giovedì 3 marzo 2011

Il sogno di democrazia in Africa settentrionale è ancora lontano

Quanto sta avvenendo in Libia lascia presagire che il Paese e tutta l’Africa settentrionale corrono il rischio di piombare in un futuro in cui il popolo sarà ancora una volta gestito con approcci lontani dal concetto moderno di democrazia. Una situazione simile a quella che caratterizzò l’Afghanistan alla fine del 1989 e rese possibile l’avvento radicale dei Talebani. Ancora peggio se, come avvenuto in Somalia agli inizi degli anni ’90, i libici fossero costretti a vivere in “uno Stato senza Stato”. Molti i segnali che inducono preoccupazione che ciò possa accadere sotto la spinta di organizzazioni islamiche radicali che probabilmente già stanno tentando di inserirsi e prendere il posto dei deposti presidenti. Un’involuzione che forse i tunisini, gli egiziani e i libici già intuiscono e dalla quale tentano di fuggire prima che sia troppo tardi. Passata l’euforia del primo momento, infatti, si stanno manifestando condizioni che non lasciano presagire un’immediata e auspicata evoluzione delle condizioni di vita in cui l’eguaglianza, la parità dei diritti e la libertà individuale possano prevalere su quella che fino ad oggi è stata “la ragion di Stato”. Equilibri sociali senza i quali non si potrà mai parlare di vere realtà democratiche in cui uomini e donne possano avere ruoli di pari dignità e concorrere allo sviluppo socio culturale della loro Nazione. Alle incertezze sociali si aggiungono quelle politiche dei nuovi Governi. In Tunisia i manifestanti seguitano a gestire le sorti del Governo provvisorio costringendo il Primo Ministro a dimettersi. In Egitto i militari al potere, fino ad ieri fedeli alleati degli USA da cui negli ultimi venti anni hanno ricevuto enormi finanziamenti, confermano i trattati di pace con Israele ma, nello stesso tempo autorizzano il passaggio di Suez a navi da guerra iraniane pronte a posizionarsi al largo delle coste israeliane per monitorare il paese con le loro attrezzature elettroniche. In Libia i veterani afgani reduci dalla Bosnia che nel 1997 avevano costituito il “Gruppo Combattente Libico” e si erano nascosti nelle montagne della Cirenaica, hanno gestiti per primi la rivolta a Bengasi ed a Tobruk. Gheddafi resiste e minaccia l’Occidente sul piano economico preannunciando di assegnare alla Cina ed all’India la gestione delle risorse energetiche. L’ONU, gli USA e l’Europa si limitano a sancire sanzioni nei confronti della Libia che, come avvenuto in altre occasioni, probabilmente saranno destinate a non essere rispettate o a penalizzare solo la popolazione. Il popolo vede allontanarsi la sperata democrazia, intuisce il rischio di una implosione e si prepara ad emigrare pur consapevole che Gheddafi è destinato ad essere sconfitto. Molti temono, infatti, che la Libia possa cadere nelle mani di pirati, predoni e terroristi “alquaedisti” come avvenne nella Somalia del dopo Siad Barre. Organizzazioni che posizionate sul Mediterraneo e non lontane da Suez, potrebbero stabilire un network terroristico con la pirateria somala che opera nel Golfo di Aden, ricattando le economie occidentali e minacciando la stabilità di tutto il bacino mediterraneo, in primis Israele e l’intera Europa.

3 marzo 2011 - ore 17,00

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