Dalla Prima Guerra del Golfo in Italia si è
cominciato a parlare in Italia della tossicità dell’Uranio
Impoverito (DU), scoria nucleare utilizzata per la realizzazione di
proiettili ad alto potere perforante.
Negli anni a seguire varie volte è emerso il
problema sugli effetti dannosi che il DU poteva provocare nell’uomo,
coinvolgendo anche vari esperti nel campo della medicina oncologica.
All'inizio scetticismo sui pericoli ambientali indotti, che, però,
nel tempo e di fronte all'evidenza dei fatti è andato
progressivamente a diminuire lasciando aperti spazi di confronto
sulle evidenti patologie che nel tempo affliggevano i militari e la
popolazione civile, entrati a contatto con le polveri di DU.
Subito dopo la guerra del Balcani, in
occasione della quale Serbia, Bosnia Herzegovina e Kosovo furono
target NATO per attacchi con munizionamento al DU e con un palese
incremento di patologie oncologiche che affliggevano militari che
avevano operato in quelle ed altre aree in cui era stato impiegato
analogo materiale bellico ed erano sature di polveri sottili da
metalli pesanti conseguenti allo scontro armato (Somalia, Kuwait ai
confini con l'Iraq, ecc.), l’interesse della comunità
internazionale si è sempre di più interessato al problema,
inducendo moltissimi Paesi a produrre inequivocabili studi sulla
pericolosità del DU, spingendo anche le Nazioni Unite a finanziare
vere e proprie campagne di Survey per accertare e quantificare i
danni prodotti. Una sintesi dei principali documenti è riportata
nelle centinaia di pagine pubblicate ai link :
Solo l'Italia continuava e continua ad essere
scettica sugli effetti dannosi, con un approccio controcorrente
rispetto alla maggior parte dei Paesi della Nato. Fin dall'inizio,
almeno per quanto noto, addirittura senza emanare direttive sullo
problema. Solo nel novembre 1999 una prima circolare della Scuola
NBC delle FA italiane nella quale si faceva riferimento alla
pericolosità del DU, pur continuando in alcuni settori istituzionali
a mettere in discussione gli effetti dannosi per la salute. Una sorta
di autotutela che nel corso degli anni ha portato a rimbalzare il
problema fra varie Commissioni parlamentari, sostenendo costi elevati
e senza giungere a conclusioni certe, inequivocabili e concorrenti,
nonostante che nel frattempo i Tribunali italiani emettevano sentenze
a favore dei danneggiati.
L'ultima recentissima depositata il 5 marzo 2015
(1307/2010 del R.G.) nella quale in sintesi il Giudice sottoscrive
“l'inequivoca certezza” del nesso di causalità tra esposizione
alla sostanza tossica e la malattia insorte nei militari. Una
conclusione raggiunta dal collegio giudicante avvalendosi del parere
di esperti nazionali e facendo riferimento a documenti internazionali
a cui si è fatto cenno in precedenza.
Si rimane, quindi, perplessi di fronte al tentativo
istituzionale di non riconoscere gli effetti dannosi del DU ed
all'insistenza nel riproporre continuamente Commissioni parlamentari
che affermano tutto ed il contrario di tutto, forse per non deludere
alcuni vertici politici.
Viene, quindi, spontaneo domandarsi se una certa
classe politica italiana è più intelligente degli altri o se,
piuttosto, si cerchi di oscurare un problema che potrebbe essere
rilevante per qualcuno e per lo Stato.
Perplessità che solo la parola degli esperti
possono fugare e per questo propongo un'analisi del Dott. Stefano
Montanari, Direttore scientifico del Laboratorio Nanodiagnostics, ringraziandolo a nome di tutti coloro che
sono alla ricerca della verità ed a chi assolvendo al proprio dovere
di militare è incappato nei danni provocati dal DU.
Fernando Termentini, 28 maggio 2015
Il Dott. Montanari scrive :
Ormai è passata più o meno una decina d’anni da
quando, per puro caso, cercando materiale scientifico militare
capitai su un documento dell’esercito americano. Erano 21 pagine
risalenti al novembre 1978 compilate dall’Air Force Armament
Laboratory e si riferivano al progetto 06CD0101 svoltosi tra
l’ottobre 1977 e l’ottobre 1978 alla base militare di Eglin in
Florida.
Stando al documento, in quel centro erano stati
sparati proiettili allora sperimentali all’uranio impoverito e se
ne erano raccolte le polveri fini ed ultrafini generate dal fenomeno
ad alta temperatura. Le fotografie di microscopia elettronica che
corredavano il testo erano del tutto analoghe alle nostre di molti
anni più tardi ed erano inequivocabili: da quegl’impatti si
generavano particelle inorganiche piccolissime che gli autori del
testo, dopo aver descritto il comportamento in atmosfera del
particolato, sospettavano chiaramente essere molto pericolose per la
salute umana.
Io non sono un militare e non so come funzioni la
macchina interna, ma mi pare quanto meno curioso che quel documento
non sia arrivato sui tavoli italiani. Dopotutto siamo alleati degli
USA e, ancora dopotutto, quel documento io non l’ho trovato
scassinando una cassaforte o insinuandomi in un computer supersegreto
ma semplicemente cercando su Internet da casa mia.
Chiunque abbia un minimo, ma davvero un minimo, di
preparazione tecnica si sarebbe reso conto dell’aggressività di
quel tipo di armamento e, se proprio lo si voleva usare in barba al
fatto che quella roba permane nell’ambiente per omnia saecula
saeculorum, viaggia per distanze enormi e aggredisce popolazioni
lontane dalla guerra nel tempo, nello spazio e nel coinvolgimento
come nazione, avrebbe quanto meno dotato le proprie truppe di
strumenti di protezione personale idonei a non fare inalare le
polveri. Era davvero il minimo.
Invece, almeno per i nostri soldati, non fu così.
Noi andavamo alla guerra o, se si preferisce, in missione di pace,
totalmente scoperti e i nostri ragazzi respiravano giocondamente
quella roba. Impossibile che poi non si ammalassero e, puntuale, la
malattia e in non pochi casi la morte sono arrivate.
Spostandoci ora alle scrivanie dei funzionari, c’è
da chiedersi se qual documento sia arrivato o no. Se sì, come mi
pare ovvio, c’è da chiedersi chi sia colui attraverso le cui mani
è passato. A questo punto i casi sono diversi. Il primo è che quel
tale conoscesse l’inglese come l’Alberto Sordi di “Un Americano
a Roma”. Se è così, quello che occupava non era il suo posto.
Oppure, seconda possibilità, quello non aveva la preparazione
culturale per capire anche il più elementare dei concetti. Anche in
quel caso il suo mestiere sarebbe stato un altro. Terzo caso: si
trattava di un imbecille. E qui non c’è più da discutere. In
ognuna delle circostanze una grave responsabilità cade su chi ha
messo quel personaggio dietro quella scrivania.
Ora, spostandoci di nuovo, e stavolta in
laboratorio, da anni non esistono più dubbi scientifici. Noi
cominciammo a vederlo all’inizio degli Anni Novanta e lo vediamo
nei casi, casi militari o civili che siano, che analizziamo:
quelle polveri sono terribilmente patogene e una classe diffusa di
malattia è il cancro nelle sue tante varietà. L’organo colpito è
dovuto più o meno al caso, anche se il sistema linfatico, una specie
di sistema fognario dell’organismo, è la parte più spesso
interessata. Anche i più lenti e conservatori degli scienziati non
avanzano più dubbi da molto tempo: le polveri innescano le più
varie patologie. I malati ufficiali tra i soldati italiani sono
migliaia e i morti già centinaia. E se dico ufficiali è perché
malati e morti al di fuori di scartoffie, timbri e firme sono
certamente di più. Chi si ammala, infatti, non troppo di rado tiene
la sua condizione nascosta per non perdere il posto di lavoro. Sì,
perché i militari non scherzano: se non sei idoneo al servizio può
essere che ti buttino fuori e, se ci tieni a sopravvivere, ti dovrai
andare a cercare un lavoro, con tutto quanto questo comporti per un
malato specie nella congiuntura economica corrente.
Con la velocità che contraddistingue nel mondo
civile l’amministrazione della giustizia italiana, già una
trentina di sentenze sono state emesse: le malattie sono dovute a
quelle polveri di cui dicevo e il datore di lavoro, leggi lo Stato,
deve pagare un indennizzo, indennizzo che, trattandosi di condizioni
gravi, non è leggero. Questo dicono i tribunali.
Così lo Stato nostrano, notoriamente sul filo della
bancarotta, fa di tutto per sottrarsi ai suoi doveri morali in primis
e poi legali. E, allora, ritardi e opposizioni a dir poco stravaganti
sono la norma. Si arrivò persino, era l’ottobre 2011, a convocare
un manipolo di sedicenti scienziati presso la sede del CNR di Roma
per far dire loro, qualcuno forte di un italianissimo “lei non sa
chi sono io” e qualcuno di esperimenti grottescamente fanciulleschi
che nulla avevano a che vedere con la questione, che le polveri sono
innocenti come agnellini. La scienza conosciuta da secoli? Quella
delle scoperte attuali? Le leggi vigenti a livello internazionale?
Tutta roba da cancellare.
Io mi rendo conto che ora diventa impegnativo far
fronte al guaio che si è combinato, ma non abbiamo alternativa
possibile. Se lo Stato pretende una credibilità morale, credibilità
peraltro scossa a ripetizione in mille e una circostanza, non può
nascondersi vigliaccamente e soffiare un “arrangiati!” in faccia
a lavoratori che, per una superficialità che poi si è palesata
essere criminale, ha mandato al macello. Si sarebbe dovuto e potuto
evitare. Non lo si è fatto. E, allora, si paghi.
Dott. Stefano Montanari, Direttore scientifico
Laboratorio Nanodiagnostics, Modena
montanari@nanodiagnostics.it
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