martedì 30 settembre 2014

MODI : chi era costui ?




l nuovo Presidente dell’India secondo alcuni rappresentanti istituzionali italiani dovrebbe gestire nell’immediato futuro la sorte dei due nostri Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone con un approccio “accondiscendente” e restituirli all’Italia nel breve periodo.
 

Da NY la Ministro degli Esteri Mogherini ci rassicura. In occasione di una conferenza stampa, infatti, ci informa "sono impegnata io personalmente insieme al presidente del Consiglio e il ministro della Difesa, anche perché i mesi a seguire saranno cruciali".
 
Ottimismo già palesato dal Presidente Renzi quando attraverso l’ANSA ha riferito di una sua telefonata con MODI e che Roma ha trovato una sponda nel premier indiano che si è detto d'accordo con Renzi sulla necessità di "mantenere un dialogo ravvicinato a tutti i livelli". 

Parole che si sovrappongono alle migliaia di espressioni di rassicurazione che ormai da quasi tre anni ci vengono propinate dai responsabili istituzionali italiani dopo l’assurda decisione del Governo Monti di rimandarli in India il 22 marzo 2013.

Gli unici risultati fino ad ora ottenuti sono quelli di essere riusciti ad ottenere che Massimiliano Latorre trascorra un periodo di convalescenza in Italia dopo il grave malanno che lo ha colpito,   e che  Salvatore Girone continui a rimanere in India vivendo da solo le giornate sicuramente con lo stress e l’ansia del caso, mentre i Tribunali indiani dimostrano come la cultura giuridica indiana sia quella di rinviare le udienze piuttosto che decidere.

Peraltro, la molta fiducia in Modi palesata in Italia a livello istituzionale ed anche da importanti media nazionali,  contrasta con l’approccio tenuto dall’Unione Europea e dagli USA nei confronti di Narenda, guardato, invece,  sempre con sospetto e sanzionato nell’arco della sua militanza. Ma chi era effettivamente  costui ?
 
Narenda Modi è stata sempre una figura molto controversa. Da giovane militava nel  partito indiano di estrema destra Rss, Pronto ad accettare durante la campagna elettorale l’appoggio degli estremisti indù, oggi alleati del suo partito nazionalista Bjp.

È stato sempre molto ambiguo e pragmatico anche di fronte a gravi evidenze, come l’eccidio di circa 2000 persone, musulmani e cristiani, avvenuto nel 2002 a Godhra, nello Stato del Gujarat di cui era governatore.

In quell’occasione ebbe a dire: "Non ne ho mai sentito parlare", suscitando per questo la reazione della Ue e degli Usa, che lo definirono "persona non gradita".

Personaggio controverso che forse solo il nostro Premier guarda con aspettativa quando si è detto  "molto fiducioso nel nuovo governo indiano" , dimenticando forse che, invece, durante la campagna elettorale Narenda Modi accompagnava le promesse di  miracoli economici con l’intenzione di usare il  pugno di ferro contro i nostri marò.  

Forzatamente riabilitato agli occhi della UE e degli USA dopo la sua elezione a Presidente dell’India,  il passato di Modi, però, torna  improvvisamente alla ribalta  in quanto una  Corte Federale di New York ha spiccato un mandato di comparizione nei confronti del primo ministro dell'India accusato di violazione dei diritti umani e di genocidio nei confronti delle minoranze musulmane.  

L’ANSA da NY ci informa che il New York Times ha dato notizia del provvedimento formalizzato dopo una denuncia presentata da due cittadini indiani residenti negli Usa per i fatti del 2002 in cui il Premier indiano Governatore del Gujarat viene indicato come "responsabile di assassinio, violenza organizzata ed evacuazione forzata su larga scala" ai danni della popolazione di minoranza musulmana.  

All'epoca, peraltro, ricorda il New York Times, anche gli Stati Uniti si dissero convinti delle responsabilita' di Modi, al punto che nel 2005 gli rifiutarono il visto di ingresso nel Paese. 

E’ spontaneo, dunque, chiedersi come italiani quanto potrà essere  affidabile ed risolutivo  il ruolo di MODI nella vicenda dei nostri marò, ostaggio dell’India oltre 900  giorni. Forse ce lo potrebbero spiegare il Premier, La Ministro degli Esteri e quella della Difesa che ancora oggi rassicurano di aver preparato gli atti per avviare un arbitrato internazionale ma preferiscono prima percorrere la strada di una soluzione diplomatica, nonostante che lo stesso Modi abbia affermato che "la giustizia indiana e' libera, giusta e indipendente".

Emerge, quindi, il dubbio se non sia azzardato continuare a percorrere la strada del dialogo con una controparte presieduta da chi di fronte ad un eccidio etnico / religioso avvenuto nello stato che governava  ebbe a dichiarare "Non ne ho mai sentito parlare", suscitando le reazioni degli USA e della  UE.

Fernando Termentini, 30 sett. 2014, ore 12,00

mail@fernandotermentini.it

 

 

 

 

giovedì 25 settembre 2014

Il rapimento : una minaccia jihadista destinata a continuare


La minaccia del rapimento di personale occidentale da parte di gruppi eversivi islamici ha sempre rappresentato un elemento di forza per i gruppi terroristici internazionali per esercitare un’azione ricattatoria sul piano politico nei confronti dei Paesi di origine del rapito e soprattutto per garantirsi le risorse economiche per portare  avanti la jihad.

La storia recente ci riporta che l’obiettivo privilegiato del “rapimento per scopi eversivi” sono gli operatori volontari delle ONG ed i giovani giornalisti freelance che percorrono i territori di guerra. Giovani motivati da scopi umanitari i primi ed i secondi  dall’aspirazione di poter fare lo scoop della propria vita che rappresenti il trampolino di lancio per le future attività professionali.

Peraltro, costoro, nella quasi totalità dei casi,  arrivano sul campo privi di una preparazione specifica sul concetto di sicurezza e su come “leggere” gli indicatori di situazione per ridurre al minimo il rischio di rapimento.

Ma non solo i giovani rappresentano l’obiettivo, ma anche “firme del mondo dei media” che azzardano senza tener conto degli avvertimenti che possono giungere dalle varie fonti locali come avvenuto, anche recentemente,  in Afghanistan, in Iraq ed in Siria.  

L’ISIS, nonostante possa fare riferimento su enormi risorse economiche ricavate dalla vendita e raffinazione di contrabbando del petrolio, sta dimostrando di prediligere il ricorso al rapimento come termine di ricatto nei confronti dell’Occidente e di alcuni Paesi anche islamici. Nell’ultima settimana vari episodi lo confermano.

Il 20 settembre ha rilasciato  49 diplomatici turchi che aveva rapito a Mosul in  Iraq in cambio di prigionieri appartenenti alle forze dei militanti islamici.

Il 22 settembre Jund al-Khilifah, un gruppo che si è distaccato da  al Qaeda nel Maghreb islamico per unirsi allo Stato islamico ha rapito nella regione della Cabilia algerina il cittadino francese Herve Gourdel. Due giorni dopo il 24 settembre l’ostaggio è stato decapitato ed il video dell’esecuzione diffuso su Internet .

Sempre il 22, l’ISIS ha costretto un altro ostaggio, il britannico John Cantlie, a criticare in un video messaggio la politica USA nei confronti dello Stato islamico.

L’uccisione degli ostaggi sta dilagando. Non soltanto l’ISIS  ma anche altri gruppi estremisti stanno dimostrando di non voler scegliere la strada del compromesso ed uccidono i loro ostaggi qualora non vengano pagati i riscatti. Il 23, il  governo tedesco ha confermato la morte di due operatori umanitari cristiani e del loro giovane figlio che erano stati rapiti nel 2009 nel nord dello Yemen.

Nello stesso giorno è stato rilasciato dopo il pagamento di un riscatto,  il giornalista tedesco-americano Michael Scott Moore che era stato rapito in  Somalia mentre sviluppava un’indagine giornalistica sul fenomeno della pirateria marittima.

Sempre il 23 settembre il  gruppo jihadista filippino Abu Sayyaf ha comunicato che due ostaggi tedeschi nelle loro mani saranno giustiziati entro 2 settimane se la Germania non pagherà  un  riscatto di 5,6 milioni di dollari e non interromperà l’appoggio agli USA nella lotta contro l’ISIS.

In soli tre giorni, quindi, si è avuta la conferma che la tecnica del rapimento è”pagante” per i gruppi jihadisti e che per questo non si fermeranno. Il sequestro, invece, sarà destinato a crescere con una scelta di  obiettivi sempre più remunerativi, privilegiando, comunque, gli  operatori delle ONG, i giornalisti o i semplici turisti.

Un fenomeno che dura almeno da due decenni, da quando nel 1991 furono rapiti due ingegneri da Jihadisti del Kashmir, atto che segnò l’inizio di una lunga serie di rapimenti. In Algeria, Niger, Libia, Mauritania, Mali, Kenya, Nigeria, Camerun, Somalia, Siria, Iraq, Arabia Saudita, Yemen, Pakistan, Afghanistan, Malesia e Filippine i sequestri di persona diventarono ricorrenti, assicurando ai gruppi terroristici risorse economiche per milioni di dollari da utilizzare per finanziare le loro attività eversive.

Il rapimento di ostaggi rappresenta una delle maggiori fonti  di guadagno per queste organizzazioni e garantisce consistenti risorse economiche che nel tempo ripianano il diminuito  flusso di denaro proveniente da enti di beneficenza islamici e ricchi donatori dell’Arabia Saudita, dello Yemen e del Kuwait. Donazioni ridotte quasi a zero dopo la morte di Bin Laden ed il più attento controllo dei movimenti di denaro da parte dell’Intelligence occidentale.

La risorsa del riscatto è quindi attualmente la principale fonte di sostentamento in particolare per i gruppi minori in procinto di allearsi con l’ISIS. Lo ha confermato recentemente il leader di al Qaeda nel Maghreb islamico,  al-Wahayshi, che  ha ammesso di aver speso 20 milioni di dollari in un anno (2011-2012) per sostenere i costi della “lotta”, garantiti dai bottini di guerra di cui il 50% proveniente dalla gestione di ostaggi.

Gli ostaggi stranieri rappresentano, quindi,  un vero e proprio “tesoro” per i gruppi jihadisti che si avvalgono per la loro  cattura anche di gruppi minori non strettamente legati all’organizzazione terroristica.  In Yemen, nello Sahel ed in Siria, infatti, la malavita locale è molto attiva nel catturare e poi vendere ostaggi ai gruppi jihadisti dietro modesti compensi.

Nello Sahel, ad esempio, i gruppi eversivi di al Qaeda sono in stretto collegamento con i Tuareg e altri banditi che operano nella regione, così come avviene per i militanti di Ansar Al Sharia in Tunisia e Libia. La tecnica del rapimento è applicata anche da altri gruppi difficilmente controllabili come i jihadisti filippini che  operano in tutta la regione Sulu. Marinai esperti e in grado di muoversi agevolmente ed operare con successo in alcune aree delle Filippine, della Malesia e dell’Indonesia.

La minaccia del rapimento non è,  quindi  nuova ed è destinata ad estendersi fuori dei confini delle aree a rischio fino ad oggi conosciute. Un pericolo che forse rappresenta una delle prossime minacce da affrontare e sconfiggere per raggiungere risultati certi e rapidi nella lotta al terrorismo internazionale ed al Califfato.

E’ prioritario,  quindi, concordare a livello internazionale che tutti coloro che intendono raggiungere le aree di contingenza per scopi umanitari come gli operatori delle ONG, per affari o per raccontare al mondo le atrocità commesse dai “combattenti nel nome di  Allah”, per essere accreditati o autorizzati ad entrare nelle aree a rischio dovrebbero essere addestrati prima di partire a riconoscere i segnali del pericolo e ad adottare le contromisure necessarie a garantire un minimo di sicurezza personale.

Un corso formativo standardizzato e regolato dalle Nazioni Unite con procedure operative comuni (Standard Operative Procedures - SOP), alla stessa stregua di come si procede nel settore dell’informazione  delle popolazioni locali costrette a convivere con il pericolo di Ordigni Bellici  Inesplosi (UXOs) lasciati sul terreno dalla battaglia.

Addestramento finalizzato in particolare a riconoscere gli “indicatori” del pericolo e ad applicare risposte adeguate nel rispetto di procedure standardizzate, in modo da abbassare notevolmente il rischio di  rapimenti.  

Troppo spesso, infatti, il pericolo non è conosciuto o è sottovalutato dagli operatori che di fatto  rappresentano “merce di scambio  preziosa” per le organizzazioni eversive per ricattare le Nazioni di appartenenza e di fatto ottenere che si trasformino in “donors” dell’eversione islamica per ottenere il rilascio degli ostaggi.

Fronti di finanziamento peraltro non palese e difficilmente rintracciabile e tale da garantire all’ISIS ed alle varie organizzazioni estremistiche le necessarie risorse per continuare a minacciare la sicurezza internazionale.

Fernando Termentini, 25 settembre 2014, ore 15,30



 

 

lunedì 22 settembre 2014

Al Qaeda possibile alleata dell’ISIS, un minaccia reale o solo ipotesi ?


Il  progetto del Califfato, che  oggi sembra essere qualcosa di nato improvvisamente dalle ceneri di un disfatto Iraq e solo per riaffermare il ruolo dei sunniti nel mondo islamico, è invece qualcosa che ha iniziato a presentarsi sullo scenario mondiale fin dal 2004. Lo possiamo leggere in un documento del National Intelligence Council, il noto organo della “intelligence community”  (ossia CIA, DEA, FBI, ecc., intitolato “Mapping the Global Future” (Mappare il futuro globale).

Un pericolo sottovalutato che ha permesso la nascita di una organizzazione che ormai dispone di  uno staff moderno in grado di  saper sfruttare al meglio le possibilità offerte dalla comunicazione globale e che produce un’ informazione potente, spesso scioccante, diffusa principalmente attraverso Internet: Immagini “forti” con lo scopo di indurre timore nell’avversario e nello stesso tempo esaltare le masse più radicali delle popolazioni islamiche riscuotendo il loro consenso. Immagini che  seducono e nello stesso tempo inducono nella folla la percezione di essere invincibile perché portatrice del verbo di Allah. Decapitazioni e stragi di massa, proposte non solo al Medio Oriente ed all’Asia ma anche all’Africa. La prima risposta positiva dalla Nigeria,  dove i fondamentalisti nigeriani del Boko Haran si sono immediatamente adeguati lanciando proclami che riaffermano la Sharia, accompagnati dall’annuncio del loro leader Abubakar Muhammad Shekau di aver  inglobato nel Califfato islamico,  Gwoza, città nel nord-est della Nigeria. Un coinvolgimento che potrebbe estendersi anche in Indonesia e nello Skri Lanka a vantaggio della fazione secessionista delle  Tigri  del Tamil.

 
Il Califfato per l’islam radicale potrebbe rappresentare, quindi, “l'unità politica” dei musulmani, ovvero la Umma (Comunità dei credenti). Il Califfo è  il  "Comandante dei credenti",  successore politico più che spirituale di Maometto nella sua funzione di capo della Umma ed in tale veste rappresentante  pro tempore di Allah sulla terra.
Il 29 giugno i militanti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) hanno ufficializzato la loro esistenza con un messaggio su Internet, informando sulla “ricostituzione del califfato” nell’area da loro controllata in Iraq e in Siria. Il portavoce dell’organizzazione Abu Mohammad al-Adnani ha anche annunciato al mondo che il nuovo leader è Abu Bakr al-Baghdadi, chiamato “califfo Ibrahim”.


Le  origini dell’ISIS sono lontane nel tempo, anche se i dissapori interni ad Al Qaeda per l'assegnazione della leadership dopo la morte di Bin Laden ne hanno forse facilitato il consolidamento. Risalgono al  2000 quando Abu Musab al-Zarqawi, un giordano che aveva combattuto insieme a Bin Laden contro l’invasore sovietico dell’Afghanistan,  decise di fondare qualcosa che si opponesse ad Al Qaeda. Zarqawi, infatti, in quei giorni gettava le basi per la costituzione di un vero e proprio Califfato islamico esclusivamente sunnita e che  si richiamasse ai valori storici ed etici della storia dell’Islam.

Non è azzardato, quindi, definire l’ISIS come un’emancipazione di  Al Qaeda, sorto per creare una specie di  “esercito sunnita” pronto a difendere i territori abitati dai musulmani da una possibile occupazione dell’Occidente.  

Dopo 13 anni dall’attacco alle Torri Gemelle, dopo la “Primavera Araba” e nonostante le iniziative di Zarqawi il fondamentalismo islamico si presenta, infatti,  ancora in maniera frammentata facendo riferimento a gruppi radicali eterogenei di difficile controllo, spesso in lotta fra loro e portatori di una minaccia non facilmente prevedibile.

Un terrorismo difficile da contrastare rispetto a quando il pericolo era riconducibile solo ad Al Qaeda, specialmente ora che è strisciante l’avvicinamento all’ISS delle varie organizzazioni espressione del radicalismo islamico e sparse nel mondo. Diverse le connotazioni e differente la dislocazione di queste entità, per questo difficilmente controllabili da parte dell’intelligence internazionale.

L’ISIS è collocabile in una vasta area del nord iracheno che va da da Mosul alla periferia di Aleppo in Siria, estendendosi anche a sud dell’Iraq da Rutba  fino a raggiungere le prime case della città siriana di  Dayr az Zor .

In Siria sono presenti, oltre allo stesso ISIS,  altri piccoli gruppi radicali che fanno del terrorismo la forma di lotta preferita.
Il Fronte Nusra, i  Partigiani della vittoria del popolo della Grande Siria affiliato con Al Qaeda. La Brigata Tawhid, il principale gruppo di ribelli attivo nella provincia settentrionale di Aleppo. l'Esercito dell'islam finanziato dall’Arabia Saudita per contrastare Al Qaeda, che riunisce 50 gruppi armati e migliaia di combattenti.
Il gruppo Ahrar al-Sham, "Uomini liberi della Grande Siria, gruppo armato che raduna varie formazioni minori d'impronta ideologica islamista e salafita. Tutte fazioni estremistiche che hanno dichiarato come scopo principale quello di creare uno Stato islamico.

 In Africa settentrionale e magrebina il gruppo  Al-Qaïda au Maghreb islamique” (AQMI) organizzazione estremistica di origine algerina nata con lo scopo di rovesciare il Governo algerino e costituire uno Stato islamico.

In Nigeria opera da tempo  la setta islamista Boko Haram, attiva nella regione fin dal 2002
che ha l’obiettivo di  far cadere l'attuale governo nigeriano per fondare uno stato islamico africano, basato sulla sharia.

In Somalia è attivo il gruppo islamico al-Shabab, parola originata dall'arabo al-Shabāb, la Gioventù. Gruppo insurrezionale islamista , di fatto una cellula somala di Al Qaeda considerata da moltissimi governi occidentali come una vera e propria organizzazione terroristica. Uno degli obiettivi primari del gruppo è la istituzione della regola della Sharia come legge delle Stato somalo. E’  presente anche in altri Paesi africani, ed è stato protagonista nell’attentato del 2013 a Nairobi al centro commerciale Westgate che provocò la morte di 68 persone.

In Egitto,  opera il gruppo Ansar Bayt al-Maqdis gruppo terroristico basato nel Sinai, che recentemente ha diffuso un video sulla decapitazione di quattro persone perché sospettate di appartenere al Mossad. Noto anche come Ansar Jerusalem è un gruppo jihadista salafita che opera nella Striscia di Gaza e la penisola del Sinai. Ansar Jerusalem impiega per lo più beduini locali con lo scopo di  "liberare la nostra Ummah e i musulmani dalla schiavitù dei regimi apostati oppressivi, stabilire la giustizia, la dignità e la libertà per loro, solo al servizio di Allah ed attraverso la  corretta attuazione della  Sharia”. E’ considerata dal Dipartimento di Stato USA un’organizzazione terroristica e risulta che si finanziata dai Fratelli Mussulmani. Al momento non risulta che siano legati all’ISIS.

 In Libia è presente il gruppo chiamato Ansar al-Sharia, (Partigiani della legge islamica), milizia islamista che sostiene una rigica attuazione della Sharia ed è nata durante la guerra civile libica. Il Leader è tale Emir  Mohamed al-Zahawi  che sviluppa una costate attività terroristica contro I civili libici e americani. Nel 2012 è stata l’artefice principale della eliminazione dell'Ambasciatore USA Christopher Stevens.

 In Afghanistan e Pakistan,  i Talebani che acquisirono il potere nel 1990 da sempre convinti sostenitori della Sharia, operano ancora nel Paese nonostante l’intervento Occidentale del 2001, dislocati in molte aree dell’Afghanistan, in particolare a ridosso delle Aree Tribali pakistane. 

Infine Al Qaeda che dopo le vicende afgane si è ricompattata nella Penisola Arabica e nello Yemen. Il gruppo che agisce sotto l’acronimo Aqap, è considerato dagli USA come la più pericolosa compagine terroristica del mondo. Il loro scopo è costituire un califfato islamico facendo cadere l’attuale governo  yemenita e la monarchia saudita.

Un quadro di situazione, quindi, molto complesso e variegato dove l’ISIS potrebbe rappresentare il naturale coagulo ideologico e radicale, davvero pericoloso e potente se completasse l’aggregazione con quello che resta della vecchia nomenclatura di Al Qaeda, che in questi giorni risulta stia compiendo un avvicinamento al Califfato. Un’unione con lo scopo di portare avanti una lotta comune e ad oltranza, con azioni terroristiche eclatanti per le quali potrebbe essere preziosa la consolidata expertise della vecchia organizzazione di Bin Laden.
 Decisione che in verità ha colto di sorpresa molti analisti e che potrebbe nascondere altri fini oltre a quello di una semplice alleanza. Il vertice di Al Qaeda, infatti,  aveva disconosciuto l’auto proclamazione del Califfato islamico e denigrato il ruolo di al Baghdadi con un proclama di al Zawahiri che dall’Afghanistan aveva espresso il proprio dissenso, dicendo “Il Califfato non è un’evoluzione del nostro movimento e non ne riconosciamo legittimità e obiettivi in Irak”.

Ora Al Qaeda invoca, invece,  l’unità di azioni e di intenti forse perché si è resa conto che il Califfato ha raggiunto un obiettivo sempre sfuggito a Bin Laden:  individuare un territorio esteso per insediare le proprie postazioni permanenti e dar vita ad una forma di vera e propria  “statualità” con il concorso attivo di tutti  i gruppi radicali del mondo islamico.  

Un’alleanza da cui il terrorismo potrebbe riuscirne rinvigorito producendo azioni ben più eclatanti rispetto a quella dell’11 settembre. Attacchi terroristici realizzati anche con ordigni “sporchi” (chimici, nucleari e biologici),  colpendo organi istituzionali  ed i vertici delle altre religioni. Il tutto per creare condizioni destabilizzanti di vasta portata in un Occidente peraltro in difficoltà economiche e quindi lento a reagire.

In questo contesto, Al Qaeda potrebbe rappresentare la “mente operativa” e l’ISIS garantire due aspetti di primaria importanza nell’oggettivazione di una strategia terroristica. Consistenti risorse economiche (si parla di 2 miliardi di dollari) di gran lunga superiori a quelle della vecchia Al Qaeda, e la capacità di coinvolgere nell’azione estrema un massiccio numero di combattenti stranieri - immigrati di prima o seconda generazione o convertiti all’Islam - reclutati anche attraverso l’efficacia del messaggio estremo che riesce a far circolare sui media e sulla rete.

Peraltro,  la costituzione del Califfato sta assumendo connotazioni geografiche ben precise ed il suo leader Al-Baghdadi attribuisce alla propria famiglia un’appartenenza ad una delle fazione piè radicali sunnite ed  una discendenza  diretta dal Profeta. Si richiama, inoltre, alla interpretazione più rigorosa della sharia dando corpo alle proprie parole con le inaudite violenze sui cristiani, gli sciiti e gli yazidi.

E’, comunque, poco realistico che il Califfato sarà in grado di esercitare la sua influenza su tutto il mondo islamico. Sicuramente, però, la proclamazione dello Stato islamico rappresenta una minaccia mortale per quello che resta di Al Qaeda e di tutte le altre fazioni radicali ad essa affiliate. Ciò potrebbe accelerare il processo delle alleanze che se avessero successo non metterebbero in discussione solo gli equilibri geopolitici del Medio Oriente, ma rappresenterebbero una nuova minaccia per la sicurezza internazionale.  

Di fronte a questi rischi è assolutamente urgente ed imperativo che l’Occidente alzi immediatamente il livello di guardia non limitandosi a colpire L’ISIS e Al Qaeda, ma ampliando le azioni di “guerra preventiva” anche contro tutte le altre organizzazioni che potrebbero entrare a far parte del Califfato.

Qualsiasi ritardo favorirebbe, infatti, aggregazioni anche su vasta scala, incrementando il livello della minaccia terroristica che potrebbe evolvere unendo le risorse e l’esperienza delle singole organizzazioni, in primis di Al Qaeda e dei suoi accoliti, e che sarebbe accompagnata e supportata dalle risorse economiche ed idealistiche del Califfato.

Occorre, quindi,  fare in fretta, in particolare con il coinvolgimento pieno di una disarmata Europa confinante con le principali aree a rischio,  ma priva di qualsiasi spunto di politica estera concreta.

Fernando Termentini, 22 sett. 2014, ore 09,00
mail@fernandotermentini.it

venerdì 19 settembre 2014

Rischio terrorismo : le ONG islamiche e le cellule dormienti


L’Islam non ha un centro, una struttura di comando, qualche autorità che aiuti il credente ad interpretare le sacre scritture dando loro il significato appropriato. Per questo i contenuti dei testi sacri islamici possono essere proposti, come avviene oggi, in maniera strumentale per giustificare azioni terroristiche anche sanguinarie, in particolare attraverso i Centri di cultura islamici e le Moschee sparsi nel mondo.

Un’azione di proselitismo in cui giocano un  ruolo fondamentale anche le Organizzazioni Non Governative islamiche con l’apparente scopo di formare operatori preparati a portare aiuto ai bisognosi.

La maggior parte delle ONG islamiche hanno ufficialmente finalità umanitarie. In realtà, però,  ed in particolare  a partire dalla guerra in Bosnia ed in Kosovo, quelle più importanti e con consistenti risorse finanziarie assicurate da Stati arabi come lo Yemen, il Quatar e l’Arabia Saudita si sono spesso rivelate strumento principale per diffondere “in modo protetto”  l’Islam radicale,  specialmente tra le popolazioni delle Nazioni in via di sviluppo dove venivano accreditate.  

Vettori insospettabili protetti dalla missione umanitaria sviluppata, che hanno diffuso e diffondono  i concetti del radicalismo islamico anche in Africa, ora  gettito dei flussi migratori verso l’Occidente.  

Strutture che attraverso forme di “aiuto umanitario” veicolano denaro, fanno proselitismo che molto spesso si traduce in un vero e proprio reclutamento di personale da avviare ai campi di addestramento. Realtà che hanno origini lontane, quando negli anni ’80 venivano preparati in Afghanistan i mujaheddin afghani da cui si distinse poi il Wahabita Bin Laden, molti dei quali successivamente importanti combattenti a fianco dei bosniaci nella guerra nei Balcani.

Un ruolo spesso fondamentale quello delle ONG islamiche per facilitare l’inserimento nei territori nel mirino del radicalismo di gruppi di cellule dormienti, addestrate specificatamente per compiere attentati terroristici  su input del vertice di riferimento, generalmente anche legate a gruppi malavitosi locali da cui ottengono copertura e sostegno logistico in cambio di armi e droga. 
 

Fra le più controverse ONG, indagate od accusate di terrorismo,  per memoria, citiamo :  la Lega Mondiale Musulmana costituita a la Mecca negli anni ’60. Dopo l’attentato alle Torri Gemelle del settembre 2001 un suo esponente, Abdul Rahman Alamoudi, è stato arrestato per finanziamento a gruppi terroristici. La Lega è ancora attiva oggi con uffici nei cinque continenti. 

La Fondazione “Al Haramain” con sede principale a Ryad con lo scopo principale di assistere le comunità islamiche nel mondo. Il suo nome è stato associato agli attentati contro le ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salaam nel 1998. E’ attiva in Somalia e lo è stata anche in Bosnia negli anni ’90  a favore dei battaglioni di mujaheddin afgani alleati del governo di Sarajevo. E’  stata messa al bando anche dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. 

La Fondazione “Al Mouwafaq”, anch’essa ha la sede principale a Ryad. Ha anche vari uffici di rappresentanza in Europa e nei Balcani. Scopo principale è dare sostegno ai rifugiati musulmani nel mondo. E’ stata accusata di legami con la Jamaat Islamiyah egiziana, finanziando un battaglioni di mujaheddin egiziani che combattevano in Bosnia con il nome di Brigata Mouwafaq. Ha una filiale a Monaco, in Germania, sospettata di collegamenti con al Qaeda.  

Il Consiglio di Coordinamento Islamico  fondato nel 1986, con sede principale a Peshawar, in Pakistan, ed opera a favore dei rifugiati afghani con finanziamenti privati in maggioranza provenienti dall’Arabia Saudita.  

L’Organizzazione del Soccorso Islamico Internazionale (International Islamic Relief Organization – Hay’at al Ighatha al Islamiyah al Alamyah), fondata nel 1979, ha la sua sede principale a Gedda con sedi distaccate in 90 Paesi del mondo. Scopo principale è quello di fornire assistenza agli orfani dei rifugiati e alle vittime della guerra.

Per quanto riguarda l’Africa, invece, è molto attiva un’altra organizzazione: l’Agenzia dei Musulmani d’Africa. Con sede in Kuwait è legata non più al mondo wahabita, ma a quello dei Fratelli Musulmani. Questo organismo opera ed è presente in 34 Paesi del continente africano. Attualmente gestisce progetti agricoli in Mali, fornisce assistenza alle popolazioni tuareg, offre borse di studio agli africani islamici, assiste gli orfani, costruisce moschee ed è sospettata di finanziare la Al Ittihad al Islamyah dello Sheykh Hassan Dahir Aweys in Somalia. 

La disseminazione geografica di queste strutture, le loro disponibilità finanziarie e la capillare permeazione sui territori ne fanno  i vettori principali delle possibili “cellule dormienti” da dislocare nei Paesi nel mirino delle formazione radicali islamiche.   

Persone insospettabili alcune naturalizzate nei Paesi occidentali come ad esempio i pakistani / inglesi autori degli attentati alla Metropolitana di Londra, altri mescolati fra le migliaia di disperati che ogni giorno dalla Siria, dall’Afghanistan, dalla Libia e dalle regioni dell’Africa Subsahariana raggiungono l’Italia per poi sciamare in tutto l’Occidente.  

Molti parlano delle cellule dormienti, spesso con una certa superficialità, sia nel mondo della comunicazione sia soprattutto a livello istituzionale. Il cattivo uso della frase "cellula dormiente" oscura distinzioni importanti  e contribuisce ad aumentare la confusione generale sulla natura della minaccia jihadista che incombe sul mondo occidentale.  

Nella terminologia di spionaggio, un "dormiente" (Sleeper) è un elemento infiltrato  nella società  o, anche, nelle Istituzioni di uno Stato nel cui ambito opera correttamente secondo i compiti leciti a lui assegnati, rimanendo in “sospeso”  fino a quando viene attivato da un segnale prestabilito o da un susseguirsi di eventi concordati in precedenza con la “cellula madre”.  

Nuclei dormienti sono  sparsi nel mondo fin dalla metà degli anni 1990, quando  al Qaeda istituì  un centro  a  Nairobi, in Kenya, mascherandolo proprio sotto le spoglie di una ONG di beneficenza chiamata “Aiuto per l’Africa”.
Attualmente le possibili cellule dormienti pronte ad essere operative sono mujaheddin reduci della jihad in Afghanistan, Bosnia, Cecenia e, più recentemente, Salafiti somali ai quali si aggiungono i gruppi radicali operativi in Iraq, nello Yemen ed in  Siria. Moltissimi di costoro con elevata probabilità, fin dai tempi della jihad in Afghanistan e Bosnia, fanno parte delle ONG islamiche legate alla Maktab al-Khidmat, o MAK . Una volta tornati nei Paesi di residenza mantengono le loro competenze paramilitari ed i legami con i commilitoni insieme ai quali avevano combattuto. Personale preparato ed esperto che potrebbe disporre anche di materiale adatto a realizzare  attenti terroristici “non convenzionali”, recuperato nei depositi di scorie radioattive sparsi in Africa, in particolare in Somalia ed in Tchiad ed aggressivi chimici che giacciono incontrollati nei deserti della Libia, dell’Iraq o della Siria fra quelli sfuggiti all’ONU.
Lo stesso Obama, ha in varie occasioni paventato questo rischio. Uranio Impoverito e Plutonio, scorie delle centrali nucleari, materiali radioattivi conservati nei depositi una volta gestiti da Grandi Potenze nucleari come l’ex Unione Sovietica ed ora non più vigilati appropriatamente. Se mescolati ad ordigni esplosivi convenzionali consentirebbero di portare a termine attentati terroristici “sporchi” con effetti devastanti sulla popolazione civile.
Un Improvised Explosive  Device (IED) “sporco” disperderebbe nell’ambiente polveri radioattive con proprietà letali immediate ed in grado di provocare un inquinamento ambientale residuo destinato a durare decenni, oppure sostanze chimiche o biologiche immediatamente mortali. Non a caso notizia di oggi l’Intelligence USA ha diramato una “Notice of Risk” sulla possibilità che terroristi del’ISIS potrebbero entrare in azione contaminando l’ambiente con il Virus dell’Ebola, magari procurandolo attraverso operatori islamici umanitari dislocati in aree africane dove l’epidemia è in espansione.  

Materiale radioattivo, chimico e biologico che potrebbe facilmente raggiungere l’Europa anche per il tramite di migranti ben addestrati ed inseriti nei flussi dei disperati che da un anno raggiungono le coste italiane.  

Per ora l’ISIS ed il suo califfato parla all'Occidente con un approccio mediatico, ostentando sicurezza nel  comunicare le proprie minacce. Tutto ciò avviene riprendendo i vecchi concetti dell’Islam radicale: la conversione di tutto il mondo alla fede in Allah, unico Dio ed unico Profeta. Un processo che ha subito un’accelerazione in un momento critico per l’Occidente, impegnato  su fronti diversi ed in scacchieri distinti e separati. 

Prima fra tutti la contrapposizione con la Russia che rende la stessa Russia meno attenta nel controllo degli alleati di sempre come la Siria, creando i presupposti perché ad Oriente si profili un clima di estrema incertezza che potrebbe rappresentare il sipario dietro il quale preparare azioni estremamente pericolose.  

Terroristi pronti ad agire o solo preparati a costituire cellule dormienti hanno un substrato di accoglienza già pronto ed organizzato. Le migliaia di Centri di cultura islamica e di Moschee sparse sul territorio italiano ed in tutto il resto d’Europa, ONG islamiche impegnate nell’umanitario a favore dei mussulmani. Tutte strutture ben organizzate che fanno riferimento anche alle comunità di mussulmani moderati, per mascherare il loro reale scopo di esistere.  

In sintesi, la minaccia esiste ed è reale. Dal punto di vista mediatico, però, deve essere gestita con oculatezza e senza inutili allarmismi  per scongiurare il pericolo dell’insorgere della psicosi collettiva del pericolo islamico che potrebbe portare ad un’attenzione diffusa piuttosto che concentrata sulla possibile minaccia. Sopravalutando, invece,  il pericolo del Califfato si potrebbero infatti perdere di vista i segnali della preparazione di atti terroristici meno eclatanti della decapitazione di un ostaggio, ma più subdoli.  

L’ISIS, ora alleato di Al Qaeda, sta mutuando le tecniche a suo tempo applicate da Bin Laden e con ogni probabilità ha iniziato a proiettare cellule addestrate all’azione terroristica forse anche rimodulando la dislocazione delle unità presenti da tempo in alcuni Paesi.  

Tenere sotto osservazione l’eventuale nascita di nuove ONG islamiche sparse per il mondo o l’emanazione di Sedi di quelle già operative, potrebbe rappresentare un importante indicatore per prevenire la minaccia.  

Fernando Termentini, 19 sett. 2014 - ore 15,00



 

lunedì 15 settembre 2014

Lettera aperta al Presidente del Consiglio dott. Matteo Renzi

Missiva inviata via email alla Presidenza del Consiglio


Egregio Presidente,

ho avuto occasione di leggere il Suo twitter lanciato all’atto della notizia della concessione della Corte indiana al Fuciliere di Marina Massimiliano Latorre di poter trascorrere una convalescenza di 4 mesi in Italia.

Pur nel massimo rispetto del Suo pensiero e delle Sue opinioni, due concetti da Lei sintetizzati con il messaggio mi hanno particolarmente colpito. Contenuti sui quali avrei desiderio di confrontarmi  se non altro per essere certo di avere ben compreso   una riflessione del Presidente del Consiglio.

A premessa di tutto mi permetto di complimentarli con Lei per le Sue capacità di “captare” immediatamente la valenza di una persona attraverso solo un paio di telefonate credo, peraltro,  in inglese. Mi riferisco al Suo apprezzamento per Narenda Modi.

Un giudizio il Suo che non lascia dubbi e proprio per questo mi lascia perplesso a meno che non scaturisca da fatti che non mi è dato da conoscere. Infatti, la figura del Presidente Modi, soprattutto per quanto attiene alla sua etica politica, non sembra basarsi su una storia trasparente e lineare.  

Un personaggio che fin da giovane ha militato in un partito dell’estrema destra indiana nel Rashtriya swayamsevak sangh (Rss), organizzazione paramilitare a connotazione spiccatamente nazionalista, al punto di essere considerato persona "non gradita " da USA e da Unione Europea.

Movimento, come Ella ben saprà,  molto controverso, dichiarato fuorilegge nel 1948, dopo l’omicidio di Mohandas Gandhi, e poi di nuovo negli anni settanta, quando Modi operava in  clandestinità, bandito per la terza volta  nel 1992 dopo la distruzione di una moschea a Ayodhya, nel nord del paese.

Proprio in quegli anni Modi passò al Bharatiya janata party (Bjp) in cui confluì anche l’Rss e nel  2001 venne eletto governatore dello stato indiano del Gujarat evidenziando immediatamente il suo approccio pragmatico agli eventi al punto di non intervenire quando, nel 2002 a Godhra nello Stato da lui amministrato, più di mille musulmani furono trucidati da estremisti indù ed altre centinaia di migliaia costretti a fuggire.

Prendo atto quindi della Sua stima verso un uomo di questi trascorsi,  ma la mia etica uomo e di ex servitore dello Stato non mi permettono di condividerla e, nello stesso tempo, prendo le distanze dalle sue parole di apprezzamento dell’uomo e dal Suo ringraziare ed ossequiare il Governo di una Nazione che sta negando da tre anni i diritti umani e giuridici a due militari italiani.

Una seconda perplessità mi deriva dalla Sua dichiarata collaborazione con la Giustizia indiana che in tutta onestà suscitano in me, cittadino di uno Stato di Diritto, sdegno per vari motivi.

Lei, infatti, ha dichiarato collaborazione con un ordinamento giudiziario che prevede l'applicazione della pena di morte, non esprimendo il pensiero dell’uomo Renzi ma quello del Presidente del Consiglio dell’Italia la cui Costituzione rinnega la pena capitale.

Se poi collaborare per Lei vuol dire raggiungere uno obiettivo comune con l’India,  in questo caso rappresentato dall’esercitare un giudizio indebito su due militari italiani da parte di uno Stato terzo, credo che il Suo auspicio sia anche in contrasto anche con le più elementari regole del Diritto internazionale e di quello pattizio.

Mi permetto quindi di dissentire con la S.V. fiducioso che l’Italia consenta ancora ad un modesto cittadino di essere distante dal pensiero del proprio Premier, e che non siano stati cancellati i diritti elementari garantiti da una democrazia liberale quale quella italiana.

Non posso accettare infatti il concetto di “collaborazione”  con una giustizia che nega ai nostri militari l'immunità funzionale, che disconosce il Diritto Internazionale e la Convenzione del Mare Unclos e che dispone la detenzione di due persone, seppure in regime di  libertà provvisoria,   nei confronti delle quali non sono state ancora prodotte prove per i reati loro addebitati.

Naturalmente ognuno è libero di sostenere ciò in cui crede, ma penso che esistano vincoli da rispettare almeno da parte di chi ricopre funzioni pubbliche di alta caratura come la Sua attuale. L'Italia è, infatti,  uno Stato sovrano erede e cultore del Diritto romano mutuato nei secoli da svariati Paesi, tradizioni storiche e culturali a cui Lei stesso fa spesso riferimento e ci dice di voler difendere Questi valori non possono essere cancellati dal pragmatismo politico.

Caro Presidente collaborare con una Giustizia come quella indiana che sta dimostrando di aver dimenticato i valori del diritto anglo sassone lasciati in eredità dopo 3 secoli e mezzo di colonizzazione britannica, credo che rappresenti, invece,  una forzatura che non può essere accettata nemmeno per "ragion politica". Nella fattispecie, poi, a mio modesto avviso, le recenti dichiarazioni dei Ministro degli Esteri indiano accompagnate dai suoi ringraziamenti verso il Governo di Delhi ed i contenuti dell’affidavit firmato per il caso Latorre,   precluderanno in futuro ogni azione sul piano internazionale e diplomatico per dipanare la matassa. Dovremo solo accettare le decisioni della Giustizia indiana con la quale Lei preferisce collaborare.

Mi farebbe piacere leggerla insieme alle migliaia di cittadini del gruppo di Facebook che amministro ed a cui estendo per conoscenza la presente,  e che si stanno impegnando per tenere alta l’attenzione sulla vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone (https://www.facebook.com/groups/337996802910475/) e degli altri 387 che con me hanno sottoscritto un Esposto sui fatti alla Procura della Repubblica di Roma perché siano accertate le responsabilità di chicchessia dal 15 febbraio 2012 ad oggi.

Distinti saluti

Gen. Brig. (ris) dott. Fernando Termentini, 15 sett. 2014, ore 09,00
mail@fernandotermentini.it

 

mercoledì 10 settembre 2014

Lettera aperta al Presidente della Repubblica - Siamo stanchi !

L'Italia è stanca di essere considerata l'ultima Nazione del mondo dall'India. Qualcuno deve difendere la nostra dignità nazionale. Siamo stanchi !!!


LETTERA  APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (inviata via email)

Egregio Presidente buon pomeriggio. Come sicuramente sarà stato informato, o almeno spero che ciò sia avvenuto considerando che non ho udito alcuna sua parola o voto augurale pubblico, il Fuciliere di Marina Massimiliano Latorre, indebitamente trattenuto in India e stato colpito  da ischemia.

Gli avvocati dell'interessato hanno chiesto alla Suprema Corte indiana di concedere che possa trascorrere un congruo periodo di convalescenza in Italia.

La Corte ha preso del tempo ed oggi le seguenti notizie:

++ Maro': Latorre,ricorso a Corte per altra perizia medica ++

Firmato da Freddy Bosco, proprietario del peschereccio coinvolto

   (ANSA) - NEW DELHI, 10 SET - Freddy John Bosco, proprietario del peschereccio coinvolto nell'incidente dell'Enrica Lexie per il quale sono trattenuti in India i due maro' italiani, ha presentato oggi alla Corte Suprema di Delhi un'istanza in cui chiede un esame medico indiano per Massimiliano Latorre, prima che i giudici lo autorizzino a rientrare in Italia per curarsi.=

Signor Presidente un Suo soldato sta male, lo stanno trattando come il peggiore dei delinquenti, il Governo indiano rifiuta i contatti bilaterali nonostante le assicurazioni del MAE e della stessa Presidenza del Consiglio, forse è ora che - come Capo delle Forze Armate e garante della Costituzione italiana che all’articolo 87 Le assegna questo alto onore - Lei facesse sentire la Sua voce.

A tale riguardo,  non credo che un Suo intervento in questo caso possa  essere considerato come un’ingerenza nelle attribuzioni dell’Esecutivo, piuttosto l’iniziativa di un Comandante nei confronti di un Suo dipendente e del Capo dello Stato a favore di un cittadino in serie difficoltà.

Sarei onorato di ascoltarLa e leggerLa

Distinti ossequi

Gen. Brig. (ris) Dott. Fernando Termentini, 10 sett. 2014, ore 15,00

mail@fernandotermentini.it

 

 

 

 

martedì 9 settembre 2014

Marò : le ciance hanno le gambe corte


Nella vicenda dei due marò la discutibile decisione del Governo Monti di rimandare in India Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, è stata seguita dal silenzio assordante del Governo Letta rotto solo da flebili affermazioni della Bonino sulla “Non provata innocenza” dei due militari ed un improvviso risveglio  a gennaio dal letargo delle Commissioni Difesa ed Esteri che per bocca dei loro Presidenti invocavano improvvisamente l’internazionalizzazione del caso.
 
Di sorpresa  uno squarcio di luce. Renzi appena nominato Premier telefona ai due Marò e dichiara alla Nazione l’interesse prioritario del suo Governo di riportare a casa i due ragazzi. Contemporaneamente la Ministro della Difesa Pinotti e quella degli Esteri Mogherini dichiarano ripetutamente la decisione di avviare l’internazionalizzazione del caso e l’avvio di un arbitrato internazionale tanto osteggiato da Monti e da de Mistura.

Il tutto sembrava avviarsi nella giusta direzione, quando all’improvviso una precisazione delle Responsabili di Difesa ed Esteri. Sì l’internazionalizzazione ma continuiamo con i contatti diplomatici bilaterali per rendere più rapida la soluzione, intendimento confermato  dallo stesso premier dopo la famosa telefonata ferragostana con Modi.   

Il tempo passa e Latorre viene colpito dal serio danno fisico e la Mogherini informa che la malattia ha cambiato i parametri del problema per cui si procederà ad un’accelerazione del processo di internazionalizzazione e dell’arbitrato pur mantenendo i contatti bilaterali. Parole che si aggiungono alle tante dette al vento fino ad ora,  nel massimo rispetto del vecchio detto che la  “politica è l’oppio dei popoli”. Ieri la Ministro degli Esteri indiano precisa che Delhi non ha mai pensato di decidere al posto dei Giudici indiani.

Oggi, l’Ambasciatore Terzi, ex Ministro degli Esteri uscito dal Governo Monti per non essere complice di chi nel Governo Monti aveva preso l’inconsueta decisione di riconsegnare i due Marò alla Giustizia indiana, in un’intervista rilasciata al “Il Sole 24Ore” (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-09-09/maro-ex-ministro-terzi-critica-renzi-intermediazione-croce-rossa-latorre-sarebbe-gia-italia--130440.shtml) ripropone l’esatto contenuto della posizione indiana.

Terzi sottolinea che il ministro degli esteri indiano «ha detto testualmente che con l'Italia non è in corso alcun dialogo, e che il processo ai militari deve continuare». Parole chiare che secondo l’Ambasciatore  «che uccide in maniera clamorosa sei mesi di altalena di Renzi». Che «ha sempre parlato di un cambio di passo nei rapporti con l'India», convinto di «riportare in Italia i due marò senza passare da un processo» "indiano", considerato «illegittimo e inaccettabile».

Peraltro, il malaugurato malanno di Latorre e la conseguente richiesta italiana di concedere al militare un congruo periodo di riabilitazione in Italia, renderà l’India più esigente e come ci dice l’ex Ministro degli Esteri, «tra le garanzie che ora verranno chieste all'Italia per il rientro di Latorre ci sarà una forma di riconoscimento della giurisdizione indiana, e questo sarebbe davvero la chiusura finale atroce quanto la folle decisione di rimandare in India i due marò nel marzo 2013”

Terzi ci informa, ancora, che a luglio il Presidente della Cri internazionale di Ginevra, Peter Maurer, con una circostanziata lettera al Governo Italiano si offriva come intermediario. Sembra che il Governo non abbia mai risposto coinvolgendo la CRI  e forse se lo avesse fatto dice Terzi « Latorre sarebbe già in Italia da parecchi giorni” .

Giunti a questo punto siamo di fronte ad uno scenario confuso in cui tutte le assicurazioni fino ad ora date con disinvoltura, cominciano ad evidenziare alcune lacune sostanziali. Fra le tante la principale, quella di aver avviato rapporti bilaterali per risolvere la vicenda tra Governi, aggirando il pronunciamento dei Tribunali indiani.

Strategia confermata anche dalla Ministro degli Esteri Mogherini, recentemente nominata Alto rappresentante Ue, che  il 2 settembre ci fa sapere da Bruxelles  (Adnkronos), ''Stiamo usando queste ore per preparare l''internazionalizzazione della gestione della vicenda, che è pronta, ma anche per riaprire canali di dialogo con il nuovo governo indiano''. 

Ma le “ciance hanno le gambe corte” come confermano le parole del ministro degli Esteri indiano Sushma Swaraj che a New Delhi ha rilasciato dichiarazioni che non lasciano spazio ad interpretazioni e smentiscono quanto detto anche dallo stesso Premier Renzi da ferragosto in poi.  

Ma non basta, perché oggi un’altra dichiarazione della Mogherini rilancia il bilaterale,  forse perché non tempestivamente informata da un ritardato  flusso informativo da parte dell’Ambasciata italiana a Delhi.  

Lady Pesc infatti con un’odierna ANSA ribadisce “resta aperta l'opzione bilaterale” ed ancora “la via bilaterale continua a essere praticabile e "le due strade non si escludono". Ed aggiunge la Ministro forse ormai già impegnata nei problemi europei, "E' dovere di questo governo esplorare" l' "interlocuzione" con il nuovo esecutivo del premier Narendra Modi”, l’esatto contrario di quanto ha detto in conferenza stampa la Ministro degli Esteri indiano Sushma Swaraj.  

Continuando così la nuova Lady Pesc ci farà rimpiangere la baronessa Asthon abile nel non dire e soprattutto nel non fare ed i nostri Marò, almeno Girone, dovranno attendere pazienti le decisioni della Giustizia indiana.  

 Fernando Termentini, 09 sett 2014  , ore 19,00 - mail@fernandotermentini.it