate da vecchie macchine a raggi X per uso
medico o con l’aggiunta di sostanze chimiche letali anche di uso civile.
Materiale sicuramente non in grado di innescare
un'esplosione nucleare od una rilevante nube tossica chimica, ma capace di far
propagare un fall-out contaminando vaste aree. Un IED che avrebbe effetti devastanti se fatto
detonare in una grande città.
Attacchi poco probabili in tempi passati per le difficoltà
logistiche di reperimento dei materiali necessari. Più verosimili, ora, nel momento che le forze dell’ISIS possono disporre di siti di
approvvigionamento di materiali non convenzionali e possono fare riferimento sulla
disponibilità di simpatizzanti “occidentali” che potrebbero possedere
adeguate professionalità specifiche.
Condizioni che aumentano esponenzialmente il rischio che quello che un tempo
era considerato poco probabile e che, oggi, invece, è qualcosa di fattibile.
Peraltro, per ottenere
effetti devastanti non occorrono grosse quantità di materiale. Qualche litro di
aggressivo chimico o qualche chilogrammo di sostanze radioattive sono
sufficienti ad aumentare in maniera esponenziale la potenzialità di un IED.
Alla
minaccia di IED “sporcati” con materiale
radioattivo o chimico si potrebbe ripresentare sullo scenario mondiale anche la
minaccia batteriologica. Qualcosa che ha origini lontane nel tempo, quando a
metà del diciottesimo secolo coperte infettate con il vaiolo furono distribuite
ai pellirosse e gli inglesi, in Nuova Zelanda, resero disponibili per i Maori
gruppi di prostitute infettate dalla sifilide. Oppure, quando in Cambogia e nella Corea del Nord fu fatto
ricorso alla "pioggia gialla" ottenuta con una micotossina ricavata
dal fungo Fusarium. Oggi, potremmo avere kamikaze infettati da malattie virali
ad elevata propagazione, tipo Ebola e vaiolo.
L'allarme
rilanciato in questi giorni dovrebbe, quindi, rappresentare materia di attento
monitoraggio a livello istituzionale in quanto non più argomento immaginario ma
eventualità possibile. Potrebbe, infatti, essere già iniziata la fase di un terrorismo
non violento, ma subdolo, difficile da fronteggiare se non si è preparati a
farlo.
Innanzi
tutto, sarebbe auspicabile la gestione di un’informazione ufficiale a favore
dell’obiettivo primario di ogni attacco terroristico, la popolazione civile, proponendo,
se del caso, modelli di difesa mutuati in chiave moderna da quanto attuò Israele
durante la guerra del Golfo quando era minacciata dagli attacchi non
convenzionali di Saddam Hussein.
Non
diffondendo panico, ma gestendo il problema giorno dopo giorno con la massima
trasparenza, affidandosi a campagne di
comunicazione costruttive mirate a divulgare le procedure di difesa e a far accettare
dalla gente eventuali misure restrittive anche
della libertà personale, che potrebbero essere messe in atto a garanzia
della sicurezza collettiva.
Iniziative
coordinate a livello istituzionale, che concorrerebbero sicuramente ad abbattere
il successo della campagna mediatica con la quale il Califfato propone la minaccia
terroristica non convenzionale e nello stesso tempo aiuterebbero
a sensibilizzare la popolazione in modo che, all’occorrenza, sia in grado di fronteggiare il pericolo.
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