sabato 2 ottobre 2010

Quando le parole possono diventare un’arma impropria

Matteo scrive nel Vangelo (mt 13, 24-30) “……mentre tutti dormivano venne il nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania…….”. Per non essere sorpresi e perché la zizzania non soffochi il grano è necessario essere attenti per isolare immediatamente chi semina male attraverso il linguaggio utilizzato per innescare convinzioni esasperate. Evidenze che oggi portano a considerare la parola “arabo” come sinonimo di “terrorista” e ad accettare uccisioni e violenze, in nome della “lotta del bene contro il male”. Attraverso il linguaggio si orienta la folla, si costruisce il consenso o il dissenso e si prepara il terreno perché alle parole seguano i fatti. Una manciata di parole, in particolare se suggestive, sono sufficienti per indurre qualcuno ad agire anche autonomamente per compiere gesti eclatanti anche non leciti. Nell’era della globalizzazione e della comunicazione di massa il linguaggio può veicolare la folla ad accettare e fare proprie forme estreme di manifestazione del pensiero attraverso atti contro la società ed i singoli. Conseguenze sicure quando le parole sono proferite da “capi manipolo” che approfittando di situazioni di disagio come può essere un’adunanza di lavoratori a rischio di licenziamento, in mancanza di altre risorse dialettiche usano parole estreme per contestare gli avversari politici che vengono proposti alla folla esasperata come “i Satana colpevoli di tutti i mali”. A questo punto il linguaggio diventa una vera e propria “arma di distruzione di massa” e può innescare le reazioni più disparate nel momento che è raccolto da singoli o collettività di per sé influenzabili. Dopo i fatti dell’11 settembre è generalizzato il parlare di rischio di azioni terroristiche di Al Qaeda che attraverso i proclami dei suoi Leader o degli Iman durante la preghiera del venerdì possono provocare l’azione di “schegge impazzite” che autonomamente inventano e compiono un’azione terroristica. Un rischio reale che non è, però, patrimonio unico del terrorismo islamico ma contraddistingue tutte le società che per motivi contingenti vivono momenti di disagio collettivo, particolare troppo spesso dimenticato da chi, invece, cerca il consenso seminando zizzania. Questo in Italia è ormai ricorrente e sta avendo i suoi effetti per fortuna ancora isolati. Tartaglia, quando ha lanciato il modellino del Duomo di Milano contro il Presidente del Consiglio, era reduce da un ascolto quasi ossessivo di critiche contro il Premier non sempre solo ed esclusivamente politiche. Il Senatore Schifani è stato letteralmente assalito, per fortuna solo verbalmente, da una folla che non accettava il confronto, ma voleva imporre le sue idee. Il Senatore Dell’Utri zittito da un gruppo che era reduce da un’altra piazza dove qualcuno aveva pronunciato l’oracolo “il mafioso deve essere zittito in tutte le piazze”. Il Segretario della Cisl Raffaele Bonanni è stato colpito con “un’arma impropria”, un fumogeno lanciato da una manifestante “figlia della disperazione”. Ora il mancato attentato a Maurizio Belpietro avvenuto subito dopo un momento politico in cui tutti i cittadini hanno ascoltato in diretta televisiva anche parole non concilianti ed a ridosso della pubblicazione del video rubato alla privacy di Berlusconi e pubblicato sul portale di Repubblica. A questo punto sono condivisibili le ipotesi che fanno presagire il ritorno degli anni di piombo, peraltro in un momento di esasperazione sociale molto simile a quello degli anni ’70. Se si è consapevoli di questo e si ha un minimo di coscienza istituzionale e dello Stato, è necessario riappropriarsi di un linguaggio consono facendone buono uso per avanzare ipotesi, criticare, dubitare e portare avanti le proprie idee, ma evitando i toni esasperati per escludere il rischio di futuri scenari di contrapposizione violenta.
2 ottobre 2010

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