E’ trascorso un anno dalle prime notizie sulle manifestazioni di piazza in Tunisia. Un vento di ribellione che avrebbe dato inizio alla “primavera araba” destinata a contagiare quasi tutte le piazze islamiche dell'Africa mediterranea. Dittature decennali vacillavano, scosse dalla spinta di quelle popolazioni che stavano lottando per affermare i propri diritti civili e per affermare condizioni di democrazia laica. In quei giorni gli avvenimenti venivano proposti con ottimismo esasperato dalla maggior parte dei media internazionali, che conoscendo le realtà e le culture coinvolte, non poteva essere totalmente condiviso. La situazione che si presenta dopo un anno dimostra, infatti, che forse una maggiore prudenza nelle valutazioni a caldo avrebbe permesso di immaginare un quadro di situazione generale più aderente a quella che sarebbe stata la situazione effettiva finale. All’inizio degli eventi, controcorrente con molti commentatori, scrissi che i venti primaverili potevano trasformarsi in uno tsunami che rischiava di coinvolgere non solo tutto il bacino del Mediterraneo, con conseguenze difficilmente prevedibili ed in ogni caso difficili da gestire. Espressi concrete perplessità sulla effettiva possibilità di una rapida affermazione della democrazia, condizione aspirata dalle popolazioni represse sotto la dittatura di Ben Alì, Mubarak e Gheddafi, manifestando un approccio pessimistico nella valutazione dei risultati che sarebbero stati raggiunti. Analisi al momento probabilmente poco condivise, ma che a distanza di un anno dimostrano una certa validità. La situazione globale delle aree islamiche africane interessate agli eventi e di quelle del Centro Asia ad esse vicine tradizionalmente, non è, infatti, migliorata in maniera significativa né ha guadagnato in termini di stabilità e di democrazia. I risultati elettorali in Tunisia ed in Egitto propongono nuovi scenari in cui probabilmente il radicalismo religioso condizionerà la laicità dello Stato vanificando almeno in parte quanto la gente aveva sperato. Una seconda primavera potrebbe riaprirsi con protagonisti i migliaia di illusi, giovani e meno giovani, che all’inizio del 2010 rischiando la propria vita manifestarono apertamente il dissenso contro chi li aveva costretti a subire l’oppressione della dittatura. I primi segnali già si addensano all’orizzonte. La gioventù egiziana torna a riunirsi in piazza Tahir per manifestare tutto il proprio malcontento e nel nome di una libertà ancora negata. In Tunisia la popolazione scalpita nel timore che il partito An-Nahda (la rinascita) di ispirazione islamica, vincitore delle elezioni, possa consolidarsi allontanando ancora una volta il traguardo di uno Stato laico e democratico. Nei Paesi islamici geograficamente vicini all’epicentro della primavera araba, la instabilità aumenta e fioriscono nuove realtà eversive ideologicamente più vicine al terrorismo internazionale piuttosto che al concetto di democrazia universalmente riconosciuto. In Siria Assad continua a massacrare il suo popolo che, incoraggiato dagli avvenimenti tunisini ed egiziani, da un anno cerca di conquistare qualche diritto civile. In Libia Gheddafi è stato ucciso con un atto di giustizia sommaria e Mustafa Abdel Jalil, attuale Presidente del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), ha preannunciato che tutte le future leggi libiche saranno emanate nel più assoluto rispetto della sharia. Sempre in Libia, viene consideratocome eroe Abdelhakim Belhadj, personaggio inquietante, capo militare dell’insurrezione ed oggi massimo responsabile a Tripoli del Military Council libico. Un ex jihadista, veterano dell’Afganistan, fino a poco tempo considerato uno degli uomini più vicini ad Osama, già rappresentante di Al Qaeda in Libia ed in passato ospitato nelle carceri di Guantanamo, oggi grande amico degli americani. Nel frattempo, anche approfittando degli avvenimenti connessi alla primavera araba, gli eredi di Bin Laden, consolidano giorno dopo giorno le loro posizioni nel continente africano. Nel Maghreb la presenza di Al Qaeda è sempre più attiva e sfruttando la guerra in Libia, ha consolidato le proprie posizioni e rinnovato i propri arsenali appropriandosi delle armi abbandonate sul terreno dai lealisti di Gheddafi. Dopo un anno, quindi, sulle ceneri dei vecchi regimi dittatoriali di Ben Alì, Mubarak e dello stesso Gheddafi, come emerge anche da molte analisi pubblicate da siti Internet e vicine all’Intelligence occidentale, probabilmente si sta consolidando una nuova "piova del terrore" che ingloba militanti a livello transnazionale e che considera l'area africana a nord dell'Equatore come una nuova palestra del terrorismo internazionale. I primi segnali arrivano dal Niger, dal Ciad e dal Camerun, dove sono già operativi campi di addestramento che ospitano i nuovi emuli di Al Qaeda, propugnatori del fanatismo religioso. I primi segnali dall’attentato della notte di Natale in Nigeria dove è stata attaccata la chiesa cattolica di Santa Teresa a Madalla, nello stato confederato di Niger, a circa 45 chilometri dalla capitale Abuja. Un'auto bomba è esplosa al termine della messa uccidendo 35 persone e provocando oltre 50 feriti. Le forze salafite in Somalia incoraggiano i pirati a consolidare le loro alleanze con i rappresentanti di Al Qaeda nello Yemen che, sponsorizzati dall'Iran, minacciano i rifornimenti energetici diretti ad Occidente attraverso lo stretto di Hormuz ed il Golfo di Aden. In tutte le aree controllate dalle emergenti componenti eversive, dominano le regole della sharia. Ai ladri vengono tagliate le mani, le adultere sono lapidate ed è ripresa la poligamia. Poco più lontano, in un Iraq ancora non stabilizzato, dove è appena iniziato il ripiegamento delle forze statunitensi, le forze estremiste legate al radicalismo religioso islamico cercano di conquistare terreno e rendono sempre più remota la possibilità di una futura convivenza democratica fra sunniti e sciiti. L'Iran prova le sue armi strategiche lanciando segnali preoccupanti agli Stati del Golfo alleati degli USA, agli Stati Uniti stessi e ad Israele. Contemporaneamente Teheran aiuta il regime di Assad che continua nelle sue feroci repressioni nei confronti della popolazione. Eventi guardati con disinteresse dal mondo occidentale che, invece, è stato pronto a decidere di entrare in guerra per difendere la popolazione libica dai massacri di Gheddafi. I nuovi emuli di Bin Laden per autofinanziarsi ricorrono al commercio della droga, al mercato dei clandestini che tentano di fuggire dalla povertà del Centro Africa ed al rapimento degli occidentali impegnati ad aiutare le popolazioni locali minacciate dalla siccità e dalla carestia. Sicuramente i giovani che hanno immolato la loro vita per dare corso alla primavera araba sono disillusi e guardano spaventati ad un futuro in cui si sta radicando un nuovo emergente terrorismo, forse ben più minaccioso di quello di attuato da Bin Laden perché sponsorizzato anche da Stati sovrani. Situazioni che se non affrontate con immediatezza potrebbe nel breve termine diventare una minaccia ben più seria per le democrazie occidentali, già attaccate dalla crisi economica.
2 gennaio 2012 - ore 12,45
2 gennaio 2012 - ore 12,45
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