I
venti della rivoluzione si riaccendono in Africa settentrionale. Forse si
riapre una nuova fase di quella che è stata la prima Primavera Araba ,
partita dalla Tunisia è dilagata in
tutta l’Africa islamica a ridosso del Mediterraneo, fino a raggiungere come un’onda anomala la Siria.
Oggi la nemesi storica si ripete.
Una nuova ventata rivoluzionaria si ripropone dall’Egitto dove i Fratelli
Mussulmani, la più antica coalizione islamica dei tempi moderni, vedono minacciato il successo conquistato ed il
loro ruolo nel nuovo percorso storico
appena iniziato in tutta la Regione con un ritorno a forme di radicalizzazione
dell’Islam a ridosso dei confini meridionali dell’Europa.
Un risveglio dei moti di piazza
che le ultimi notizie presentano come inizio di una vera e propria guerra civile, che potrebbero contagiare rapidamente
la Tunisia dove il partito islamico radicale degli An-Nahda, vincitore delle
elezioni e molto vicino alle posizioni dei Fratelli Mussulmani, si potrebbe sentire
minacciato.
Non a caso, la Tunisia ha immediatamente
condannato la deposizione di Morsi definendola “un
colpo alla democrazia” ed anche la Libia potrebbe “risentirsi” per gli
avvenimenti egiziani avendo riaffermato nella nuova Costituzione i dogmi della sharia coranica.
Per
contro, la nomenclatura saudita, kuwaitiana e degli Emirati Arabi, da sempre in
lotta contro i Fratelli Musulmani, si è prontamente congratulata con il nuovo Presidente
ad interim dell'Egitto, Adly Mansour.
Anche il Presidente siriano Bashar Assad sta
festeggiando la estromissione di Morsi
che appena qualche giorno prima era stato accusato di favorire la ribellione
armata contro il suo regime ed aveva
interrotto ogni rapporto tra il Cairo e Damasco, un tempo due capitali islamiche "sorelle". Festeggiamenti assolutamente
prevedibili considerando che da oltre 30 anni l'ala siriana dei Fratelli
Mussulmani (FM) è illegale in Siria e i
suoi membri sono puniti con la pena di morte. Il padre di Assad, Hafez, agli
inizi degli anni ‘80 fece massacrare ad Hama migliaia di attivisti della
Fratellanza che erano in rivolta.
La cacciata del Presidente Morsi è, comunque, una sconfitta significativa per l'Islam
politico rappresentato nella sua espressione più moderna dai Fratelli Musulmani
ed il golpe egiziano sarà destinato ad avere ripercussioni in tutto il mondo
arabo.
Un’altra dimostrazione che i processi politici
e sociali in Medio Oriente e Nordafrica sono più rapidi del previsto e sicuramente
deve essere riconsiderato l’ottimismo di coloro che vedevano nella Primavera
Araba la svolta per l’affermazione della democrazia laddove da sempre avevano
imperato le dinastie di parte. L’equilibrio non è sicuramente consolidato e tale
da escludere qualsiasi trasformazione futura, piuttosto, i cambiamenti sono
appena iniziati e dall’Egitto potranno estendersi in Turchia fino ad arrivare a
coinvolgere i Paesi del Golfo.
Avvenimenti
destinati a svilupparsi a ridosso dell’Europa che il Vecchio Continente non può
continuare ad osservare distrattamente. Un’Europa che ormai è minacciata da
vicino anche dalla accertata presenza in Siria di formazioni di Al-Qaeda,
in crescente aumento e consolidamento. Ipotesi non
tranquillizzanti e che trovano riscontro in quanto recentemente reso pubblico
da Charles Farr, direttore generale dell’ufficio britannico per la Sicurezza e
la lotta al terrorismo.
Un
contesto in cui l’Europa non può trovarsi impreparata come avvenne in occasione
della prima Primavera Araba. Deve, bensì, assumere un ruolo preciso nella gestione della
crisi che non può essere ancora una volta delegata unicamente agli Stati Uniti il cui Presidente Obama non
ha mai guardato con simpatia l’elezione in Egitto di Morsi proprio per la sua
assoluta vicinanza ai Fratelli Mussulmani.
Sarebbe
un errore gravissimo estromettere di nuovo i FM dal ruolo che hanno conquistato
dimenticando che la compagine politica è fortemente permeata da estremisti
islamici non lontani dalle posizioni di Al Qaeda e dei Salafiti. Il futuro dell’area
non può essere, quindi, lasciato nelle mani di Obama e Mohamed El Baradei, due figure di
spicco, Premi Nobel per la Pace, ma forse troppo compromessi nello specifico.
L’Europa,
da parte sua, non può rischiare che il
controllo del Canale di Suez cada in mano a gruppi estremisti che potrebbero
condizionare, insieme ai pirati del Golfo di Aden, il flusso delle risorse
energetiche verso il Vecchio Continente .
6
luglio 2013, ore 12,00
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