domenica 31 gennaio 2010

Karzai proibisce il nitrato di ammonio.



Karzai proibisce il nitrato di ammonio.
Un provvedimento decisivo per sconfiggere il terrorismo ?

Il 22 gennaio 2010, il Presidente dell’Afghanistan Hamid Karzai con un decreto legge ha proibito la produzione, la vendita e l’utilizzazione del nitrato di ammonio, fertilizzante di uso comune ma anche importante sostanza chimica per fabbricare esplosivi artigianali. Una decisione dettata dall’esigenza di contrastare la realizzazione di “Improvised Explosive Device - IED” utilizzati sempre più frequentemente per gli attentati terroristici anche con
attivazione a distanza usando sistemi radiocomandati (RCIED).
Una minaccia ormai ricorrente in Afghanistan che coinvolge sia le forze militari della coalizione internazionale della NATO sia la popolazione civile, con un numero sempre crescente di vittime. Nel solo 2009 il 62% delle perdite tra gli effettivi di ISAF e della Coalizione internazionale è stato provocato proprio da attacchi terroristici (fonte www. iCasualties.org), percentuale peraltro ormai attestata su questi valori fin dal 2008. Un pericolo sottolineato anche dal Maggior Generale Michael Flynn, responsabile per l’intelligence di ISAF e delle Forze statunitensi in Afghanistan in occasione di un recente briefing dal titolo “State of Insurgency. Trends, Iintentions and Objectives”. Il Generale ha rappresentato come gli IED/RCIED siano l’arma preferita degli insorti che con i loro attacchi terroristici alla fine di dicembre 2009 hanno provocato circa 6.037 fra morti e feriti. Lo stesso ufficiale ha ricordato che la maggior parte degli IED utilizzati sono artigianali (“homemade”), confezionati anche con nitrato di ammonio mescolato a gasolio, polvere di alluminio e altre sostanze facilmente reperibili sul territorio. Una dichiarazione che induce a riflettere perché non è immediatamente comprensibile il motivo del ricorso ad esplosivi artigianali in un paese come l’Afghanistan dove la disponibilità di materiale esplodente, anche ad elevato potenziale, non ha mai rappresentato un problema. Esplosivo molto più efficace per la preparazione di IED rispetto a quello ottenuto artigianalmente, contenuto nelle mine, negli ordigni bellici non esplosi abbandonati sul terreno (Explosive Remants of the War - ERW) o ancora conservati in ottimo stato nei depositi clandestini utilizzati dai Talebani per gli attacchi contro le forze NATO, ormai realtà di ogni giorno. Nel Paese, inoltre, sono notevolmente incrementate le azioni terroristiche contro i convogli militari NATO con l’impiego di IED sofisticati, gli “explosively formed penetrator (EFP)” in grado di perforare le più moderne corazzature dei veicoli militari della Coalizione occidentale. Dispositivi caratterizzati da una sofisticata tecnologia detonica come descritto nella ricerca CeMISS 2010 “La minaccia degli Improvised Explosive Device (I.E.D.): disamina e possibili vie di contrasto”. (http://www.difesa.it/SMD/CASD/Istituti+militari/CeMISS/Pubblicazioni/ricerche.htm).
Cariche esplosive sicuramente non artigianali e, comunque, non realizzate utilizzando miscele chimiche a bassa potenzialità come potrebbe essere l’esplosivo ottenuto mescolando nitrato di ammonio, carburanti e polvere di alluminio. Le affermazioni dal Generale Flynn inducono, quindi, a formulare nuove ipotesi sulla minaccia terroristica in Afghanistan che sta trasformandosi evolvendo in forme più complesse. Al pericolo classico rappresentato dalle azioni terroristiche di Al Qaeda effettuate con IED di nuova generazione, probabilmente forniti da Paesi vicini all’organizzazione, si somma un’altra minaccia, quella di attentati eseguiti da organizzazioni insurrezionali legate ai Signori della Guerra ed ai trafficanti di droga che con ogni probabilità ricorrono alla expertise militare di mujaheddin, in passato protagonisti della resistenza afgana contro l’invasore sovietico proprio utilizzando IED artigianali. (Insurrezionalismo e terrorismo il problema del banditismo in Afghanistan, CeMISS 2006,
www.difesa.it/SMD/CASD/Istituti+militari/CeMISS/Pubblicazioni/dettaglio-ricerche.htm?DetailID=7270) . Il provvedimento di Karzai non può essere, quindi, considerato fondamentale per l’eliminazione della minaccia specifica e potrebbe essere stato determinato proprio dall’esigenza di contrastare altre forme di terrorismo emergente voluto da coloro che - da sempre protagonisti della realtà afgana insieme ai loro compagni delle Aree Tribali pakistane - vedono minacciate le loro attività illegali dalla manifestata volontà politica afgana di ripristinare la legalità. Il provvedimento presidenziale, però, dovrebbe essere integrato con urgenza da un’attività di un’intelligence coordinata e più attenta a quanto accade nei territori controllati dai “Signori della Guerra” e dai coltivatori del papavero da oppio, accompagnata da una normativa nazionale che garantisca la gestione controllata del “capitale esplosivistico” disponibile in Afghanistan. In particolare di tutto ciò che potrebbe essere utilizzato come innesco delle cariche esplosive, elemento essenziale perché qualsiasi IED possa funzionare con la massima efficacia, in particolare se realizzato con esplosivi artigianali fabbricati utilizzando sostanze normalmente destinate a scopi civili.

giovedì 21 gennaio 2010

I Nuovi Talebani

I nuovi Talebani.

Il 18 gennaio 2010 a Kabul si è combattuto per qualche ora per contrastare ed annientare un’azione terroristica dei Talebani realizzata in stretto coordinamento nel quadro di un vero e proprio atto tattico. Una dimostrazione di forza sviluppata in concomitanza del giuramento del nuovo Governo di Karzai che ha confermato come sia lontano il momento in cui si possa ritenere debellata la minaccia dei Talebani. Gli “studenti islamici”, invece, si stanno probabilmente riorganizzando in compagini operative ordinate, abbandonando i vecchi modelli rappresentati da nuclei di combattenti nascosti nei villaggi a ridosso del confini con l’Iran ed il Pakistan, bravi nelle azioni di imboscata ma molto meno preparati ad affrontare e sviluppare atti bellici coordinati. I 50.000 uomini dell’ex esercito talebano, scomparsi nel nulla alla fine della guerra del 2001, sono stati chiamati a raccolta e stanno confluendo in queste nuove strutture operative gestiti quasi certamente da vertici nuovi, più giovani e meno arroccati a vecchie concezioni della guerriglia basata sull’agguato, tipiche del periodo della resistenza contro i sovietici. Gli eventi di questi giorni confermano questa trasformazione in atto e quello che è avvenuto a Kabul rappresenta un vero e proprio segnale che potrebbe essere letto come una prova generale di possibili future azioni globali sviluppate su larga scala anche fuori dell’Afghanistan. Molte le indicazioni anche non recenti che ci spingono a pensare ad una evoluzione dell’atto terroristico che sta avvenendo da tempo, destinato a trasformarsi da evento isolato in una componente essenziale di un’azione tattica coordinata. Il 28 novembre del 2008 l’attentato a Mumbai in India. L’Esercito pakistano che da più di un anno tenta di riappropriarsi del controllo di molte Aree Tribali ai confini con l’Afghanistan dopo che nel 2006 il Presidente Pervez Musharraf aveva sospeso qualsiasi azione militare in cambio della promessa dei Signori della Guerra di non agevolare Al Qaeda. Tentativo quello di Musharraf attuato in momento in cui era necessario frenare la strisciante affermazione del fondamentalismo in Pakistan e per avviare un negoziato con il Mullah Omar e con la nomenclatura di Al Qaeda. I movimenti di piazza in Iran contro il regime del Presidente Mahmud Ahmadinejadin, il Presidente di un Paese dove vivono più di un milione di afgani, immigrati irregolari, potenziale “forza lavoro” da utilizzare come “testa di ponte” nelle manifestazioni contro il neo eletto Capo dello Stato. Un Ahmadinejad peraltro impegnato a gestire anche i problemi in Sistan Baluchestan, provincia difficile, al confine con Pakistan e Afghanistan, da sempre teatro di scontri fra le forze di sicurezza, i ribelli sunniti ed i trafficanti di droga. Regione teatro di un recente attentato quando nell’ottobre dello scorso anno i terroristi hanno colpito il vertice della importantissima struttura iraniana dei Pasdaran, provocando 42 morti e una trentina di feriti, con un’azione coordinata che sicuramente ha coinvolto contemporaneamente afgani, pakistani e fiancheggiatori iraniani, riuniti sotto la bandiera comune di Al Qaeda. Non in ultimo anche lo strisciante fallimento delle promesse fatte all’Afghanistan a partire dal 2002 che riafferma una situazione molto vicina a quanto avvenuto negli anni ’90 quando l’Occidente, abbandonando i mujaheddin che avevano cacciato l’invasore sovietico, agevolò di fatto la conquista del potere da parte dei Talebani. Molti indicatori ci dicono, infatti, che tutti i miglioramenti ottenuti in 6 anni in Afghanistan sono a rischio. La lotta contro il traffico di droga, le riforme economiche e la sicurezza nazionale testimoniano giorno dopo giorno una decadenza strisciante che destabilizza Karzai, peraltro appena rieletto vincitore dopo un confronto elettorale caratterizzato da qualche ombra.
Gli attacchi combinati a Kabul del 18 gennaio presentano, quindi, una nuova realtà. Una trasformata struttura talebana che ha superato le divisioni etniche e tribali coagulando la cultura militare e terroristica di forze reazionarie pakistane, iraniane e forse anche di ribelli yemeniti. Un organismo che ha le sue basi proprio nel vicino Pakistan e che, a differenza di quanto avvenuto negli anni ’90, non si è stabilizzato solo nelle Aree Tribali dove i Pasthum hanno un ruolo di primaria importanza, ma è andato ben oltre il Waziristan pakistano. Il potere dei Mullah, infatti, cresce giorno dopo giorno, da Peshawar, sede di una delle più importanti Università islamiche fino a Karachi e, contemporaneamente, nella pittoresca Swat Valley, confermando, giorno dopo giorno, la vicinanza ideologica al vicino Iran.
Gli episodi di Kabul non rappresentano un evento circoscritto, ma forse sono una specie di prova generale che non può essere sottovalutata a discapito della sicurezza globale. Ci si chiede : cosa accadrebbe se improvvisamente e nello stesso momento si verificassero contemporaneamente simili episodi a Peshawar, a Kabul, ad Islamabad ed a Teheran, addirittura accompagnati da un attacco terroristico attuato nel cuore di una delle capitali del mondo occidentale, perfino realizzato con un IED (Improvised Explosive Device) non convenzionale ?

lunedì 18 gennaio 2010

La guerra assimetrica e le azioni di terrorismo

LA GUERRA ASIMMETRICA E LE AZIONI DI TERRORISMO

Mentre si scrivono queste modeste considerazioni oggi 18 gennaio 2010 a Kabul si sta sparando e non si conosce esattamente cosa stia avvenendo. Sembra comunque che dalle 08.10 (ora italiana) sia partita un’azione di guerra asimmetrica, come anche espressamente dichiarato dall’Ambasciatore Segui, rappresentante UE in Afghanistan. Una ‘guerra asimmetrica’ che si sta ripetendo da tempo la cui efficacia forse è stata troppo spesso sottovalutata dagli analisti e dagli strateghi militari. Una realtà dove la potenza militare delle Forze NATO dell’ ISAF non riesce ad ottenere il successo pur essendo assolutamente superiore a quella dei talebani.
Un approccio di valutazione molto semplicistico che ha portato nel tempo a sviluppare analisi limitate alla contingenza del momento piuttosto che a valutare su un piano globale i fatti e tenendo in massima considerazione quanto la storia dell’Afghanistan riporta nel tempo. Un Paese dove ogni qual volta c’è stata una contrapposizione militare, prima o poi la debolezza è diventata forza e viceversa.
In un conflitto asimmetrico il nemico raramente offre bersagli che possano essere distrutti da un avversario anche se dispone di sofisticate armi di precisione, con il risultato che molto spesso durante il vivo dello scontro la tecnologia moderna non raggiunge lo scopo sperato, piuttosto provoca ‘danni collaterali’. E da quanto si legge dalle Agenzie o si ricava attraverso i notiziari radio - televisivi è ciò che sta avvenendo oggi a Kabul. Una realtà che dimostra ancora una volta che troppo è stata sottovalutata “l’inventiva militare” delle forze talebane. Costoro stanno, infatti, dimostrando che oltre a saper sfruttare le situazioni contingenti sono in grado di coordinarsi sul territorio gestendo azioni terroristiche accompagnate da veri e propri atti tattici e dando prova di saper aggirare anche l’intelligence avversaria, sicuramente molto evoluta ma altrettanto poco efficace a permeare le strutture tribali.
Il terrorismo, si racconta, è l’arma dei deboli ma l’Afghanistan come l’Iraq stanno confutando questo approccio approssimativo, dimostrando piuttosto che l’atto terroristico è l’espressione di una strategia pianificata a tavolino in grado di opporsi alle più sofisticate tecnologie militari e di intelligence. Una serie di azioni in grado di mettere in crisi l’Occidente, finora incapace di elaborare risposte efficaci e strategie deterrenti e che non dimostra di essere in grado di affrontare gli eventi che sono espressione di una guerra asimmetrica. Un errore di valutazione considerando quanto la storia ci tramanda da millenni. Publio Quintilio Varo comandante delle Legioni romane fu sconfitto nel 7 secolo d.C a Teutoburgo in Germania da un manipolo di guerriglieri locali. Moltissimo tempo è trascorso da allora, moltissimi altri episodi storici molti dei quali concentrati alla fine del secolo scorso, hanno confermato le valenze positive della guerra asimmetrica a favore di chi sul campo ha minore potenzialità. Una realtà che, però, non ha indotto analisi approfondite del problema anche e soprattutto attraverso l’attenta lettura delle “Lesson Learned” su quanto avvenuto nel tempo e che confermano come spesso il meno potente può sconfiggere sul piano militare il potente.
La Cecenia dove bande di miliziani male armati hanno battuto di fatto l’esercito russo. L’Afghanistan dei Mujaheddin che cacciò l’Armata Rossa. Il Libano, dove la guerriglia dei Hezbollah ha costretto Israele a ritirarsi senza contropartita. La Somalia, dove bande di combattenti hanno di fatto sconfitto l’America ed i suoi alleati. Tutte aree geografiche dove, come nei, territori palestinesi la guerriglia urbana ed terrorismo contro obbiettivi civili hanno vinto in moltissimi casi la superiorità economica, tecnologica e militare dell’avversario.
E’ necessario, quindi, essere preparati a fronteggiare queste nuove realtà che i fatti di Kabul del 18 gennaio 2010 stanno dimostrando essere in continua evoluzione, partendo dal presupposto che quasi mai, a meno di “terroristi della domenica”, l’atto terroristico è un’azione di un disperato estremista. E’, invece, un’arma a basso costo e a bassa tecnologia scelta da chi ha la consapevolezza che sarebbe sconfitto se scegliesse di combattere una guerra convenzionale contro un nemico tecnologicamente evoluto sul piano militare. Il kamikaze non deve, quindi, essere considerato semplicemente come il terrorista suicida, piuttosto deve essere ritenuto come un’arma tattica, un aereo senza pilota che porta il sistema (lo IED - Improvised Explosive Device) sull’obiettivo.
Per questi motivi il terrorismo diventa l’arma principe della guerra asimmetrica a partire dagli inizi del ventunesimo secolo ed è ciò che sta avvenendo dal 2002 in Afghnaistan e che oggi sta evolvendo in una forma di “terrorismo articolato” rappresentato da attentati suicidi, accompagnati da vere e proprie azioni di scontro armato. Combattendo nelle banche, sulla pubblica strada, negli alberghi e negli uffici i Talebani coinvolgono e colpiscono la popolazione civile, dando poco spazio all’avversario che in terreno aperto sarebbe invece vincitore assoluto disponendo di “armi intelligenti” e discriminanti. Una tattica che, peraltro, incrementa la probabilità del verificarsi di danni collaterali, dividendo, quindi, l’opinione pubblica mondiale ed insinuando il dubbio che invece di combattere il terrorismo e sconfiggerlo sul terreno, sia necessario soddisfare le richieste politiche di Al Qaeda. Più si cerca il combattimento fra la gente ed in luoghi dove è massiccia la presenza della popolazione civile, più aumenta il rischio incalcolabile del coinvolgimento di civili innocenti, che l’opinione pubblica moderna non può nè giustificare nè tollerare.

venerdì 15 gennaio 2010

I terroristi della domenica

I TERRORISTI DELLA DOMENICA E LIMITI DEI POSSIBILI DISPOSITIVI DESTINATI AD INTERCETTARE UN TERRORISTA ?

Abdulmutallab Omar Farouk, giovane nigeriano musulmano di 23 anni, figlio di un ricco banchiere e brillante studente, si è manifestato come il “terrorista della domenica” pur essendo riuscito ad aggirare i controlli di sicurezza forse non per sua bravura ma per motivi casuali e contingenti. E’ riuscito però a riattivare la giusta attenzione sui problemi dell’efficacia dei controlli di sicurezza in particolare per quanto attiene al possibile utilizzo di macchine sofisticate per l’individuazione di IED (Improvised Explosive Device). L’omessa individuazione del possibile terrorista si ritiene che non sia da imputarsi però solo alla carenza di dispositivi di controllo ma anche ad una serie di fattori che forse andrebbero valutati per arrivare a soluzioni affidabili piuttosto che adottare soluzioni affrettate e forse anche fuorvianti.
Ad Amsterdam non è stato individuato l’esplosivo contenuto nelle mutande del giovane nigeriano e sarebbe risultato comunque impossibile a meno di non procedere ad un’accurata perquisizione personale in quanto anche gli stessi sniffatori elettronici di esplosivi avrebbero potuto fallire il bersaglio coperto dall’odore dell’urea. Anche ammesso poi che la perquisizione corporale fosse stata possibile, quali ricadute di immagine ed oggettive avrebbe avuto sui responsabili dei controlli di sicurezza, qualora avesse dato esito negativo?
Naturalmente in materia di sicurezza non si può né si deve essere permissivi, ma nello stesso tempo è auspicabile che siano individuate ed adottate procedure che evitino l’ossessiva ripetizione di atti automatici che non aiutano a svelare la minaccia ma che di fatto potrebbero concorrere ad abbassare l’affidabilità dei controlli.
Forse una macchina in grado di “vedere sotto i vestiti” tipo il body scanner avrebbe permesso di individuare il contenuto estraneo all’indumento intimo, ma con quale risultato se il personale addetto al controllo non fosse stato in grado di assicurare un’immediata ed adeguata lettura dell’immagine coniugandola con quanto altro in possesso del soggetto intercettato. Cosa avverrebbe, ad esempio, se la macchina controllasse un poveretto certificato come portatore di handicap per incontinenza urinaria e l’addetto alla sicurezza sarebbe in grado di acquisire solo la certezza che costui indossa un indumento protettivo per lo specifico problema fisico. Quasi sicuramente ci si limiterebbe a memorizzare l’immagine a meno di non dar seguito ad ulteriori accertamenti specifici sulla effettiva esistenza dell’invalidità.
Altro invece sarebbe se qualsiasi macchinario moderno fosse affiancato dalla professionalità dell’uomo preparato a saper riconoscere i possibili IED attraverso un controllo incrociato della persona e delle cose da essa possedute per individuare con rapidità e buona certezza gli elementi necessari perché l’ordigno esplosivo possa funzionare. Una formazione che oggi è possibile sviluppare ed esaltare anche ricorrendo a simulazioni informatiche e sottoponendo ad un continuo “refreshing” formativo ed a test di autovalutazione tutto il personale addetto ai controlli di sicurezza per l’ingresso ad aree sensibili.
Non in ultimo, poi, alla stessa stregua di quanto avvenuto per le limitazioni della quantità di sostanze liquide da portare a bordo degli aerei nel bagaglio a mano a bordo, proibire di avere al seguito batterie di corrente di una certa capacità collegate ai dispositivi da alimentare e prevedere l’obbligo di inserire nel bagaglio di stiva quelle che forniscano energia elettrica superiore a determinati amperaggi.
Soluzioni che sicuramente non risolvono il problema ma che aiutano a contenere la minaccia eliminando forse definitivamente la possibilità di azioni improvvisate dai “terroristici della domenica”.

martedì 12 gennaio 2010

L'Italia è indenne dal rischio terrorismo ?


Le realtà di Rosarno ed il pericolo terroristico in Italia

Essere ancora convinti che l’Italia è ancora indenne da un pericolo terroristico come poteva essere nel periodo storico contraddistinto dalle intese gestite da iniziative riconducibili alla politica estera di politici come Andreotti o Moro potrebbe essere estremamente pericoloso. Altrettanto rischioso è valutare come eventi di scarsa importanza episodi come quelli del fallito attentato alla Caserma S. Barbara di Milano o del recente arresto di un gruppo di algerini a rischio di terrorismo. Azzardate anche le scelte di concentrare l’impegno di intelligence sulle moschee o sui poli di aggregazione islamica presenti in Italia come se fossero gli unici volani di possibile azioni terroristiche, dimenticando aggregazioni come quella “scoperta improvvisamente” a Rosarno, in Calabria solo perché abitate da africani o non da popolazioni provenienti dal Medio Oriente, uniche ormai a rappresentare per l’immaginario collettivo un rischio eversivo. Realtà che, invece, possono nascondere vere e proprie basi terroristiche, rappresentare fonti di reclutamento di personale e basi logistiche di supporto, anche per il grado di indigenza generalizzata che spesso contraddistingue la popolazione di simili insediamenti. E’ pericolosissimo, infatti, identificare il possibile terrorista solo in chi proviene dal Medio Oriente o dall’Africa settentrionale dimenticando che per anni Al Qaeda è stata ospitata e lo è tuttora, proprio in Africa e che il fondamentalismo islamico ha origini lontane, in Sudan, in Somalia ed in molte regioni dell’Africa sahariana.
Rosarno, invece, dovrebbe rappresentare un’occasione di verifica per capire quanto in Italia organizzazioni malavitose come la 'ndrangheta e la mafia possano essere fiancheggiatrici di possibili organizzazioni terroristiche alle quali potrebbero offrire copertura e supporto logistico in cambio di favori nei settori del commercio della droga, del traffico di armi e di quello possibile di esseri umani. L’anello debole di qualsiasi struttura terroristica “dormiente” ma pronta ad operare non è, infatti, l’esigenza di disporre dell’esplosivo o delle armi per compiere un determinato attentato, piuttosto quella di un sostegno logistico, di disponibilità economiche e di documenti contraffatti e di copertura affidabile, che solo realtà locali malavitose radicate sul territorio possono garantire con una certa affidabilità.
Aggregazioni come quella di Rosarno possono, quindi, rappresentare appropriate entità in cui potrebbero celarsi cellule dormienti o comunque disperati pronti ad agire per motivi ideologici o contingenti, facile preda di chi ha il mandato di organizzare una struttura terroristica pronta ad operare. Specialisti, anche, in grado di auto costruirsi l’esplosivo e preparati a scegliere e reclutare la manovalanza per compiere un possibile attentato. Costoro per operare hanno bisogno, però, di un appropriato sostegno logistico. Il collegamento con chi gestisce l’evento terroristico da lontano e quanto necessario per realizzarlo sul posto come il reperimento delle materie prime per fabbricare l’esplosivo, la disponibilità degli inneschi e dei dispositivi di attivazione, tutto in una cornice di copertura impermeabile.
Garanzie che il tessuto malavitoso locale può assicurare con elevata affidabilità in quanto ha un capillare controllo del territorio incrementato dalla garanzia dell’anonimato assicurato dalle realtà aggregative come quella di Rosarno che la malavita può gestire proteggendone l’esistenza nel tempo e favorendone, all’occorrenza, l’immediata nebulizzazione.
La contropartita potrebbe essere rappresentata da rifornimenti di droga proveniente da aree di produzione intensiva come l’Afghanistan, non a caso anche patria di Al Qaeda e del terrorismo internazionale.


venerdì 8 gennaio 2010

IL Body Scanner

Il Body Scanner rappresenta l’unica soluzione affidabile per prevenire atti di terrorismo ?

E’ iniziata l’era della rincorsa fra i sistemi per individuare gli ordigni improvvisati (Improvised Explosive Device - IED) e quella del terrorista che acquisisce la sua inventiva per realizzare qualcosa in grado di non essere detettato. Un po’ come avvenne in campo militare in particolare negli anni settanta con la rincorsa fra lo spessore della corazzatura dei carri armati da combattimento e le armi contro carro.
Un’improvvisa accelerazione dopo un periodo di stasi durante il quale sembrava che il contrasto al terrorismo internazionale non fosse poi più imperativo. Una corsa che appena iniziata, sembra destinata a fermarsi immediatamente come se la soluzione fosse qualcosa di annunciato, il body scanner i cui progetti e prototipi giacevano impolverati in qualche magazzino di ditte specializzate nel settore. Gli eventi dimostrano che abbassare l’attenzione in materia di terrorismo è molto pericoloso, ma altrettanto pericoloso è prendere decisioni affrettate, peraltro indotte da un evento rilevante e sulla scia di una spinta emotiva dell’opinione pubblica e dichiarando la volontà di adottare provvedimenti che il terrorista conosce e che probabilmente è già pronto ad aggirare.
Una soluzione peraltro invasiva almeno in termini della possibile incidenza che può avere sulla privacy dell’individuo e sui possibili danni da radiazione elettromagnetica provocate da sistemi di questo tipo, tutti da verificare se è vero che anche l’uso protratto di un telefono cellulare può essere pericoloso. Sistemi che potrebbe anche indurre un effetto devastante sulla gestione delle stazioni aeroportuali e sul traffico aereo, peraltro con risultati modesti, tenendo conto che l’incognita di un possibile IED non è determinata principalmente dalla sola carica esplosiva, imponendo quindi di individuare con certezza la presenza di pentrite piuttosto che di esplosivo plastico, problema comunque risolvibile con l’utilizzo dei semplici “sniffatori elettronici”.
Troppo spesso, infatti, si dimentica che qualsiasi IED per essere tale e per ottenere lo scopo che qualsiasi attentato terroristico si prefigge, non deve essere necessariamente caratterizzato da un esplosivo. Il risultato può essere raggiunto, specie a bordo di un aereo, con l’utilizzazione di altro materiale che potrebbe passare inosservato anche al body scanner. Sostanze anche consentite come, ad esempio, acetone, medicinali, cosmetici di vario genere e quanto altro disponibile sul libero commercio, che opportunamente trattato una volta attivato con un appropriato innesco può provocare reazioni chimiche con effetti molto vicini a quelli degli esplosivi. Per non parlare poi di IED privi di esplosivo ma realizzati ricorrendo a sostanze altamente letali come inquinanti biologici, chimici o nucleari, le così dette “bombe sporche”.
Fondamentale, però, a prescindere da quali sostanze rappresentino la carica dello IED, è il sistema di attivazione, primo fra tutti l’innesco che deve provocare il funzionamento della carica, dispositivi non sempre semplici, generalmente asserviti a sorgenti di energia di una certa potenza. Detonatori in caso di cariche esplosive o di sostanze assimilabili ad esplosivi, sistemi di accensione pirici, chimici o sistemi elettromeccanici nel caso di altri tipi di IED. Dispositivi nella quasi totalità collegati a batterie facilmente trasportabili e quindi necessariamente inserite in circuiti elettronici in grado da potenziarne la carica elettrica generata. Apparecchiature occultabili fra i dispositivi elettronici che ormai caratterizzano il bagaglio di qualsiasi viaggiatore, ma pur sempre facilmente discriminabili utilizzando appropriate strumentazioni di ricerca elettronica spesso utilizzate anche per le bonifiche ambientali.
Limitarsi quindi ai soli body scanner almeno nella versione che sembra oggi disponibile, potrebbe non rappresentare la soluzione decisiva; anzi in particolari situazioni di sovraffollamento all’atto dei controlli i macchinari potrebbero avere effetti forviante per gli addetti ai controlli di sicurezza che si affidassero solo alla risposta di questi sistemi che, invece, dovrebbero aiutare per sostituirsi - a ragion veduta - a quella che un tempo era la perquisizione corporale in caso di sospetto conclamato. Peraltro sicuramente “l’intelligenza terroristica” in continua evoluzione di pari passo con la crescita tecnologica nello specifico settore delle contromisure si sta già esercitando per aggirarne l’efficacia.
Definire, quindi, “risolutore” questo a qualsiasi altro sistema utilizzato per affrontare la minaccia terroristica è azzardato, mentre invece è auspicabile che ci si orienti a progettare ed amministrare strutture di vigilanza integrate che consentano di gestire i controlli con criteri discriminanti, partendo da quello che chiameremo il riconoscimento individuale realizzato attraverso la gestione di una banca dati in cui siano depositate le impronte biologiche (ad esempio l’iride) di tutti coloro che posseggono un passaporto, di chi abbia subito una condanna per motivi riconducibili al terrorismo e di chi sia inscritto nelle black list dei servizi di informazione mondiali. Attraverso un setacciamento in successione solo poche unità dovrebbero essere, poi, oggetto di screening successivo attraverso body scanner od altri strumenti sofisticati.