E’ trascorso quasi un anno da quando dalla Tunisia è partita la prima ventata di democrazia che avrebbe provocato un radicale cambiamento politico nei principali Paesi islamici africani che si affacciano sul Mediterraneo. Tiranni sono stati cacciati, altri come Gheddafi sono stati combattuti, catturati e passati per le armi nel nome di una democrazia laica e liberale che assicurasse al popolo i diritti fondamentali negati per decenni da governi dittatoriali e nepotistici. Una volontà popolare che sembrava impegnata ad uscire dall’oscurantismo del radicalismo religioso ed avvicinarsi ai modelli delle democrazie occidentali più evolute. Fiumi di inchiostro sono stati versati per evidenziare questo desiderio della gente che sembrava inarrestabile e che finalmente cancellava insieme alle dittature decenni di soprusi e di negazione dei diritti umani. Analisi ottimistiche ma in taluni casi troppo affrettate e sviluppate con un approccio semplicistico che non teneva conto delle realta' socio culturali coinvolte nelle vicende. Intere generazioni cresciute nel rispetto della legge coranica ed annientate dal radicalismo religioso. Retaggi che non possono essere cancellati con un colpo di spugna, ma destinati ad esercitare il loro influsso per decenni. La volontà popolare espressa in occasione di libere elezioni svolte nei Paesi islamici dell'Africa mediterranea conferma questa valutazione. I rappresentanti politici vicini agli Iman sono preferiti ai loro colleghi impegnati in una politica laica. In Tunisia hanno vinto gli An-Nahada sicuramente non laici. Ennehdha il “partito della rinascita” ha ottenuto un numero considerevole di seggi, maggioranza che sicuramente si fara' valere quando inizieranno i lavori di redazione della nuova Costituzione. Un risultato che potrebbe contagiare l’Egitto e la stessa Libia, dove l’attuale Presidente ad Interim ha gia' espresso la volontà di riaffermare i valori della sharia, che dovranno rappresentare le linee guida da applicare nella " nuova Libia". Nel vicino Marocco, pur non coinvolto nelle vicende della primavera araba, i recenti risultati elettorali hanno evidenziato una larga maggioranza della volonta' popolare favorevole ad uno Stato che si richiami ai valori dell'Islam, piuttosto che laico. Ha vinto, infatti, la corrente politica “Giustizia e Sviluppo” (PJD) vicina all’interpretazione radicale dell'Islam e che guarda con favore ai Fratelli Mussulmani ed al partito tunisino degli Ennahda. Una sorpresa per il re Mohammed VI da sempre impegnato a realizzare riforme laiche e fautore di un'apertura verso l'Occidente, in particolare nei confronti della confinante Unione Europea. In Egitto i Fratelli Mussulmani stanno vincendo con largo margine anche se ci vorra' del tempo prima di avere risultati definitivi (sembra non meno di quattro mesi). La “mezzaluna islamica” si affaccia , dunque, nei cieli dell'Africa mediterranea, preannunciando un futuro in cui l’influenza della religione ritornera' ad interferire sulla laicità dello Stato, rendendo difficile qualsiasi affermazione di democrazia liberale. I primi segnali arrivano. In Tunisia è stata attaccata un’emittente televisiva solo perché aveva osato proporre un confronto pubblico sul fondamentalismo islamico. In Libia il Comandante militare della città di Tripoli è un certo Abu Hakim Belhadj, già combattente in Afghanistan ed ex ospite delle carceri della CIA, sicuramente non un laico moderato. Uno tsunami che ormai coinvolge anche Paesi rivieraschi del Golfo Persico, doveemergono movimenti caratterizzati da un accentuato fanatismo religioso. In Iran viene minacciata la presenza di occidentali le Sedi diplomatiche occidentali, come ieri quando un gruppo di studenti iraniani filo-regime ha assaltato l'Ambasciata britannica. Un gesto disperato della componente oltranzista della Repubblica islamica che si sente con le spalle al muro per le sanzioni occidentali contro il nucleare iraniano e che si sovrappongono a quelle decise dalla Lega Araba contro l'alleato siriano di Teheran. Quattro razzi sono stati lanciati dal Libano contro Israele. Tel Aviv ha risposto con dei colpi di artiglieria contro il villaggio di Aita Shaab da dove e' partito l'attacco, a circa due chilometri dal confine. Il bombardamento è stato rivendicato dalle Brigate Sheikh Abdullah Azzam, cellula terrorista vicino ad Al Qaeda.(Aki). I servizi segreti algerini prevedono a breve nuovi sequestri di cittadini stranieri nei paesi del Sahel africano, dove sono particolarmente attivi gruppi di al-Qaeda guidati da un algerino, Bin Wahi Abdel Baqi di 44 anni, originario delle province orientali del paese. Vicende che si sovrappongono e che si concentrano in aree geografiche prossime ai confini europei o colpiscono, come in Iran, direttamente Stati membri dell' Unione Europea. Un Europa che continua, come in passato, ad osservare senza proporsi come realta' politica, ma solo come holding economica peraltro non in grado di gestire nemmeno le sorti di una moneta unica inventata e non regolata dalle regole fondamentali dell’economia. Una UE dove seguitano a prevalere interessi di singoli Paesi membri. La Francia che sospende il trattato di Schengel con l'Italia, pur di evitare che disperati in fuga dalla guerra in Libia potessero entrare sul territorio francese. La Germania che pur facendo parte dell'ONU e della Nato non partecipa con i patner europei alle operazioni militari decise dalle NU garantire la sicurezza della popolazione libica. Ancora una volta si ripropone,quindi, l'incertezza di queste aree del mondo islamico, vicine per collocazione e tradizione all’Occidente da cui si stanno allontanando per l'interferenza di gruppi fanatici e radicali. Una situazione di cui potrebbe approfittare Al Qaeda per il Maghreb islamico (AQMI) con lo scopo di consolidare il proprio ruolo politico, dopo essersi garantita considerevoli risorse militari approfittando delle vicende libiche. Un fatto è certo, la Primavera Araba, da troppi affrettatamente definita foriera di democrazia e libertà, sta dimostrando i suoi limiti e comincia ad essere un’onda anomala che trascina con se' l’integralismo radicale pronto a prevaricare qualsiasi credo religioso diverso dall'Islam e ad imporsi anche attraverso azioni eversive. Sottovalutare ancora una volta questo rischio limitandosi ad osservare l'evoluzione degli eventi e ad esplicitare unicamente il proprio dissenso come avviene per l'Europa, potrebbe favorire ancora una volta situazioni difficilmente gestibili.
1 dicembre 2011 - ore 13.00
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