giovedì 22 luglio 2010

Marea Nera anche in Cina. Rischio di terrorismo ?

Non sono uniche le notizie che arrivano dal Golfo del Messico e dalla Luisiana sul catastrofico inquinamento ambientale che da aprile sta dilagando sull’Oceano dopo l’esplosione di una piattaforma petrolifera. Ora anche dalla Cina giunge il comunicato di un nuovo cataclisma ecologico provocato dall’esplosione di due oleodotti della compagnia petrolifera statale. Subito dopo lo scoppio si è scatenato un incendio che è durato quasi 20 ore ed il petrolio seguita ad uscire dalle falle invadendo il mare, anche se non si riesce a comprendere l’esatta dimensione dell’impatto ambientale per le scarse informazioni fornite dal Governo cinese nonostante che la macchia di idrocarburi ampia circa 180 kmq stia minacciando le acque internazionali. Due eventi molto simili che dovrebbero indurre a rivedere sotto un duplice aspetto la gestione degli impianti di captazione e distribuzione petrolifera in particolare a mare. Realizzare impianti che garantiscano assoluta sicurezza agli operatori ed all’ambiente e, nello stesso tempo, affrontare il problema della sicurezza globale per proteggere gli impianti dal ricatto terroristico. Quanto avvenuto di fronte alla costa americana e quella cinese dovrebbero indurre a pensare che “l’obiettivo petrolifero” potrebbe rappresentare a breve un nuovo target terroristico, molto pagante per organizzazioni che intendessero ricattare il mondo minacciando le produzioni di energia primaria e nello stesso tempo danni collaterali irreversibili almeno nel medio termine. Un attacco via mare o via aerea o addirittura sottomarino potrebbe essere attuato con IED semplici tecnologicamente, anche autocostruiti e l’evento avrebbe un impatto comunicativo di grandissima portata, destinato a prolungarsi nel tempo occupando a lungo i canali di informazione molto di più di quanto avviene, ad esempio, nel caso dell’esplosione di un’autobomba. Un’azione forse anche più facile da compiere sul piano organizzativo ed esecutivo rispetto a quelle fino ad ora attuate sul territorio, come ci ricorda quanto è accaduto anni orsono in un porto dello Yemen contro la flotta USA. Il mare è grande e gli obiettivi sull’acqua, a differenza di quelli di terra, possono essere raggiunti sfruttando lo spazio tridimensionale. Gli effetti che si possono ottenere avrebbero un impatto comunicativo sicuramente più eclatante di un attentato al bazar di Kabul piuttosto che a Bagdad, destinato a prolungarsi a lungo nel tempo ed assicurando alla struttura terroristica una lunga e continuata ricaduta di immagine, scopo primario nel momento che è decisa un’azione eversiva. Approfondire queste ipotesi dovrebbe rappresentare un capitolo importante nello studio di efficaci contromisure al terrorismo internazionale, per arrivare a soluzioni che si dovrebbero aggiungere alle annunciate restrizioni che Obama intende far applicare per gli sfruttamenti petroliferi nel mare. Non si può pensare di realizzare un mega oleodotto o gasdotto che attraversi l’Afghanistan ed attraverso il Mediterraneo raggiungerà l’Europa, senza pianificare ogni possibile predisposizione per difendere l’efficienza del funzionamento degli impianti, preservandoli con sufficiente affidabilità da possibili azioni terroristiche. Altrimenti si rimarrà sempre oggetto di ricatto dei Talebani e dei Signori della Guerra che controllano il territorio afgano e che forse stanno valutando proprio questi aspetti prima di sedere al tavolo della pace a Kabul e dei loro “confratelli” che si affacciano sulle rive del Mediterraneo.
22 giugno 2010

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