lunedì 29 dicembre 2014

Torna l’incubo del terrorismo e l’Italia è ad alto rischio


L’anno che volge al termine è segnato da segnali preoccupanti in quanto il terrorismo sta superando i confini delle aree conflittuali del Medio Oriente e del Centro Asia ed inizia a coinvolgere Paesi europei e l’occidente in generale.
 
Con ogni probabilità le azioni eversive saranno destinate ad aumentare nel tempo con un trend proporzionale ai successi militari che l’attuale Coalizione internazionale sta ottenendo sull’ISIS. Una pianificazione che è lecito supporre sia già iniziata con l’inserimento graduale di cellule eversive nei “Paesi target”, in primis attraverso i flussi migratori e poi con il rientro di occidentali simpatizzanti islamici,  che stanno combattendo nelle file dell’ISIS.

Probabilmente a differenza delle azioni eclatanti portate a termine da Al Qaeda, saremo destinati a fronteggiare atti di micro terrorismo affidati anche a  residenti nei Paesi scelti come obiettivo. Vicini di casa i cui figli magari frequentano le stesse scuole dei nostri ragazzi a cui saranno affidate azioni sicuramente più difficili da individuare e da fronteggiare rispetto ai classici atti eversivi che ci siamo abituati a conoscere.

Forme di terrorismo prepianificate, espressione di una lotta  politico/religiosa ai danni di Nazioni, governi,  gruppi etnici o  fedi  religiose,  attuate  con lo scopo di ottenere  effetti mediatici immediati e nello stesso tempo alimentare terrore nella popolazione residente.

E’ innegabile che la minaccia dell’estremismo islamico torna  ad essere attuale e forse più importante rispetto al passato, in quanto potrebbe trovare terreno fertile nel malessere sociale ed economico che sta coinvolgendo in particolare l’Europa, guadagnando collegamenti territoriali sia con i gruppi eversivi a sfondo politico sia con la malavita. Nell’immediato futuro potrebbe essere difficile distinguere il pericolo esterno da quello interno,  finalizzato a scuotere coloro che dalle strutture eversive vengono considerati “folla  renitente e sottomessa”.

La moderna tecnologia, peraltro,  offre mezzi  e  risorse  tecnologiche    che  consentono  di sviluppare in tempo reale   analisi   approfondite   delle   situazioni  geopolitiche  di  interesse ed ottimizzare  la  scelta  e  la  tipologia  del  possibile  target.  Oggi, l’analista del terrore” può, infatti,  effettuare scelte mirate attraverso i motori di ricerca di Internet, gestendo contemporaneamente le strutture operative e le  risorse logistiche precostituite nel mondo.

L’ information   warfare” è, infatti,  in continua evoluzione ed è destinata a rappresentare sempre di più una realtà concreta destinata ad essere l’origine di qualsiasi atto terroristico ed a sfociare anche nel cyber- terrorismo”, ossia un atto terroristico finalizzato ad intaccare la sicurezza nazionale e mondiale a livello informatico. Una minaccia globale, tecnica, transnazionale e soprattutto anonima che segnali provenienti da tutto il mondo indicano come già iniziata, anche se la maggior parte dei Governi sono impreparati ad affrontarla. Il moderno terrorista, invece,  avrà a disposizione mezzi di comunicazione sempre più sofisticati ed evoluti che gli consentiranno di colpire a “ragion veduta”, scegliendo il momento ottimale per portare a termine l’atto terroristico.

L’incubo del terrorismo, quindi, torna ad essere reale anche se si pensava che con la morte di Bin Laden la minaccia sarebbe destinata a scomparire. Un’ottimistica valutazione sconfessata da quando accade ogni giorno per opera dello Stato Islamico di  al- Baghdadi con le sue minacce ed atti concreti contro l’Occidente ed il mondo cristiano, proposte come un “obbligo etico” dell’Islam condiviso, peraltro, da centinaia di giovani occidentali pronti ad arruolarsi per combattere sotto il vessillo del Califfato. Giovani sicuramente esasperati dall’assenza di prospettive concrete che il mondo industrializzato sta loro negando  e che vedono sempre di più allontanarsi una prospettiva di prosperità per l’azione disgregante delle tecnocrazie mondiali, in particolare quella europea.

In questo scenario sicuramente l’Italia è sotto osservazione degli jihadisti dell’ISIS ed è diventata obbiettivo della strategia mediatica del Califfato perché Roma è la Capitale anche del cattolicesimo mondiale e quindi un atto terroristico nella Città Eterna avrebbe un’eco in tutto il modo cristiano con conseguenze assolutamente non prevedibili.

Un Paese, il nostro, che si è presentato agli occhi del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi  come uno Stato esitante, indeciso e poco credibile sul piano internazionale. Oggi diventato meta incontrollata di migliaia di migranti, dopo che a livello nazionale è stata sviluppata una gestione fallimentare dei flussi migratori. Terra di approdo di disperati convinti di poter in breve tempo raggiungere traguardi sognati per tutta la vita, destinati, invece, ad essere disillusi in breve tempo ed entrare a far parte della compagine degli scontenti, potenziali pedine del nuovo terrorismo. 

Una situazione quella italiana destinata a diventare ad alto rischio per il “buonismo” imperversante e gli errori di valutazione commessi da chi ora guarda con timore le possibili azioni di ipotetici jihadisti mescolati ai profughi. Un’Italia che non ha esitato ad inneggiare alle varie “Primavere arabe” dimenticando che le realtà da abbattere erano a ridosso dei propri confini, Paesi governati da dittatori che fino al giorno erano stati aiutati e sponsorizzati  dalle democrazie europee.

Un pericolo che emerge da recenti affermazioni del Capo della Polizia e del Ministro degli Interni. Pansa ammonisce che l’Italia rischia di importare con i migranti il fondamentalismo destinato a sciamare su tutto il territorio dell’Unione Europea. Alfano conferma che il migrante illuso nelle aspettative diventa un soggetto altamente disponibile a farsi reclutare.

Un rischio eversivo e non solo terroristico quello che l’Italia sta correndo, destinato a crescere sempre di più per il disagio sociale ed economico  che le giovani generazione italiane stanno vivendo e che potrebbero sentirsi minacciate dalla presenza dei migranti,   con una conseguente reazione o contro costoro od insieme a costoro verso lo Stato.

Una situazione dove lo jihadista incaricato di fare proseliti troverebbe facile manovalanza mentre quello incaricato di attuare l’atto terroristico disporrebbe della complicità interna di gruppi estremisti nazionali, insurrezionalisti con l’unico scopo di destabilizzare uno Stato incapace di garantire loro un futuro diverso dalla malversazione e dal malaffare.

Fernando Termentini, 29 dic. 2014 - ore 08,30

martedì 23 dicembre 2014

I due Fucilieri di Marina : il Bancomat Italia


Alcuni settimane orsono ebbi a scrivere in forma interrogativa se l’Italia fosse un bancomat per il terrorismo (http://fernandotermentini.blogspot.it/2014/11/italia-bancomat-terrorismo.html).

Oggi purtroppo sono portato ad affermare che l’Italia è un “Bancomat” e basta.

Una cassa continua non solo sotto il profilo economico ma anche per quanto attiene alla cessione della sovranità nazionale di cui ormai ogni altro Stato può appropriarsi senza suscitare le reazioni delle nostre Istituzioni, piuttosto pronte a chinare la testa e a barattare ciò che, invece, per diritto competerebbe.  

E’ infatti di oggi la notizia, riportata anche su un importante quotidiano nazionale, che i media indiani informano che “l’Italia offre scuse e risarcimento”.  In cambio, il rientro  e processo italiano per i due fucilieri”. Un’Agenzia di stampa che da Delhi ci dice della “disponibilità di pubbliche scuse da parte dell'ambasciatore italiano per l'uccisione dei due pescatori indiani uccisi ed un importante risarcimento per le loro famiglie, in cambio del rientro di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in Italia, dove sarebbero sottoposti a processo”.

Notizia riportata anche da un importante quotidiano “The Economic Times (ET)” , che assicura di aver consultato "fonti governative indiane del massimo livello". Racconto che  l’Ambasciata italiana,  come riporta l’Agenzia ANSA, non approfondisce rispondendo di non avere commenti da fare sul tenore dell'articolo, pubblicato all'indomani dell'ammissione da parte del governo indiano di avere allo studio una proposta italiana.

La stessa agenzia, però, precisa anche che il quotidiano indiano spiega che fonti del Ministero degli Esteri indiano  hanno ammesso che l'Italia ha presentato "alcuni elementi" per una soluzione amichevole della questione attraverso un negoziato fra i due governi. I responsabili indiani della sicurezza, però,  sembrerebbero essere contrari alla proposta e chiedano, ancora una volta,  che i due militari riconoscano le loro responsabilità  ed una volta condannati  in India potranno rientrare in Italia in base al Trattato bilaterale sottoscritto nell’agosto 2012, scontando la pena in Italia.

Continua, quindi, un baratto fondato su una ignominiosa contrattazione che pone come merce di scambio due cittadini italiani, due militari colpevoli solo di aver detto “obbedisco” quel famoso 22 marzo 2013, quando l’Italia li riconsegnò all’India rinunciando ai propri diritti di Nazione sovrana, omettendo di assicurare ai due militari il diritto dell’immunità funzionale e forse anche alcune garanzie costituzionali.  Un vero e proprio mercato in cui la merce è il futuro di due italiani come abbiamo anche avuto occasione di affermare recentemente (http://fernandotermentini.blogspot.it/2014/12/i-mercato-dei-maro.html) . 

Non ci sono parole di fronte a questa ennesima e palese abdicazione della sovranità nazionale. Se le cose stanno come viene riferito dalla stampa indiana è difficile capire su che cosa si basi la recente contrarietà espressa nei confronti dell’India dal nostro Presidente della Repubblica. Infatti l’India ancora una volta sta giocando il ruolo perché l’Italia lo permette.

Gridiamo vittoria per la liberazione di ostaggi italiani in mano dell’ISIS o di altre formazioni terroristiche, dimenticando di dire che il successo deriva dal pagamento di un riscatto e non da successi diplomatici o di intelligence ed ora continuiamo a percorrere la strada del  baratto riconoscendo danni, peraltro tutti da provare e comunque già pagati nel maggio 2012. Lo facciamo impegnando risorse economiche che sono degli italiani per raggiungere un successo che ci è dovuto,  quello della riconsegna da parte di Delhi dei due Fucilieri di Marina.

Forse l’Italia sta per annunciare una sconfitta mascherata da un successo. Se, infatti,  le notizie di ieri fossero confermate il nostro Governo è in procinto di riconoscere la responsabilità di quanto accaduto il 15 febbraio 2012  senza che l’India abbia ancora prodotto prove. Lo facciamo dopo che a due nostri militari da oltre 1000 giorni è stato negato dall’india senza prove il più elementare dei diritti umani quello della libertà personale e dopo aver accettato che Delhi abbia anche oltraggiato la Convenzione di Vienna minacciando a marzo 2013 l’immunità diplomatica dell’Ambasciatore  Mancini.

Se quanto affermato dall’Economist Time trovasse riscontro è difficile, anche. Condividere  la contrarietà espressa dal Presidente della Repubblica nei confronti dell’India. Piuttosto siamo noi italiani ad essere adirati con coloro che a livello istituzionale da oltre un anno ci prendono in giro affermando che è pronta l’internazionalizzazione della vicenda e l’avvio dell’arbitrato internazionale e poi invece viene portato avanti un baratto inaccettabile,  in cui la merce di scambio è rappresentata dal futuro di due cittadini italiani e delle loro famiglie.

Un’altra vergogna si aggiunge alla ignominiosa gestione della vicenda che si trascina da oltre 1000 giorni che deve lasciar pensare su come forse anche in mille altri settori della vita nazionale il rispetto dei cittadini non esiste più,  sostituito dalla convinzione che gli italiani siano una schiera di creduloni da abbindolare con promesse sconfessate dai fatti.

Per questo, forse,  il Presidente della Repubblica avrebbe ben ragione di contrariarsi e commuoversi di fronte ad un militare bistrattato dallo Stato che ieri - ancora una volta - ha avuto la fierezza di dire “nonostante tutto ancora mi fido delle Istituzioni” .

Fernando Termentini 23 dic. 2014 - ore 11,30

 

domenica 21 dicembre 2014

Il Sindaco Marino e le tradizioni romane


Lettera aperta al Sindaco Ignazio Marino

 Caro Sindaco,

il Natale si avvicina e Lei è riuscito anche a cancellare una delle più antiche tradizioni romane, quella delle “bancarelle” natalizie a Piazza Navona, in questo periodo luogo di aggregazione  di migliaia di romani e di turisti in visita alla Città Eterna.

Ha tolto ai bambini romani la classica passeggiata che si faceva in questi giorni per vedere Babbo Natale e la Befana e gustare qualche dolciume camminando fra papà e mamma. Una gioia che ogni ragazzino maturava nel tempo ed aspirava che si oggettivasse come premio del suo comportamento di scolaro e di bambino, per non rischiare di trovare nella calza dell’Epifania,  acquistata per l’appunto nelle bancarelle della Piazza,  un pezzo  di carbone ancorché dolce.

A distanza di decenni ricordo ancora quelle giornate emozionanti vissute a Piazza Navona con papà e mamma. Sono sicuro che come me lo ricorda chi nel tempo, prima come bimbo e poi come genitore e nonno,  ha vissuto questa suggestione ed ha  respirato l’aria di festa in un angolo di Roma,  già di per sé emotivamente eccitante.

Una decisione incomprensibile considerando quello che accade in quasi tutte le città italiane durante le feste natalizie. I mercatini fioriscono a Bolzano, a Trento fino a Palermo ed in Europa si moltiplicano fino ad arrivare alla lontana Tallin in Estonia.

Tutte le Capitali Europee ospitano nelle loro storiche piazze i mercatini che celebrano la tradizione natalizia, concentrandoli in luoghi significativi per ciascuna città e non polverizzandoli nei rivoli delle periferie. Iniziative che peraltro conferiscono lustro alle caratterizzazioni artigianali locali con un ritorno positivo per l’economia.

Forse Lei non ne è a conoscenza e quindi ne cito alcuni a titolo di esempio per dimostrarLe che forse la Sua decisione non è delle migliori anche su suffragata da una sentenza del TAR.

Praga espone prodotti unici come le decorazioni natalizie ceche, i tradizionali biscotti natalizi, le tovaglie, gli incensi e il pot-pourri natalizio chiamato “purpura”. Ma anche giocattoli in legno, artigianato locale, accessori d’abbigliamento, candele profumate e sapone artigianale, stand gastronomici dove è possibile gustare alcune tra le pietanze tradizionali locali cucinate sotto gli occhi del visitatore.

Sofia ospita manifestazioni e stand di artigianato locale. Oggetti in legno intagliato, in rame, in ferro battuto e in cuoio, bambole di tessuto, sculture in legno, terrecotte in ceramica, essenza di rose, kilim bulgari.

Parigi con uno dei suoi più importanti mercatini, quello di Place de la Defence.  350 chalet in legno dove sono esposte tutte le varietà gastronomiche ed artigianali francesi.

Londra con moltissimi mercatini fra cui quello famoso di Southbank Centre Christmas Market collocato tra il centro di Southbank ed il London Eye, con 50 bancarelle di prodotti tipici ed artigianali e dove si trova il “Villaggio segreto di Babbo Natale” (Santa’s Secret Village) dove i bambini possono incontrare appunto Babbo Natale.

Bruxelles, Plaisirs d'Hiver con il suo carico di eventi: il villaggio di Natale, la grande ruota panoramica e molte altre attrazioni. Dalla Grand-Place al Marché-aux-Poissons con chalet tutti diversi, una pista per gli slittini, una di pattinaggio, la grande ruota panoramica e una sorprendete parata luminosa! 

Barcellona con il  mercatino di Natale che si svolge nella Plaça de la Seu della città catalana, famosa per la sua cattedrale.

Mosca che pur con date non coincidenti a quelle delle capitali cattoliche  in quanto di religione russo-ortodossa (Natale Ortodosso ricade il 7 gennaio), ospita famosi mercatini di Natale proprio quando in Italia le festività natalizie sono concluse. Nonostante il clima all’aperto molti gli stand e gli chalet con una grande pista di pattinaggio, frequentata da sportivi e da semplici spettatori.

Per non parlare dei mercatini di Natale di Malmö in  Svezia, Christkindlimärt in Svizzera, castello di Hellbrunn in Cornovaglia a Salisburgo in Austria,  Colmar in Alsazia (Francia), Gengenbach cittadina della Foresta Nera dove nella Piazza del Municipio è allestito uno dei mercatini di Natale più belli della Germania, Rathaus, Innsbruck, Austria, ecc.
Semplicemente scandaloso, quindi,  quello che succede a Roma. Negate le bancarelle tipiche del Natale  a Piazza Navona nel dispregio di una tradizione forse centennale, ma autorizzati mercatini rionali dai singoli Municipi, magari affidati alla gestione di “note Cooperative”.  

Piazza Navona chiusa per gli storici e tradizionali chalet ma “piazza aperta” all’invasione di venditori anche abusivi che allestiscono giorno dopo giorno un suck improvvisato nelle migliori tradizioni islamiche ed africane, vendendo prodotti che nulla hanno di italiano, con un approccio che desterebbe meraviglia anche a Luanda in Angola o a DJamena in Chad. 

No a piazza Navona ma sì alle schifezze che riempiono atre piazze illustri, come ad esempio Piazza della Chiesa Nuova  con i capolavori del Borromini umiliati dai tappetini dei “vù cumprà”  o Piazza di Porta San Giovanni con lo spazio antistante alla cattedrale di Roma invaso da venditori improvvisati di merci per lo più contraffatte.  

Signor Sindaco le tradizioni fanno parte della cultura e della Storia, Lei non si può permettere di cancellarle con un colpo di spugna offendendo la tradizione con cui hanno convissuto i cittadini romani. Perché non ha parlato nel suo programma elettorale di questa e di altre simili iniziative estemporanee  prese a danno della cittadinanza di Roma, forse temeva di non essere eletto ? 

Lei Sindaco Marino, molto spesso nel suo dire,  chiama Roma la “nostra città”. Un “plurale maiestatis” forzato, perché questa  città che non Le appartiene, non le ha dato i natali e Lei non la conosce. Non è la Sua città ma solo la sede del Comune di cui è Sindaco. E’ invece, nel bene e nel male, la città dei romani con le sue tradizioni e la sua cultura note in tutto il mondo e che Lei non può cancellare, peraltro senza motivi comprensibili. Piazza Navona senza chalet di Natale trasformata in suck all’aperto piacerà a Lei ma non ai romani e Lei non può negare ai cittadini che amministra di vivere momenti che li hanno visti protagonisti da bambini e da adulti !  

Buon Natale  

Fernando Termentini, 21 dicembre 2014 - ore 14,00

 

mercoledì 10 dicembre 2014

I due Fucilieri di Marina, un Manager di origine indiana ci dice


Ho avuto occasione  ed il piacere di conoscere Hari Iyengar, Manager di origine indiana  al quale ho proposto un’intervista sulla vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Hari si è subito dimostrato disponibile e di buon grado ha risposto a cinque domande,  esprimendo il pensiero di colui che ben conosce la realtà del suo Paese di origine.
 Prima di tutto presentiamo Hari Iyengar. Ha 48 anni, è un professionista britannico di origine indiana che vive tra Londra, l’India e l’Italia. Opera con gruppi di investitori istituzionali e privati nel settore del Private Equity. Laureato presso la London School of Economics con Master a Oxford, ha conseguito la qualifica di Chartered Accountant a Londra.
Di seguito le domande al dott. Iyengar che propongo senza alcun commento per consentire a ciascuno di trarre le proprie conclusioni.
Dott. Hari Iyenger Lei che conosce bene la cultura e le tradizioni indiane essendo originario del Subcontinente, ci può esprimere un  suo pensiero sulla vicenda  dei due Marò e sui motivi del comportamento abbastanza ambiguo del Kerala immediatamente  a ridosso dei fatti  accaduti in  quel famoso 15 febbraio 2012 ?

1.    In India si è fortemente inclini ad assicurarsi che ciascun cittadino sia trattato in modo attento, equo e imparziale. In un paese di oltre un miliardo di persone, moltissime delle quali vengono considerate “vulnerabili”, il governo sente il dovere di accertarsi che all’uomo comune, anche al più povero, siano garantite protezione e giustizia ad ogni livello. Ciò potrebbe spiegare la reazione iniziale, probabilmente innescata da questa esigenza fondamentale che è da sempre una caratteristica dell’India che, pur essendo la più numerosa democrazia del mondo, è anche il paese dove almeno un terzo della popolazione vive senza avere accesso ad alcuni servizi essenziali. Nel caos generatosi la folla, prima di venire a una piena conoscenza dei fatti, ha reagito con veemenza e le autorità hanno controllato la situazione con risolutezza. Un incidente che va ora interpretato come parte di un processo destinato poi a normalizzarsi, ma che in un primo momento ha senz’altro dato adito a una ambigua lettura.

Pensa  che abbia influito sull’intera vicenda la posizione del Premier Singh prossimo alle elezioni e delle origine italiane della Sonia Ghandi, imbarazzati a giustificare alla popolazione  qualsiasi decisione di un possibile compromesso politico con l’Italia per risolvere il problema ?
2.     Temo che questo non sia mai stato un tema centrale a livello elettorale nazionale, anche se ha giocato sicuramente un ruolo di un certo rilievo nelle elezioni locali in Kerala. Le ultime elezioni nazionali in India sono state in gran parte incentrate sui temi dello sviluppo economico e delle politiche sociali tese all’integrazione delle fasce più deboli ed emarginate. Il nuovo governo di Delhi, guidato da Modi, può contare su una grossa maggioranza e il suo obiettivo è quello di rinsaldare il paese dopo un periodo di forte sviluppo connotato però da alti e bassi che hanno spesso causato momenti di  sfiducia nei confronti del precedente governo di Singh. Il paese ha una popolazione molto giovane, più del 70% dei lavoratori ha meno di 35 anni, e si respira un’aria di grandi speranze per un futuro più roseo sia dal punto di vista sociale che economico. Come dicevo, purtroppo non credo che la questione dei Marò sia tra le prime preoccupazioni del governo di Delhi. Il Partito del Congresso, presieduto da Sonia Gandhi, se vuole essere in grado di affrontare le istanze che il futuro prospetterà, dovrà impegnarsi a ricostruire la propria leadership in modo tenace e strutturato. Ciò detto, è anche vero che la lealtà di Sonia Gandhi verso l’India è stata spesso messa in dubbio dai suoi detrattori proprio a causa delle sue origini straniere. Ma Sonia Gandhi, al di là dei suoi natali, è indiana e la sua storia personale è indissolubilmente legata a quella recente dell’India. Tuttavia, in momenti come questo si deve esprimere in modo inequivocabilmente indo centrico. Cosa che ha fatto.

Ritiene che le vicende di tangenti ancora non del tutto chiarite che hanno coinvolto Finmeccanica e personaggi di spicco indiani possano avere influito negativamente su una rapida soluzione del problema del rilascio dei  due Marò ?
3.    Non mi lascerei andare a troppe congetture sui legami tra l’operazione Finmeccanica e il problema dei Maro’. Finmeccanica è presente sul mercato indiano da molti anni, là dove i rapporti e le varie istanze toccano sia la politica che il mondo degli affari. Si tratta di una realtà multidimensionale delineatasi e consolidatasi nel corso di molti anni. Quella dei Maro’ è invece una questione giuridica e come tale la tratterei. Il sistema giudiziario indiano è solido e lo è anche per quanto concerne la parte riguardante il Diritto Internazionale. Quello che sembra mancare è piuttosto una più stretta collaborazione tra le autorità italiane e quelle indiane dove entrambe le nazioni hanno avuto pesanti reazioni in seguito a quello che è sicuramente stato uno sciagurato incidente. Sembra che gli approcci siano diventati più conflittuali che collaborativi. Sicuramente la chiave per una soluzione si troverà cercando punti di accordo, anche se da posizioni legali diverse. Il dialogo su questo tema deve essere ricostruito in modo sistematico e strutturato, evitando escalation di qualsiasi natura.

Crede che l’India quando ha rimandato in Italia i due Fucilieri a Natale 2012  e per  espletare il loro dovere elettorale a febbraio 2013, abbia sperato che l’Italia non li rimandasse indietro togliendo il Governo indiano da un imbarazzo forse provocato proprio da una scarsa trasparenza del Governo del Kerala ?
4.    A questo punto non cercherei di indovinare quale fosse il pensiero dell’India. Credo che il governo indiano abbia dimostrato una certa sensibilità nei confronti dei due fucilieri, lasciandoli tornare in patria per brevi periodi. Questo trattamento non costituisce certo la prassi in India per i suoi stessi cittadini. Come ha detto Modi: “Gli indiani in attesa di giudizio non hanno nemmeno il permesso di andare al funerale della propria madre.” Tornando al fulcro della domanda, ovviamente per gli indiani la situazione era chiara e limpida. Trovo invece strano che, all’epoca, il governo italiano non si sia mostrato più risoluto nel prendere una posizione più ferma dal punto di vista legale, approfittando anche del maggiore impatto e della visibilità di cui il caso godeva in quei giorni. L’eco va diminuendo nel tempo e le tempistiche sono sempre importanti, più passa il tempo e più diventa difficile mantenere accesi i riflettori su questo caso.
Recentemente il Premier MODI ha dichiarato in Birmania che l’India per le problematiche che riguardano la pirateria marittima deve attenersi alle regole internazionali ed alle Convenzioni delle Nazioni Unite. Lo considera un messaggio rivolto anche all’esitante Governo italiano ?

5.    È un messaggio per il mondo intero. Modi è un uomo molto diretto ed è un leader che opera a livello globale, se avrà qualcosa da dire all’Italia lo farà in modo franco ed esplicito.
Pensa che se qualcuno in Italia ai massimi vertici Istituzionali, prescindendo dalle telefonate e mezze parole finora scambiate con il Governo indiano, contattasse MODI o al limite lo andasse  a trovare a Delhi o lo invitasse in Italia il problema potrebbe trovare una soluzione rapida e soddisfacente  per ambedue le Nazioni. In sintesi se intervenisse o fosse intervenuto direttamente il Presidente della Repubblica ritiene  che la vicenda sarebbe già stata chiusa?

6.    Se il Presidente Napolitano, verso la fine del suo mandato, facesse uno sforzo molto speciale, magari una visita a Delhi su questo preciso argomento, l’India terrebbe il gesto in grande considerazione. Napolitano è una figura senior, molto rispettata, super partes, una personalità che nella cultura indiana verrebbe accolta con molto riguardo. In questo modo penso che i due paesi potrebbero cominciare a cooperare in modo più proficuo per tutti. Eventuali interferenze esterne, come ad esempio l’intervento del “Security Council”, potrebbero far alzare la temperatura mentre un approccio più delicato e discreto creerebbe i presupposti per una risoluzione.
 

Grazie Hari della Sua disponibilità e di averci fatto un sintetico ma chiaro quadro di situazione.  

Fernando Termentini, 11 dicembre 2014 - ore 10,00

martedì 9 dicembre 2014

Il Mercato dei Marò

Il Mercato dei Marò”  è un'opera che narra la gestione di un avvenimento internazionale tutto italiano, come lo definisce  lautore del libro lAvvocato Mauro Mellini, proponendoci l'analisi di una vicenda assurda, forse unica nella storia moderna di uno Stato di diritto quale dovrebbe essere l'Italia, Patria di antiche tradizioni giuridiche, storiche e culturali. 

 Un testo che stigmatizza lassenza dello Stato nell'affrontare eventi  che dopo  più di 1000 giorni ancora presentano punti oscuri..

E'  la storia evidente di come lItalia abbia  delegato le proprie funzioni sovrane ad uno Stato Terzo, affidandogli la gestione di unazione giudiziaria indebita nei confronti di due militari italiani, due Sottufficiali della Marina Militare italiana, Fucilieri della prestigiosa Brigata S.Marco, incaricati dal Parlamento di assolvere compiti di contrasto alla pirateria marittima.

Un racconto che ci propone un dramma che coinvolge due cittadini italiani e le loro famiglie e che cela verità nascoste”, quelle che il 22 marzo 2013 hanno suggerito al Governo Monti di dare corso allestradizione passiva di due nostri connazionali, consegnandoli nelle mani di un Paese in cui è prevista la pena di morte. Unazione di contrasto dissuasivo, quella dei due Sottufficiali incaricati di garantire protezione anti pirateria ad  un a nave battente Bandiera italiana  ed in navigazione in acque internazionali,  durante la quale sarebbero stati uccisi due poveri pescatori indiani secondo quanto affermato, ma mai provato, dallo Stato Federale indiano del Kerala.

Il Mercato dei Marò ci propone pagina dopo pagina questi ed altri dubbi a cui dopo 1000 giorni non è stata data ancora una risposta logica e convincente. Piuttosto confermano come lo Stato stia negando qualsiasi tutela a due suoi cittadini, peraltro titolari di uno  "status" particolare, quello di militari in servizio. Perplessità mai chiarite fin dal giorno successivo ai fatti, il 16 febbraio 2012, quando  un Comando Militare acconsentì che lArmatore della nave  autorizzasse la petroliera a rientrare  in acque territoriali indiane, consegnando di fatto  i due Fucilieri di Marina  alla giurisdizione indiana.  Un atto di assenso dato sulla linea di Comando Operativo mai chiarito e reso noto solo il 17 ottobre del 2012 dallallora Ministro della Difesa Gianpaolo Di Paola, Ammiraglio in quiescenza. Un chiarimento ufficializzato dal Ministro dopo  8 mesi dagli eventi, perché costretto a rispondere ad una precisa interrogazione parlamentare.

Un testo quello scritto dall'Avvocato Mellini, che propone anche spunti di carattere giuridico che aiutano a comprendere come la vicenda dei due Fucilieri di Marina, nata da disposti legislativi nazionali in parte imprecisi, è portata avanti dalle Istituzioni senza alcun riferimento al Diritto Internazionale ed alle Convenzioni sul diritto del mare. Un'analisi anche delle versione dei fatti,  quella indiana e quella italiana, che aiuta  ad individuare  i lati oscuri di una vicenda che coinvolge da oltre 1000 giorni i  due Marò.

Una storia assolutamente italiana e peculiarmente italiana nel momento che improvvisamente agli eventi si accavallano notizie di tangenti internazionali. Fatti che coinvolgono, peraltro, un'importante realtà industriale italiana, Finmeccanica e che hanno portato a livello istituzionale di  considerare Massimiliano Latorre e Salvatore Girone  merce di baratto con lIndia, con un approccio che l'autore definisce a ragione "un vero e proprio atto di tradimento.

 Il Mercato dei Marò”, non è, quindi, un testo solo narrativo, ma una vera e propria denuncia   della scarsa efficacia di come le Istituzioni stanno gestendo una vicenda di risonanza internazionale. Potrebbe essere il testo della scenografia di una tragicommedia  in cui protagonisti e comparse si scambiano i ruoli senza che nulla accada. E, invece, il resoconto di una storia recente  ancora non terminata dominata dall'ipocrisia con cui è stata gestita la sorte di due nostri concittadini ai vari livelli istituzionali fino ad arrivare ad una non meglio connotata posizione del Presidente Napolitano quale Capo supremo delle Forze Armate.

Un testo che denuncia anche lassenza inaccettabile dellEuropa assolutamente disattenta alla sorte dei due cittadini europei proponendo la triste realtà che una volta ripartiti i due Marò, restano, invece, "affaristi e cialtroni.

Il Mercato dei Marò è, in sintesi, la storia di un baratto senza fine, dove la merce di scambio non sono i sacchi colmi di grano o le gerle piene di frutta di un tempo. Piuttosto, due uomini, due cittadini italiani colpevoli di servire lo Stato, ma dallo Stato abbandonati per motivi ancora occulti.  Un mercanteggiare che dura ormai da più di 1000 giorni e dopo le dimissioni dell'Ambasciatore Terzi e la fine del Governo Monti si connota, sempre di più, come una "contrattazione di fronte ad un bicchiere di thè", nelle migliori tradizioni di un Suck  arabo.   Qualcosa di unico nella storia moderna e forse irripetibile, dove emergono, come ben delineato nel testo,  figure politiche italiane che riconoscono di fatto la giurisdizione indiana "concordando" una modesta sentenza  da scontare in Italia. "Un premio" per i due militari per aver adempiuto al loro dovere nel rispetto delle  regole dingaggio  e da una necessità di legittima difesa".

Uno scenario fosco in cui emergono possibili interessi  personali anche di ex Ministri il cui parere fu determinante quando fu deciso di restituire all'india Massimiliano Latorre e Salvatore Girone quel fatidico 22 marzo 2013, oggi titolari di cariche di prestigio o prossimi ad assumere leadership politiche.
Nel frattempo, Il "mercato" continua a danno della sovranità nazionale italiana e propone al mondo un'Italia sempre più timida nell'affermare i propri diritti ed a tutelare quelli dei propri cittadini. 
 I due Marò sono lontani dalla loro Patria e dalle loro famiglie da quasi tre anni, colpevoli solo di aver detto  "OBBEDISCO" e, questo, non è più accettabile. E' tempo, invece, che il baratto in corso sia messo in liquidazione e l'Italia si riappropri delle sue tradizioni storiche, culturali e giuridiche, con soluzioni anche suggerite dal "Il Mercato dei Marò".

Dobbiamo essere grati all'Avvocato Mauro Mellini per essersi voluto cimentare in un impegno gravoso affrontandolo senza compromessi, ma privilegiando la massima trasparenza ed onestà intellettuale, tipica di coloro che rifiutano il compromesso privilegiando il diritto. Grazie Mauro !

Fernando Termentini, 9 dicembre 2014 - ore 14,00

( Mauro Mellini “Il mercato dei Marò” – Bonfirraro Editore pag. 128 euro 14,90).

martedì 2 dicembre 2014

ISIS annuncia di disporre di “una bomba sporca”

Agli inizi di ottobre è stato affrontato il problema di un possibile impiego da parte dell’ISIS di IED (Improvised Explosive Device) “sporchi”, presentandolo come una minaccia possibile e non un’ipotesi remota.  (http://fernandotermentini.blogspot.it/2014/10/lisis-e-la-minaccia-di-attentati.html).

 A distanza di due mesi un’Agenzia stampa Nazionale (AGI, 1 dic.) ci informa che “un jihadista britannico ha rivendicato sul web che Isis sarebbe in possesso di una cosiddetta "bomba sporca", realizzata con 40 kg di uranio trafugato dai depositi dell'università di Mosul”, notizia riportata anche dal “ Daily Mail”.

Effettivamente, il “The Indipendent” a luglio annunciava che l’Ambasciatore Mohamed Ali Alhakim presso le Nazioni Unite aveva informato che gli jihadisti avevano trafugato materiali nucleari utilizzati per la ricerca scientifica presso una università nel nord dell’Iraq. In particolare si parlava di quasi 40 chilogrammi (88 libbre) di derivati di uranio che erano conservati giustappunto a Mosul.

Da anni si parla di possibili “IED sporchi”  ma fino ad ora non si aveva la certezza che i gruppi eversivi potessero disporre di sostanze non convenzionali per incrementare gli effetti convenzionali degli ordigni. La notizia, invece, del materiale radioattivo trafugato a Mosul rende concreta la possibilità che nel mondo esistono possibili fonti di approvvigionamento di agenti NBC (Nucleari, Biologici e Chimici) facilmente accessibili dalle le forze jihadiste. Agenti biologici come l’antrace o il botulino prodotto nei segreti laboratori di Saddam Hussein. Sostanze radioattive provenienti dagli arsenali nucleari della disciolta Unione Sovietica od anche  scorie radiologiche per uso sanitario accantonate negli scantinati di ospedali distrutti in Iraq, in Siria ed anche in Bosnia Herzegovina. Aggressivi chimici contrabbandati verso l’Occidente passando da Paesi del Terzo Mondo, fra quelli che notoriamente rappresentano l’approdo finale dei rifiuti tossici provenienti dalle nazioni industrializzate o dai vecchi arsenali militari ormai in disuso.

Un "bomba sporca", infatti,  non è altro che un ordigno realizzato con esplosivo convenzionale circondato da uno strato più o meno consistente di scorie radioattive anche recuperate da vecchie macchine a raggi X per uso medico o con l’aggiunta di sostanze chimiche letali anche di uso civile. Materiale sicuramente  non in grado di innescare un'esplosione nucleare od una rilevante nube tossica chimica, ma capace di far propagare un fall-out contaminando vaste aree. Un IED  che avrebbe effetti devastanti se fatto detonare in una grande città.

Attacchi poco probabili in tempi passati per le difficoltà logistiche di reperimento dei materiali necessari. Più verosimili, ora,  nel momento che le forze dell’ISIS  possono disporre di siti di approvvigionamento di materiali non convenzionali e possono fare riferimento sulla disponibilità di simpatizzanti “occidentali” che potrebbero possedere adeguate  professionalità specifiche. Condizioni che aumentano esponenzialmente il rischio che quello che un tempo era considerato poco probabile e che, oggi, invece, è qualcosa di fattibile.  

Peraltro, per  ottenere effetti devastanti non occorrono grosse quantità di materiale. Qualche litro di aggressivo chimico o qualche chilogrammo di sostanze radioattive sono sufficienti ad aumentare in maniera esponenziale la potenzialità di un IED.

Alla minaccia di  IED “sporcati” con materiale radioattivo o chimico si potrebbe ripresentare sullo scenario mondiale anche la minaccia batteriologica. Qualcosa che ha origini lontane nel tempo, quando a metà del diciottesimo secolo coperte infettate con il vaiolo furono distribuite ai pellirosse e gli inglesi, in Nuova Zelanda, resero disponibili per i Maori gruppi di prostitute infettate dalla sifilide. Oppure,  quando in Cambogia e nella Corea del Nord fu fatto ricorso alla "pioggia gialla" ottenuta con una micotossina ricavata dal fungo Fusarium. Oggi, potremmo avere kamikaze infettati da malattie virali ad elevata propagazione, tipo Ebola e vaiolo.

L'allarme rilanciato in questi giorni dovrebbe, quindi, rappresentare materia di attento monitoraggio a livello istituzionale in quanto non più argomento immaginario ma eventualità possibile. Potrebbe, infatti,  essere già iniziata la fase di un terrorismo non violento, ma subdolo, difficile da fronteggiare se non si è preparati a farlo.

Innanzi tutto, sarebbe auspicabile la gestione di un’informazione ufficiale a favore dell’obiettivo primario di ogni attacco terroristico, la popolazione civile, proponendo, se del caso, modelli di difesa mutuati in chiave moderna da quanto attuò Israele durante la guerra del Golfo quando era minacciata dagli attacchi non convenzionali di Saddam Hussein.

Non diffondendo panico, ma gestendo il problema giorno dopo giorno con la massima trasparenza, affidandosi a  campagne di comunicazione costruttive mirate a divulgare le procedure di difesa e a far accettare dalla gente eventuali misure restrittive anche  della libertà personale, che potrebbero essere messe in atto a garanzia della sicurezza collettiva.

Iniziative coordinate a livello istituzionale, che concorrerebbero sicuramente ad abbattere il successo della campagna mediatica con la quale il Califfato propone la minaccia terroristica   non convenzionale e nello stesso tempo aiuterebbero a sensibilizzare la popolazione in modo che, all’occorrenza,  sia in grado di fronteggiare il pericolo.

Fernando Termentini, 2 dic 2014, ore 14,00