lunedì 21 febbraio 2011

La rivoluzione islamica dilaga

In questi giorni è ricorrente leggere come Internet abbia facilitato il dilagare dell’onda della rivolta islamica che, dopo aver percorso il Nord Africa, sta attraversando la Libia e si dirige dirompente verso il Medio Oriente toccando il Barheim. Una valutazione in parte condivisibile ma forse troppo semplicistica e che per taluni aspetti ha contribuito inizialmente a sottovalutare il vero rischio che il mondo sta correndo dall’inizio dell’anno, a partire dagli avvenimenti del Magreb. Le analisi pessimistiche esplicitate fin dall’inizio attraverso queste pagine trovano, purtroppo, conferma nella situazione contingente che, peraltro, sembra ancora non suscitare un’incisiva risposta politica occidentale né da parte degli USA né tantomeno dall’Europa che nemmeno rigetta ufficialmente al mittente le minacce verbali della Libia sulla futura gestione dei flussi di disperati che dalle coste africane tentano di arrivare nel Vecchio Continente. Il fronte dell’onda anomala sta dimostrando di essere molto più esteso di quanto si potesse inizialmente ipotizzare, segno evidente che oltre ad Internet stanno giocando un ruolo fondamentale anche altri gruppi estremisti che forse si sono alleati con Al Qaeda, come le organizzazioni sovversive islamiche da tempo protagoniste in tutta l’Africa Centrale. Ipotesi confermate dalle pur scarne e frammentarie immagini che arrivano dalla Cirenaica insieme alle notizie di centinaia di morti per l’uso sconsiderato di armi da guerra contro la folla, attribuite al momento ad un impiego governativo di mercenari. La fotografia di un paramilitare in tuta da combattimento blue ucciso ieri a Bengasi e resa pubblica da molte agenzie di stampa ricorda, per tratti somatici, per equipaggiamento e per tecniche di combattimento, i mercenari provenienti dal Tchiad e dal Niger impiegati in passato nelle carneficine contro i cristiani, in Nigeria, nel Darfur e nel sud Sudan, molti dei quali appartenenti a clan islamici estremisti radicati in Africa, in alcuni paesi arabi e dopo Dayton anche dai Balcani. L’Iran, da parte sua, teme di essere “la riva di approdo” dell’onda rivoluzionaria e cerca di evitarlo con un approccio pragmatico sfruttando l’emozione di ciò che sta accadendo in Africa per coprire le azioni repressive interne. Il suo leader religioso Khamenei esprime solidarietà verso i fratelli islamici africani ma nello stesso tempo fa sparare su chi a Teheran tenta di imitarne le gesta. Un Iran che potrebbe a breve dover fronteggiare una situazione simile a quella libica e che si premunisce reprimendo con la forza anche le timide iniziative popolari di riempire la piazza. Come riportato dall’agenzia iraniana Irna, si arresta la figlia dell’ex Presidente della Repubblica Akbar Rafsanjani da sempre critico nei confronti di Ahmadinejad mentre la guida suprema del Paese arringa la folla e denuncia il pericolo che l’Occidente con in testa l’USA, stia approfittando della situazione dei movimenti popolari dell’Africa settentrionale per destabilizzare la regione ed insediare nuovi leader amici. Un Iran che cerca di allontanare lo tsunami dal proprio territorio spingendo le minoranze sciite sparse nel mondo a ribellarsi alle dominanze sunnite. Un esempio è quanto sta avvenendo in Barheim, proprio di fronte alle coste iraniane e quasi a ridosso delle acque territoriali di Teheran. Qui gli sciiti dell’organizzazione Wefaq stanno respingendo qualsiasi proposta di mediazione del monarca Hamad e chiedono le sue dimissioni. Forse la protesta nata come rivolta del pane sta evolvendo per affermare sempre di più un radicalismo islamico che, partendo proprio dall’Iran e dalla Libia, potrebbe riappropriarsi di tutti i Paesi africani rivieraschi sul Mediterraneo da dove, poi, guardare a nord - est verso i fratelli mussulmani della Turchia, della Siria, del Libano, della Giordania e dei Balcani europei. Un network rivoluzionario che potrebbe estendersi al resto del mondo islamico, coinvolgendo il Sudan, l’ Indonesia, le Repubbliche islamiche del Centro Asia e le minoranze dell’estremo Oriente, con effetti devastanti sulle economie occidentali e sulla sicurezza internazionale.

21 febbraio 2011 - ore 12.00

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