Coloro che a suo tempo hanno utilizzato fiumi di inchiostro per osannare i risultati ottenuti dalla Primavera Araba in Egitto ed in Tunisia, è stato forse affrettato nell’esprimere ottimismo. Oggi si meraviglierà per ciò che sta accadendo in Egitto considerandolo come qualcosa di inaspettato, quando invece, conoscendo le realtà locali, non era difficile prevederlo. Costoro dovrebbero rivedere le loro analisi, come anche suggerito attraverso queste pagine quando ancora nulla si sospettava sull’evoluzione negativa della situazione egiziana. In Egitto e forse presto anche in Tunisia e nella stessa Libia del post Gheddafi, inizia ad emergere la rabbia e l’insoddisfazione di coloro che erano scesi in piazza sfidando la morte nel nome della democrazia e contro i dittatori. Primi fra tutti i giovani egiziani coordinati dalla gestione “illuminata” di facili profeti, come il premio Nobel per la Pace El Barabei o i Fratelli Mussulmani. Aspirazioni la cui realizzazione è stata affrettatamente affidata ai militari egiziani, dimenticando che costoro sono stati sempre molto vicini al deposto Mubarak e sempre fedeli al loro mecenate statunitense. Oltre 1800 i feriti e decine i morti dopo due giorni di manifestazioni. Tutto ad una settimana dalle prime libere elezioni dopo 40 anni di dittatura. Vittime fra la folla che manifesta il proprio dissenso e la propria disillusione, ed anche un arresto, quello di Butaina Kamel, l’unica donna candidato. I partiti che parteciperanno alla competizione elettorale sono 35 ma risulta che abbiano un unico portavoce: Mohamed El-Beltagy esponente di spicco del partito Libertà e giustizia dei Fratelli Musulmani. Le manifestazioni oltre al Cairo hanno catalizzato anche la piazza di Alessandria, nota per il suo approccio laico alle vicende del Paese, provincia egiziana molto vicina per collocazione geografica e per tradizione alle democrazie occidentali. L’Unione Europea, torna ad “essere preoccupata” ed il portavoce Catherine Ashton si limita a rinnovare le consuete dichiarazioni programmatiche. Un’Europa che durante la primavera araba aveva già evidenziato i propri limiti politici e che oggi, dopo aver fallito anche come Holding finanziaria non in grado di difendere la propria moneta, torna a esprimere il proprio cruccio per quanto avviene sulle rive africane del Mediterraneo evitando, però, di promuovere incisive politiche a livello internazionale. Nel frattempo in Tunisia nella prima tornata elettorale si sono affermati gli Ennahdha, un partito islamista tuttaltro che laico e nella Libia del post Gheddafi viene rivalutata la sharia, la Legge di Dio, sicuramente distante dalla cultura delle tradizione liberale e democratica occidentale. La situazione che si delinea ancora una volta sulle rive del Mediterraneo non è sicuramente delle più limpide. Sottovalutarla interpretrando qualsiasi vittoria locale come un traguardo raggiunto sulla strada della democrazia potrebbe avere nell’immediato futuro gravi conseguenze per la stabilità e la sicurezza internazionale. Non bisogna mai dimenticare, infatti, quanto avvenuto in altri Paesi ed in particolare in Afghanistan con la nascita di Bin Laden sponsorizzato dall’Occidente come esempio di democrazia durante la resistenza afgana contro l’invasore sovietico.
21 nov. 2011- ore 18,30
21 nov. 2011- ore 18,30
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