Un'analisi attenta ed
approfondita sviluppata dal dott. Alessandro Vivaldi (www.cronachegeoculturali.eu),
che attraverso valutazioni incrociate sulla situazione geopolitica dell'area
mediterranea e globale, ha affrontato il
problema su chi manderemo in Libia con lo scopo di stabilizzare una Nazione
ormai alla deriva.
Un'interrogativo che
ancora una volta nella storia ha una sola e ripetitiva conclusione : saranno i
nostri militari, cittadini che hanno scelto di indossare la divisa per
garantire la sicurezza nazionale e concorrere a quella globale e non per
"soldi" come molti "italioti" sono usi ripetere nelle più
svariate occasioni.
Vivaldi scrive "non
possiamo esimerci dal mandare i nostri ragazzi in Libia: è
un nostro dovere, è una nostra chance, è una nostra storica vocazione
geopolitica" . Ma se proprio dobbiamo farlo, facciamolo con la cultura
giusta. Non vedremo Scud dello Stato Islamico su Lampedusa. Questo però
non toglie che il nemico è alle porte, e il tempo delle
missioni di pace è finito. Ora si tratta di fare la guerra, quella
vera, quella in cui chi conosciamo va a morire. Se dobbiamo mandare i nostri
ragazzi laggiù, allora dobbiamo cambiare la nostra cultura ed
inviarli li con il giusto supporto: con il supporto degli italiani, con l’amore
delle proprie famiglie e non ultimo con le giuste regole d’ingaggio".
Oggi, il dott Vivaldi
completa il proprio pensiero affrontando
quello che da sempre ha rappresentato il "nodo gordiano", quando si è chiamati ad operare in un
altro Paese ed in contesti sociali assolutamente differenti dai nostri. Un
problema di intricatissima soluzione, che potrebbe essere risolto alla maniera di Alessandro
Magno a cui si richiama l'espressione,
con un brutale taglio.
Soluzione
drastica che la cultura moderna non può accettare
come unica e risolutiva ma che deve accettare in particolari momenti quando la
situazione lo impone. In Libia forse è giunto il
momento e l'evidenza non può essere
ignorata restituendo all'Italia il fondamentale ruolo geopolitico che ha sempre
avuto nel Mediterraneo. Una realtà difficile
che non può essere affrontata con
l'intendimento di esportare democrazia o, peggio, rendendo preminenti gli
interessi economici sopra ogni cosa. Piuttosto, impegnando la tradizionale capacità
che l'Italia ha sempre avuto "di stabilizzare un’area
socio politicamente parlando, arginando de facto quella che si
preannuncia la peggior catastrofe umanitaria sui confini europei dalle guerre
balcaniche in poi", come sapientemente evidenzia il dott. Alessandro
Vivaldi.
Fernando Termentini, 26
febbraio 2015 - ore 11,30
Andiamo in Libia. Con quale cultura?
L’intervento
in Libia è oramai una certezza, si tratta solo di deciderne i
tempi: la soluzione diplomatica non ci esenterà dal mandare in futuro
addestratori, truppe sul terreno e quant’altro Lo hanno capito
Gentiloni, Pinotti e perfino Renzi, checché ne dica. Lo hanno capito
tardi, tuttavia. Chi davvero ha qualche idea di geopolitica, in Italia, lo ha
capito sin dal 2011, quando ha ritenuto fin troppo avventato l’intervento
franco americano, e lo ha ribadito negli ultimi mesi. Tra questi, sicuramente,
anche gli analisti dei nostri Servizi, sempre troppo poco ascoltati. Non lo ha
capito una classe politica che tratta tanto la politica estera quanto le Forze
Armate come meri terreni di conquista elettorale, dimostrando una incompetenza
bipartisan in entrambi i campi, che spiega bene l’assenza italiana al summit di
Minsk.
Chi ha un minimo di
competenza geopolitica sa che la Libia è una questione da Mare
Nostrum, dove tale locuzione latina non è da associarsi all’operazione
per la salvaguardia degli immigrati, ma al suo originario significato in cui
Roma, oggi l’Italia, assurge a potenza geopolitica dell’area
mediterranea. Duplice è la vocazione geopolitica nostrana e duplice è
la situazione di difficoltà in cui ci troviamo: da una
parte, i nostri storici legami con Mosca e i suoi alleati balcanici (Serbia in
primis, ma anche Albania prima e dopo la storica rottura di epoca sovietica),
ora inficiati economicamente dalle sanzioni che gli statunitensi ci hanno
imposto nei confronti di Putin. Dall’altra, i nostri legami –
anch’essi
storici –
con i partner mediterranei, che da sempre includono zone come la Siria, il
Libano, l’Egitto, la Libia, la Tunisia. Tutti paesi in cui la
pesante mano statunitense è arrivata in maniera distruttiva,
inficiando le possibilità geopolitiche del nostro paese, anche e soprattutto
come hub energetico europeo. Russia e Libia sono ad oggi tra i maggiori (se non
I maggiori) fornitori energetici nostrani, e sono fornitori che rischiamo di
perdere. Questo è bene spiegarlo agli italiani, che ancora soffrono
troppo di soft power hollywoodiano e che pensano ad Obama e ai
diritti umani come unico valore importante. Le sanzioni alla Russia e l’anarchia
in Libia ci danneggiano economicamente: questo agli italiani deve essere
chiaro. Come deve essere chiaro che la politica italiana nell’area
mediterranea è un perno fondamentale per far girare la ripresa
economica: significa sviluppare nuovi mercati, nuovi scambi, nuove possibilità
per le nostre imprese (grandi, medie e piccole).
Come tutte le crisi,
quella libica rappresenta per l’Italia anche una chance.
Innanzi tutto, la chance di dimostrarsi una nazione responsabile che aiuta gli
altri paesi, con i quali ha un legame storico. È dovere dell’Italia
far sì
che nella sua area di influenza si creino le condizioni per la crescita degli
stati partner, crescita che sia compatibile con la cultura autoctona (concetto
questo che era ampiamente chiaro al lungimirante Enrico Mattei e che non sarà
mai chiaro agli americani). È una chance italiana ed
europea per dimostrare per la prima volta sul campo la capacità
di controllo dei confini e stabilizzazione delle aree attigue, attività
che denoterebbe finalmente la capacità della UE di agire come reale
soggetto politico, oltre che meramente economico. Ed è una chance
italiana per dimostrare che non è solo l’economia a
rendere uno stato globalmente importante, ma anche e soprattutto la sua capacità
di stabilizzare un’area socio politicamente parlando, arginando de
facto quella che si preannuncia la peggior catastrofe umanitaria sui
confini europei dalle guerre balcaniche in poi.
Queste sono le idee con
cui dobbiamo preparare politicamente un intervento in Libia. Un intervento che
però
sul terreno verrà fatto dai nostri ragazzi in divisa, questo è
e rimane un dato di fatto.
Alessandro Vivaldi
Postato da Fernando
Termentini, il 26 febbraio 2015. L'articolo del dott. Vivaldi è
stato pubblicato ieri su "Difesaonline" (http://www.difesaonline.it/index.php/it/28-notizie/lettere-al-direttore/2652-andiamo-in-libia-con-quale-cultura)
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