giovedì 21 gennaio 2010

I Nuovi Talebani

I nuovi Talebani.

Il 18 gennaio 2010 a Kabul si è combattuto per qualche ora per contrastare ed annientare un’azione terroristica dei Talebani realizzata in stretto coordinamento nel quadro di un vero e proprio atto tattico. Una dimostrazione di forza sviluppata in concomitanza del giuramento del nuovo Governo di Karzai che ha confermato come sia lontano il momento in cui si possa ritenere debellata la minaccia dei Talebani. Gli “studenti islamici”, invece, si stanno probabilmente riorganizzando in compagini operative ordinate, abbandonando i vecchi modelli rappresentati da nuclei di combattenti nascosti nei villaggi a ridosso del confini con l’Iran ed il Pakistan, bravi nelle azioni di imboscata ma molto meno preparati ad affrontare e sviluppare atti bellici coordinati. I 50.000 uomini dell’ex esercito talebano, scomparsi nel nulla alla fine della guerra del 2001, sono stati chiamati a raccolta e stanno confluendo in queste nuove strutture operative gestiti quasi certamente da vertici nuovi, più giovani e meno arroccati a vecchie concezioni della guerriglia basata sull’agguato, tipiche del periodo della resistenza contro i sovietici. Gli eventi di questi giorni confermano questa trasformazione in atto e quello che è avvenuto a Kabul rappresenta un vero e proprio segnale che potrebbe essere letto come una prova generale di possibili future azioni globali sviluppate su larga scala anche fuori dell’Afghanistan. Molte le indicazioni anche non recenti che ci spingono a pensare ad una evoluzione dell’atto terroristico che sta avvenendo da tempo, destinato a trasformarsi da evento isolato in una componente essenziale di un’azione tattica coordinata. Il 28 novembre del 2008 l’attentato a Mumbai in India. L’Esercito pakistano che da più di un anno tenta di riappropriarsi del controllo di molte Aree Tribali ai confini con l’Afghanistan dopo che nel 2006 il Presidente Pervez Musharraf aveva sospeso qualsiasi azione militare in cambio della promessa dei Signori della Guerra di non agevolare Al Qaeda. Tentativo quello di Musharraf attuato in momento in cui era necessario frenare la strisciante affermazione del fondamentalismo in Pakistan e per avviare un negoziato con il Mullah Omar e con la nomenclatura di Al Qaeda. I movimenti di piazza in Iran contro il regime del Presidente Mahmud Ahmadinejadin, il Presidente di un Paese dove vivono più di un milione di afgani, immigrati irregolari, potenziale “forza lavoro” da utilizzare come “testa di ponte” nelle manifestazioni contro il neo eletto Capo dello Stato. Un Ahmadinejad peraltro impegnato a gestire anche i problemi in Sistan Baluchestan, provincia difficile, al confine con Pakistan e Afghanistan, da sempre teatro di scontri fra le forze di sicurezza, i ribelli sunniti ed i trafficanti di droga. Regione teatro di un recente attentato quando nell’ottobre dello scorso anno i terroristi hanno colpito il vertice della importantissima struttura iraniana dei Pasdaran, provocando 42 morti e una trentina di feriti, con un’azione coordinata che sicuramente ha coinvolto contemporaneamente afgani, pakistani e fiancheggiatori iraniani, riuniti sotto la bandiera comune di Al Qaeda. Non in ultimo anche lo strisciante fallimento delle promesse fatte all’Afghanistan a partire dal 2002 che riafferma una situazione molto vicina a quanto avvenuto negli anni ’90 quando l’Occidente, abbandonando i mujaheddin che avevano cacciato l’invasore sovietico, agevolò di fatto la conquista del potere da parte dei Talebani. Molti indicatori ci dicono, infatti, che tutti i miglioramenti ottenuti in 6 anni in Afghanistan sono a rischio. La lotta contro il traffico di droga, le riforme economiche e la sicurezza nazionale testimoniano giorno dopo giorno una decadenza strisciante che destabilizza Karzai, peraltro appena rieletto vincitore dopo un confronto elettorale caratterizzato da qualche ombra.
Gli attacchi combinati a Kabul del 18 gennaio presentano, quindi, una nuova realtà. Una trasformata struttura talebana che ha superato le divisioni etniche e tribali coagulando la cultura militare e terroristica di forze reazionarie pakistane, iraniane e forse anche di ribelli yemeniti. Un organismo che ha le sue basi proprio nel vicino Pakistan e che, a differenza di quanto avvenuto negli anni ’90, non si è stabilizzato solo nelle Aree Tribali dove i Pasthum hanno un ruolo di primaria importanza, ma è andato ben oltre il Waziristan pakistano. Il potere dei Mullah, infatti, cresce giorno dopo giorno, da Peshawar, sede di una delle più importanti Università islamiche fino a Karachi e, contemporaneamente, nella pittoresca Swat Valley, confermando, giorno dopo giorno, la vicinanza ideologica al vicino Iran.
Gli episodi di Kabul non rappresentano un evento circoscritto, ma forse sono una specie di prova generale che non può essere sottovalutata a discapito della sicurezza globale. Ci si chiede : cosa accadrebbe se improvvisamente e nello stesso momento si verificassero contemporaneamente simili episodi a Peshawar, a Kabul, ad Islamabad ed a Teheran, addirittura accompagnati da un attacco terroristico attuato nel cuore di una delle capitali del mondo occidentale, perfino realizzato con un IED (Improvised Explosive Device) non convenzionale ?

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