Quella stessa mattina, chi scrive è stato chiamato a
spiegare la natura del problema nel contesto della trasmissione televisiva
della RAI “Uno Mattina”, una sintesi di tre minuti, davvero modesta per fornire
un quadro completo e che sicuramente non ha
aiutato a richiamare l’attenzione
su un problema da non sottovalutare.
Il flusso comunicativo sullo specifico argomento ora è cessato.
Siamo fermi alle prime scarne notizie che sicuramente non aiutano a comprendere
l’esatta connotazione del problema, piuttosto inducono dubbi e perplessità e
suggeriscono a coloro che hanno minima expertise nel settore specifico
conclusioni diverse dagli scarni contenuti delle tranquillizzanti comunicazioni
ufficiali.
Assenza di precisazioni inopportune e che non aiuta a
capire quale sia la natura del carico in procinto di raggiungere le nostre
coste e non fornisce una doverosa informazione alle popolazioni residenti né
alle Autorità locali responsabili, di fronte ad un’emergenza, della gestione della protezione civile.
Infatti non è stato assolutamente precisato con chiarezza cosa
trasporti realmente la nave proveniente
dalla Siria. Un elemento determinante per connotare la reale dimensione della
possibile minaccia e fondamentale per predisporre auspicabili e doveroso misure
di sicurezza. Il Premier ed in particolare il Ministro degli
Esteri hanno parlato di “armi chimiche”, addirittura la Responsabile della
Farnesina ha usato anche la parola “inneschi” in una recente intervista
rilasciata ad un quotidiano nazionale, termine che induce a pensare ad un
munizionamento predisposto all’uso anche se non “armato”. L’unica cosa certa
che ci sono stoccate a bordo più di 500 tonnellate di sostanze che provengono dall’arsenale
militare chimico di Assad.
Assad disponeva sicuramente di gas nervino Sarin e di Iprite e quindi nei
fusti trasportati potrebbe essere contenuto questo materiale. Il Sarin è un gas
nervino letale in grado di agire in qualche secondo, l’Iprite un aggressivo
chimico che al contatto del corpo o se inalato provoca ustioni mortali. Ambedue
agenti letali i cui effetti possono essere affrontati solo disponendo di
attrezzature adeguate, idonee a garantire efficace contromisure per affrontare
l’emergenza ed i danni conseguenti.
In che stato siano i materiali trasportati non è stato
chiarito, forse perché sconosciuto anche a chi dovrebbe predisporre appropriate
misure di sicurezza. L’Iprite, comunemente nota come gas mostarda, dovrebbe
viaggiare in appropriati contenitori, probabilmente già attiva, oppure già
inserita in testate di missili o proiettili non convenzionali.
Il gas Sarin che è accertato sia stato utilizzato contro i civili siriani, è un aggressivo
generalmente preparato al momento essendo poco stabile. Diventa l’aggressivo
letale nel momento che vengono miscelati due componenti base, uno a bassa
tossicità e l’altro con effetti tossici maggiori. Sulla stessa nave, quindi,
potrebbero essere trasportati i due componenti separati, con il rischio che
qualsiasi evento imprevedibile che può coinvolgere un natante in navigazione
potrebbe portare i due componenti a contatto con la formazione di nubi mortali.
Se, invece, come viene ripetutamente scritto dai media ed
annunciato anche dai responsabili istituzionali, sulle navi è trasportato
munizionamento chimico privo di spolette (separato dagli inneschi come precisato
dalla Bonino al Corriere della Sera), il rischio di incidente grave è ancora
maggiore, Si tratterebbe, infatti, di missili e granate di artiglieria con
ogiva contenente o gas pronto all’uso o i due componenti base separati da un
setto leggero e di modesta resistenza. Ordigni che se per qualsiasi motivo
fossero attaccati da un incendio o soggetti ad urti violenti potrebbero
disperdere nell’ambiente il mortale Sarin.
Peraltro nessuno chiarisce se quelli che la Responsabile
della Farnesina chiama inneschi, siano trasportati a parte o si trovino sulla
stessa nave, nel qual caso aumenterebbe moltissimo la percentuale di rischio
complessivo in caso di incidente.
Con chiarezza è noto solamente che le armi chimiche provenienti
dalla Siria verranno spostate in un contenitore al titanio della nave americana
Cape Ray ed il trasbordo avverrà da nave a nave senza attraccare alla banchina.
Una scelta che potrebbe sembrare più sicura in
quanto preserverebbe il territorio da possibili inquinamenti ma che,
invece, si ritiene comporti rischi maggiori in caso anche di semplice urto fra
le navi, magari indotto da semplici ed imprevedibili cambiamenti della direzione dei
venti dominanti in area.
Ci dicono ancora che il materiale sarà distrutto in mare
aperto mediante il processo chimico di idrolisi, ma non ci informano su come
verranno smaltiti i materiali chimici derivati dalla trasformazione delle
sostanze di base. La distruzione
dovrebbe avvenire in una zona di mare ad ovest di Creta, con la connivenza
delle autorità greche, italiane e maltesi. L’allarme è dato dagli scienziati di
Democritos (N.d.T. Centro Nazionale di Ricerca Scientifica) di Atene e del
Politecnico di Creta, che parlano di “completa distruzione dell’ecosistema e
del turismo”.
La tossicità delle sostanze chimiche di risulta, infatti, non è irrilevante e se
versate in mare potrebbero causare danni irreversibili all'eco
sistema marino, fino a provocare una
vera e propria necrosi irreversibile. Il pesce potrebbe essere avvelenato dalla contaminazione che si
propagherebbe attraverso la catena alimentare a tutti i consumatori del pescato.
La scelta dell'idrolisi, quindi, lascia perplessi perchè
pericolosa come gli stessi USA ammettono e gli effetti potrebbero essere ancora
maggiori del previsto considerando che l’operazione verrà effettuata in mare come il Mediterraneo, dove il ricambio delle acque non è così rapido
come nei grandi oceani che lambiscono il continente americano, quello asiatico
e l'Europa del nord.
La decisione di ricorrere ad un processo chimico difficile
e rischioso non è comprensibile. Infatti, generalmente, la distruzione di
sostanze chimiche pericolose avviene
attraverso processi di combustione, eseguiti in stabilimenti ed aree attrezzate
del tipo di quelle già esistenti ed operative da tempo negli Usa, in Germania,
in Cina ed in Russia, Paese dove peraltro ha origine parte del Sarin stoccato
negli arsenali chimici di Assad.
Un quadro, quindi, non chiaro e poco decifrabile anche per
l’assenza di una chiara posizione dell’Organizzazione internazionale per il
Divieto delle Armi Chimiche, che
coinvolta direttamente nel problema, solo pochi mesi orsono, aveva fortemente
sconsigliato la neutralizzazione di tali sostanze in mare.
In questo contesto, quindi, non è possibile escludere, come
invece affermato a vari livelli istituzionali, che sull’operazione non incomba alcun rischio.
E’, invece, innegabile che una percentuale di rischio seppur minima
caratterizzi l’intera operazione, in
particolare se la nave che si accinge ad entrare nel porto di Gioia Tauro
trasporta in stiva, seppur separati, ambedue
i componenti base del Sarin o, peggio, munizionamento chimico già pronto
all’uso anche se privo di innesco.
Una realtà che non può essere sottovalutata e che dovrebbe
aver suggerito la predisposizione di un’adeguata pianificazione per
fronteggiare la minaccia ed affrontare eventuali danni collaterali alle persone
ed alle cose che cause accidentali potrebbero provocare.
Piani che prevedano immediati sgomberi sanitari su strutture preparate ad accogliere e curare personale eventualmente colpito da esalazioni nocive che come nel caso del Sarin lasciano pochissimo tempo per garantire appropriati soccorsi. Al massimo appena quindici minuti dalla inalazione o dal solo contatto epidermico con il gas !
Programmazione che coinvolga anche la popolazione, che dovrebbe essere informata anche sul più
remoto dei possibili rischi che un’operazione del genere comporta, applicando
modelli consolidati già operativi come ad esempio avviene in Israele.
Nessuno ci dice se sia stato previsto tutto questo, se le
strutture sanitarie locali siano state opportunamente organizzate ed ancora se
il personale sanitario conosca nel dettaglio la natura di una possibile
minaccia seppur remota, come affrontarla e gestirla.
E’ fuori da ogni dubbio che l’esigenza specifica debba essere assolutamente affrontata e
risolta ma non si comprende perché la scelta sia
caduta sull'Italia dopo che, ad esempio, l'Albania destinata come prima ipotesi
ad ospitare gli aggressivi chimici ha rinunciato sotto le pressioni della
popolazione.
2 commenti:
Senza calcolare inoltre che arrivano in un porto ad alto rischi 'ndrangheta che non sottovaluterei
Great post, much appreciate the time you took to write this
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