venerdì 15 ottobre 2010

Cautela nel formulare ipotesi di Exit Strategy dall'Afghanistan

Dopo la recrudescenza degli attacchi terroristici in Afghansitan rappresentanti dei Governi della Coalizione NATO si affannano a parlare di ritiro, di ipotizzare date e forme di “possibili exit strategy”, preannunciando nel contempo ulteriore impegno nel migliorare lo strumento militare ed incrementare la presenza di esperti specializzati in particolari attività. L’opportunità che questa sia la strada migliore per dissuadere i Talebani ed Al Qaeda dalla loro azione eversiva, è alquanto opinabile, se non altro per aspetti di sicurezza e riservatezza che non possono essere sottovalutati. Il network comunicativo ed informativo che Al Qaeda ed i suoi affiliati ormai gestiscono sul piano globale è tale da permettere ai Talebani di disporre in tempo reale di elementi di analisi essenziali solo leggendo le notizie di stampa. Costoro conoscono benissimo quali procedure, tempi ed impegni logistici deve affrontare un Contingente militare che decide di ripiegare dopo una permanenza di 10 anni Teatro. Ne consegue che conoscere prima anche solo ipotesi di tempi facilita l’organizzazione di una resistenza mirata, da sviluppare all’ultimo momento contro chi ripiega, con tattiche di guerriglia in cui gli afgani sono espertissimi e già abbondantemente sperimentate dai mujaheddin dal settembre 1988 al marzo 1989 durante l’uscita dal paese delle Truppe sovietiche. Peraltro, la rete viaria e la logistica dell’ Afghanistan non sono tali da permettere a chi deve andarsene di poter scegliere alternative di ripiegamento diverse in “modo da confondere” l’avversario che, invece, se informato in tempo può scegliere e predisporre per tempo zone di agguato. Anche la popolazione locale potrebbe essere preoccupata da queste notizie che rilanciano con un approccio molto ottimistico la futura autonomia afgana, ed essere invogliata a riaprire contatti e collusioni con i Talebani e con i Signori della Guerra locali, con i quali saranno poi costretti a confrontarsi. Inoltre, ormai da tempo uno dei problemi fondamentali dell’Afghansitan è stato completamente dimenticato pur rappresentando una valenza importantissima per la stabilità del paese e per l’intera comunità internazionale. E’ stato dimenticato il narcotraffico che, invece, è cresce, alimentato dalla produzione del papavero da oppio e dalla sua trasformazione in eroina. Un potenziale economico che dagli anni ’70 ha consentito alle forze eversive di disporre delle necessarie risorse economiche per garantirsi il successo. L’argomento “droga” è oggi dimenticato, non esiste. Ampio spazio, invece, ad altri problemi forse di maggiore impatto comunicativo ma che, seppure importanti, potrebbero trovare soluzione automatica affrontando in maniera incisiva il tema della droga. I Talebani, minacciano il mondo occidentale con gli attentati dinamitardi me nello stesso tempo indeboliscono le strutture e le nuove generazioni attraverso la vendita della droga. La medesima cosa fanno in Afghansitan con la diffusione gratuita fra la popolazione giovanile di sostanze stupefacenti come si evidenzia dai centinaia di ricoveri giornalieri di adulti e giovani tossicodipendenti. Peraltro, la droga ha sempre rappresentato una merce di scambio per eccellenza per alimentare instabilità locali e golpe in tanti paesi, garantendo, peraltro, connivenza e complicità con le organizzazioni criminali locali, essenziali per assicurare la protezione delle cellule eversive sparse nel mondo. In Afghanistan molti degli attentati che avvengono e probabilmente anche l’ultimo che ha coinvolto i militari italiani, sono resi possibili perché la popolazione locale protegge gli insorti, in particolare quelle componenti coinvolte con il male affare dei Signori della Guerra e che in quelle realtà sono in grado offuscare le più sofisticare attività di intelligence. Una complicità garantita da merce di scambio preziosa, l’oppio dei papaveri, così come è avvenuto subito prima dell’attentato dell’11 settembre, quando i Talebani hanno fatto distruggere tutte le coltivazioni afgane e hanno regalato il contenuto dei magazzini alle Agenzie Tribali pakistane a ridosso del confine afgano destinate a garantire la protezione della nomenclatura di Al Qaeda. Maggiore cautela quindi nel divulgare intenzioni e propositi che possono dare indicazioni sulle future pianificazioni militari ed operative in Afghanistan e nello stesso tempo affrontare il problema del commercio della droga facendo riferimento ad “una intelligence incrociata”, soprattutto fuori del territorio afgano, per individuare ogni possibile collusione delle organizzazioni criminali interessate allo specifico commercio come la mafia. In questo scenario continuare a portare avanti una propaganda politica di facciata, anche se indotta da eventi tragici come la morte di militari o di civili, che dichiara il ritiro delle Truppe in tempi brevi e si impegna ad un impegno sul terreno sempre più pacifico per affrontare un avversario che non conosce questa parola, è una esemplificazione non condivisibile. Forse dichiarazioni di questo tipo possono acquisire consenso, ma a svantaggio di coloro che in uniforme operano in quei deserti e della stessa sicurezza internazionale.
15 ottobre 2010

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