giovedì 30 ottobre 2014

Militari USA in quarantena in Italia, qualche perplessità


Sono circa sessanta i militari USA, effettivi alla base di Vicenza  che sono stati posti in isolamento dopo essere stati in Liberia in attività finalizzate a fronteggiare il diffondersi dell’Ebola.
 
Il Comandante dell’Unità impiegata in Africa, anche lui in isolamento, ha dichiarato ieri di essere rientrato a Vicenza, nel rispetto degli ordini ricevuti dalla catena di Comando statunitense. Nello stesso tempo la nostra Ministro della Salute Beatrice Lorenzin si è preoccupata di rassicurare gli italiani ed in particolare i vicentini sull’assenza di un eventuale pericolo per la popolazione locale.

La Ministro rassicura, compiendo quello che potremmo chiamare “un atto di fede” in quanto garantisce le possibili conseguenze di un qualcosa che non può gestire perché affrontato in un’area extra territoriale come è una base militare statunitense in territorio italiano, presumibilmente fuori del controllo delle Autorità sanitarie nazionali.

Il rischio di contagio sarà anche molto basso considerando che i militari “sembra” non presentino segnali di malattia conclamata, ma rimane il dubbio sul perché l’Italia abbia accettato la decisione americana di far rientrare su una base italiana militari provenienti da un’area  a rischio quale la Liberia e non preteso invece che trascorressero il periodo di “isolamento” in un sito attrezzato sul territorio statunitense.

Peraltro, i protocolli USA non prevedono ad oggi la “quarantena” di personale in servizio proveniente dalle zone africane a rischio a meno che non abbiano avuto un contatto diretto con persone già colpite dal virus, ma solo una separazione dal contesto in cui il personale vive ed opera.  

Non risulta o almeno non è dato da sapere se i militari soggiornino in un’area asettica della base, isolata dall’esterno e se nella fase di isolamento non abbiano contatti con altro personale destinato al loro sostegno logistico ed ai controlli medici. Potrebbe verificarsi, quindi, un contatto  fugace ed involontario con altri, in una fase iniziale della manifestazione della malattia e senza che essa sia stata ancora diagnosticata, con una conseguente trasmissione del virus.

Tutto ciò considerando che se si osservano i “casi e non più i decessi, nei Paesi a rischio il contagio sembrerebbe peggiorare e di parecchio con un’accelerazione dell’epidemia.
 (fonte OMS :  i casi  sono in media 2,15 volte superiori e i morti sono già almeno 15000 - http://apps.who.int/iris/bitstream/10665/137376/1/roadmapsitrep_29Oct2014_eng.pdf?ua=1).
 
In Guinea tra il 21 e 27 ottobre in 6 giorni erano attesi 230 nuovi casi e ne sono comparsi 353. In Sierra Leone tra il 22 e 27 ottobre in 5 giorni erano attesi 990 nuovi casi e ne sono comparsi 1339. In Liberia in 5 giorni tra il 19 e 25 ottobre in 6 giorni erano attesi 1157 nuovi casi e ne sono comparsi 1860, nonostante che per questo Paese di parli di una  benvenuta ma dubbiosa stabilizzazione per via dei funerali clandestini (a cremazione preclude il paradiso) e del fatto che sono spariti 300 morti dal ultimo bollettino OMS di 5 giorni orsono.

Affermare, quindi, l’assenza di rischio a fronte  di predisposizioni contro il contagio  prese dagli USA nella base di Vicenza e non meglio chiarite o di quarantena da trascorrere in un sito non predisposto allo scopo sembra essere azzardato. Perplessità confermata anche da una notizia di oggi che informa che un cittadino di Quart (Valle d’Aosta) di ritorno dalla Sierra Leone dove ha prestato servizio in un ospedale di Emergency,  potrebbe essere posto in quarantena nella sua abitazione di Quart e non in una struttura sanitaria.

Parlare di quarantena, quindi, non è esatto. Il termine ha, infatti,  antiche origini che risalgono a metà del 1300 quando durante l’epidemia di peste nera chi arrivava da luoghi a rischio doveva trascorrere almeno quaranta giorni “in luoghi isolati” in attesa di vedere se i sintomi della peste si sviluppassero. Un provvedimento antico che in chiave moderna dovrebbe essere interpretato prevedendo una dislocazione areale sul territorio nazionale di siti appositamente attrezzati, dove convogliare chi potrebbe essere a rischio di conclamare la malattia.

Le notizie che giungono da Aosta invece lasciano intendere che il Ministero della Salute italiano stia affrontando con grande ottimismo una minaccia dai connotati ancora non completamente chiari nemmeno alla comunità scientifica internazionale ed accetti di ospitare sul proprio territorio possibili “portatori del rischio” senza essere nemmeno nelle condizioni di verificare le condizioni di isolamento applicate nei loro confronti.

Predisporre siti attrezzati sicuramente comporta elevati oneri economici. Parlare, rassicurare e promettere è certamente meno costoso,  ma di fronte ad una minaccia del genere adottare soluzioni semplicistiche è pericoloso. Tranquillizzare è d’obbligo, ma non predisporre adeguatamente per abbattere con elevata probabilità i rischi di propagazione del virus e garantire la salute pubblica nel rispetto della Costituzione, è un dovere che non può essere delegato nè tantomeno affrontato con leggerezza. 

Fernando Termentini, 30 ott. 2014, ore 11,45

NB . Ringrazio il dott. Paolo Scampa, ricercatore, per i dati che mi ha fornito e continua a fornirmi, ricavati da un’attenta analisi del fenomeno sviluppata fin dall’inizio (scapao@alice.it)

 

lunedì 20 ottobre 2014

I Fucilieri di Marina trattati come se fossero delinquenti comuni

Fonti di stampa ci dicono che per i marò si fa sempre più reale l'ipotesi dello scambio di prigionieri. Un negoziato silenzioso sviluppato per chiudere la vicenda attraverso un link diretto fra Palazzo Chigi e l'ufficio del primo ministro indiano, Narendra Modi. L'Italia potrebbe, infatti, in cambio di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone,  consegnare a Delhi 18 marinai indiani arrestati in flagranza di reato a bordo di una nave carica con 40 tonnellate di stupefacenti in navigazione nelle acque territoriali italiane.

Viene quindi abbandonata l'internazionalizzazione tramite arbitrato, anche se sbandierata dai Ministri responsabili della gestione della vicenda come   "tecnicamente" pronta, per dare spazio ad una diplomazia bilaterale segreta che di fatto, però, di diplomatico non ha nulla se la trattativa viene sviluppata per uno scambio di prigionieri secondo un accordo bilaterale sottoscritto fra India ed Italia nell’agosto del 2012.

Una strada che aiuterebbe Modi ad uscire da un impasse e guadagnare credibilità in ambito internazionale, ma  che nello stesso tempo ed ancora una volta rappresenterebbe per l’Italia una falsa vittoria.

Una “vittoria di Pirro” dopo quel tragico 22 marzo 2013 quando i due Fucilieri di Marina furono riconsegnati all’India e nel momento che lo Stato pur di risolvere il problema accetterebbe soluzioni pragmatiche sicuramente non onorevoli per tutte le nostre Forze Armate nel momento che due militari italiani sarebbero considerati allo stesso livello di 18 mercanti di droga fermati in flagranza di reato a bordo di una nave carica di 40 tonnellate di stupefacenti in navigazione in acque territoriali italiane.

Roma continua a cercare di non urtare la suscettibilità indiana dopo che l’India ha, invece,  oltraggiato la nostra sovranità appropriandosi indebitamente del diritto di giudizio su due nostri soldati senza nemmeno produrre circostanziate prove di accusa e dopo avere prevaricato i loro diritti umani con la restrizione della libertà personale. Un timidezza quella italiana difficile da comprendere specialmente in questi mesi in cui il Presidente del Consiglio è anche Presidente di turno dell'Unione Europa e considerando la recente nomina del nostro Ministro degli Esteri responsabile della politica estera europea.

Modi, invece, nonostante le aspettative ottimistiche italiane sta dimostrando al mondo che l’India non è assolutamente disposta a cedere sovranità. Ha assegnato, infatti,  il caso dei due Fucilieri di Marina al consigliere per la sicurezza nazionale, ex capo dei servizi segreti indiani, Rajiv Doval, nemmeno i nostri militari fossero terroristi che abbiano attentato alla sicurezza di Delhi.

Scambiare propri militari incaricati di assolvere un compito istituzionale loro assegnato dal Parlamento nazionale con delinquenti comuni non certamente un successo diplomatico,  piuttosto un compromesso di cui non c’è da andare fieri. Una dimostrazione che Roma preferisce scorciatoie rinunciando ancora una volta ad affermare i propri diritti e pretendendone il rispetto da parte di uno Stato terzo,  sulla base del diritto e delle Convenzioni internazionali.

Una vittoria di facciata che sicuramente sarà annunciata con roboanti dichiarazioni, ma che di fatto sconfessa quanto a livello Istituzionale è stato più volte garantito agli italiani ed ai due Fucilieri di Marina : rientreranno in Italia a testa alta !

Mi auguro per Massimiliano e Salvatore e per le loro famiglie che tutto si concluda nel minor tempo possibile,  ma nello steso tempo non posso sottacere che ci troviamo ancora una volta di fronte a scelte istituzionali  difficilmente condivisibili.

Anche in questo caso, infatti, avremmo rinunciato a far valere la nostra dignità nazionale ricorrendo ad un baratto inconcepibile che, peraltro, oltraggia la dignità di due militari italiani considerati alla stessa stregua di criminali comuni della peggiore specie, come sono i trafficanti di droga !

Fernando Termentini, 20 ott. 2014 - ore  11,00


martedì 14 ottobre 2014

Fucilieri di Marina : l'assenza di informazione italiana

Sono trascorsi più di due anni e mezzo da quel fatidico 15 febbraio 2012, quando è iniziato il calvario per i due Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Più di 900 giorni durante i quali, fatte salvo rare eccezioni,  gli organi di informazione nazionale hanno centellinato le notizie quasi a seguire una scaletta temporale preordinata fuori dalle redazioni.

Dal rientro in Italia di Massimiliano Latorre per un periodo di convalescenza di 4 mesi a seguito di un grave malanno che lo ha colpito a Delhi il silenzio è diventato poi assoluto. Solo rare e ripetitive dichiarazioni da parte di rappresentanti di vertice della Difesa e degli Esteri per rassicurare che era stato predisposto quanto necessario per avviare un arbitrato internazionale che, però, ancora non veniva ufficializzato per dare spazio ad un’azione diplomatica non meglio chiarita.

 Oggi improvvisamente si alza il sipario del silenzio non per iniziativa degli organi di informazione italiani ma per un’agenzia Ansa da Delhi con la quale si viene informati che l’India sta valutando la proposta italiana per una “soluzione consensuale' del problema. Lo riferisce il The Economic Times e fonti governative indiane di alto livello riferiscono che il governo ha deciso di tenere "presto" una riunione presieduta dal consigliere per la sicurezza Ajit Doval per studiare la soluzione offerta da Roma per risolvere la crisi.

Prendiamo atto che, come in passato, gli italiani per essere aggiornati devono fare riferimento alla stampa indiana e sia sempre il Governo di Delhi a dare notizie e quasi mai quello italiano. Nella fattispecie, infatti, si parla dell’esame di una soluzione del caso proposta da Roma, ipotesi sconosciuta agli italiani in quanto ritenuti, forse,  dallo Stato cittadini non affidabili e quindi non meritevoli di una democratica informazione.  

Una scelta che però è difficile condividere. Oserei affermare offensiva nei confronti delle centinaia di migliaia di cittadini impegnati  a tenere alta l’attenzione sulla sorte dei due Fucilieri di Marina e  preoccupati che l’Italia abbia ceduto ancora una volta il diritto di esercitare la propria sovranità delegando uno Stato terzo ad esercitare un’indebita azione giudiziaria.

L’oscurantismo, però, giustifica ogni illazione, per cui proviamo ad ipotizzarne e proporre un paio di quelle che potrebbero essere le soluzioni italiane proposte all’India, attraverso un’analisi di quanto avvenuto in questi  900 giorni.

La prima, una proposta italiana di scambiare i 18 marinai indiani fermati recentemente nel canale di Sicilia a bordo di una nave carica di 40 ton di sostanze stupefacenti, applicando un accordo bilaterale sottoscritto in tal senso nell’agosto 2012. Soluzione che presenterebbe al mondo  i due militari italiani come comuni delinquenti.

Una seconda soluzione e forse la più realistica potrebbe essere quella che l’Italia ha deciso di percorrere la “road map” da tempo proposta dal Vice Ministro degli Esteri Lapo Pistelli, quando il 16 maggio 2013 in occasione del Forum dei giornalisti del Mediterraneo dichiarò che "In questo momento la collaborazione con le autorità indiane e' ottima. Sono state gia' concordate le “regole di ingaggio per il giudizio che gli indiani si apprestano a dare sui due fucilieri, cosi' come sono gia' state concordate anche le condizioni successive a una sentenza. Questo mi permette di dire - ha aggiunto Pistelli - che la vicenda e' avviata correttamente e aspettiamo solo che finisca".

Nell’uno e nell’altro caso, però, la possibile conclusione della vicenda non rappresenterebbe una vittoria diplomatica italiana. Piuttosto l’ennesima “soluzione all’italiana” che garantirebbe il rientro in Patria dei due militari per la massima soddisfazione delle loro famiglie e di loro stessi, ma ad un prezzo altissimo in termini di immagine degli interessati e dell’intero Paese. Presupposti che si sarebbero  potuti evitare solo rispettando i vincoli costituzionali in tema di estradizione e non esercitando nei loro confronti, invece,  il 22 marzo 2013 nei loro confronti “un’estradizione passiva” a favore dell’India.

Uno scambio di prigionieri, infatti, darebbe per scontato un coinvolgimento dei due marò in un fatto delittuoso e, ancora peggio, la seconda soluzione rappresenterebbe un’ennesima cessione di sovranità nazionale nel momento che l’Italia, rinunciando alle proprie prerogative garantite dal Diritto  internazionale,  preferirebbe  concordare con l’India un’azione giudiziaria condivisa invece di pretendere che l’India rispetti l’immunità funzionale dei due militari garantita loro dal diritto pattizio e quanto previsto da UNCLOS (United Nations Convention on the Law of the Sea) ratificato in sede internazionale  da Delhi.

I due Fucilieri di Marina rientrerebbero in Italia e questo sarebbe il vero successo ma il prezzo da pagare sarebbe altissimo. I due militari ritornerebbero, infatti,  in Patria privati della dignità di cu avrebbero diritto  e per l’Italia agli occhi del mondo sarebbe un’altra vittoria di Pirro.

Fernando Termentini, 14 maggio 2014 - ore 10,30

 

mercoledì 8 ottobre 2014

L’Ebola potrebbe avere una valenza terroristica

L’Ebola sta falciando vittime in Africa ed è ormai approdata anche in Occidente. Per ora due casi negli USA e 100 persone sotto osservazione. Quattro casi  in Spagna e 40 sotto osservazione e l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) prevede altri possibili ammalati in Europa.  

Il contagio, sia negli USA e sia in Spagna,  è avvenuto per il tramite di persone infestate  in Africa e che a loro volta, prima che venisse diagnosticata la malattia, sono entrate in contatto con altri trasmettendo il virus.   

L'incubazione può variare da due a 22 giorni come riferisce l’OMS e non è detto che la malattia si manifesti subito con i sintomi classici riconducibili immediatamente all'Ebola. Ne consegue, quindi, che l'ammalato può infettare inconsapevolmente altri uomini nel momento che la patologia inizia a conclamarsi anche se in forma lieve, diventando "vettore involontario" della malanno ed innescando una vera e propria “reazione a catena”  difficilmente gestibile.  

Approfittando della situazione contingente, organizzazioni terroristiche come l’ISIS potrebbero pensare di sfruttarne la potenzialità mortale diffondendo il virus per scopi terroristici, utilizzando kamikaze portatori della malattia. Attentatori suicidi che potrebbero aver scelto di sostituire la cintura esplosiva con l'Ebola.  

Persone con l’agente patogeno incubato pronte, al momento della manifestazione dei primi sintomi,  a diffonderlo confondendosi con la folla,  contaminando servizi igienici pubblici, frequentando locali chiusi ad elevata frequentazione come sale cinematografiche, teatri, Centri commerciali e mezzi di trasporto pubblico.  Mine vaganti che potrebbero  anche morire senza essere mai scoperte, dopo aver contaminato  centinaia di persone che diventerebbero a loro volta vettori inconsapevoli del virus.  

Uno scenario forse impensabile in altri tempi ma sicuramente ipotizzabile in un momento di elevata tensione internazionale, dove l'atto terroristico estremo sta diventando l'elemento imperante sulla scena mondiale.  

Le esecuzioni di massa a cui stiamo assistendo, le decapitazioni, le fucilazioni di donne e bambini solo perchè non mussulmani dovrebbero indurre a non escludere nessuna minaccia e l'Ebola potrebbe far parte di un fosco scenario internazionale dominato dal terrorismo. L'ISIS, infatti,  potrebbe decidere di passare ad uno scontro non convenzionale anche utilizzando materiali NBC di cui gli elementi "N" e "C" sono recuperabili con una certa facilità nei vari teatri di battaglia e l'Ebola potrebbe rappresentare la valenza "B".   

Attentati biologici attuati con kamikaze "infettati con il virus in incubazione" da inserire, magari, fra le migliaia di profughi che ogni giorno traghettano il Mediterraneo. Disperati che come noto appena approdati in Italia riescono anche a sfuggire ai controlli per disperdersi in tutta Europa. 
 
Un'analisi, questa,  che in prima approssimazione potrebbe apparire esasperatamente allarmistica, ma che, forse, contiene elementi di realtà non troppo remoti. E’ difficile esserne certi che una minaccia del genere possa concretizzarsi  ma nel dubbio che  possa avvenire credo sia doveroso ed etico non sottovalutare il pericolo.    

Invece sembra che sia esclusa una eventualità del genere. Il Ministro degli Interni riferisce in Parlamento che l'Italia è a rischio attentati, l'Intelligence allarma che fra i profughi possano nascondersi cellule eversive,  ma nessuno pensa ad una possibile minaccia "B" derivata dall'esportazione di Ebola o di qualsiasi altro agente patogeno. La Ministro della Salute, invece, esclude qualsiasi rischio di contagio in Italia con affermazioni del tipo  “il rischio di importazione dell'infezione in Italia è assolutamente remoto", precisando che eventuali "rischi connessi ai flussi migratori irregolari" sono pressoché nulli considerata la durata dei percorsi che porta i migranti dai propri Paesi di origine all'Italia. 

Dichiarazioni suggerite da una visione settoriale del problema e che lasciano perplessi nel momento che escludono qualsiasi incognita derivata da un atto di terrorismo non convenzionale. Forse perchè i responsabili istituzionali sono ancora radicati a vecchie convinzioni, come:  nucleare e solo la bomba atomica, chimico solo il proiettile caricato con Iprite e biologico solo l'antrace sparso in USA subito dopo l'11 settembre con plichi postali. 

La sottostima del rischio complessivo, invece, si ritiene che non sia nemmeno giustificata dall'intenzione di non  creare allarmismi inutili. Approccio che la situazione contingente di instabilità internazionale dovrebbe sconsigliare a favore di ben altro "modus operandi". Per esempio, mutuare da altri Paesi la gestione di un pericolo così particolare come quello NBC. In primis Israele che informa la popolazione, prevede la distribuzione a livello famigliare di maschere anti NBC, prevede in ogni ospedale zone completamente  isolate dall’esterno e ciclicamente coinvolge i cittadini in esercitazioni di difesa contro la specifica minaccia. 

L'eventualità di un kamikaze “imbottito di virus” non può, infatti,  passare inosservata,  ma deve rappresentare uno dei pericoli da tenere sotto osservazione per essere pronti a contrastarlo.   

Primo fra tutti adeguare il controllo e la gestione dell'accoglienza delle migliaia di migranti che sbarcano quotidianamente sulle coste italiane, tenendo ben presente il periodo di incubazione del virus. Organizzare, quindi, dei centri di raccolta specifici dove tenere in quarantena per  3 settimane i soggetti che potrebbero essere fonte di contagio.  

Un impegno non semplice da sostenere ma essenziale sia per la salvaguardia della salute dei cittadini italiani sia per scongiurare un pericolo che ormai potrebbe appartenere ad uno scenario abbastanza realistico.  

Tutto ciò ancora non avviene e nonostante le assicurazioni sul controllo di eventuali contagi oggi il Resto del Carlino informa  che  a Modena non sono stati monitorati nemmeno due volontari italiani rientrati dal Congo e che per loro ammissione hanno operato in un’area dove :  "vicino a noi sono morte 167 persone colpite da Ebola".  

Fernando Termentini, 8 ott. 2014 - ore 13,30 

Fonte : resto del Carlino ed articoli pregressi dell’autore


 

venerdì 3 ottobre 2014

L'ISIS e la minaccia di attentati terroristici "sporchi"

Da più parti arrivano allarmanti notizie che l’ISIS avanzando in Siria potrebbe impadronirsi di materiale “non convenzionale”; ossia Nucleare, Chimico o Biologico (NBC). News quasi sempre lette o commentate con scetticismo dalla maggior parte dei lettori, compresi alcuni organi istituzionali.

Un’incredulità che deriva in buona parte  dal convincimento assolutamente errato che la minaccia Nucleare sia rappresentata solo dalla bomba atomica, quella Chimica da proiettili o bombe di aereo caricate con aggressivi chimici al posto dell’esplosivo e quella Biologica basata sulla disseminazione nell’ambiente di potenti e letali Virus come, ad esempio potrebbe essere l’Ebola.

Non è esattamente così. Attacchi non convenzionali in particolare condotti attraverso atti terroristici contro la popolazione facendo esplodere ordigni esplosivi contaminati con materiale NBC, sono assolutamente possibili disponendo delle sostanze specifiche peraltro, in questo momento reperibili abbastanza facilmente nei  depositi e laboratori di Paesi allo sbando come la Siria, la Libia e l’Iraq.

Realizzare un attacco terroristico non convenzionale  è molto più facile di quanto si possa pensare. Ad esempio è sufficiente disporre di materiale radioattivo utilizzato negli Ospedali o in centri medici privati per scopi diagnostici e terapeutici. Scorie non di elevata emittenza radiologica ma in grado di poter costituire una seria contaminazione se disperso nell’ambiente.

In ogni caso in particolare nelle aree del mondo teatro di recenti ed importanti conflitti non è difficile recuperare sostanze NBC. Sicuramente in Libia esistono depositi ormai abbandonati ed accessibili da tutti in cui Gheddafi conservava il proprio armamento chimico. Ne sono segnalati in un’area sud orientale del Paese (Ruwagha) e probabilmente esistono anche vere e proprie fabbriche abbandonate in fretta e furia ubicate immediatamente a ridosso del confine con il Tchiad.

Analogamente in Siria dove parte degli aggressivi chimici disponibili potrebbero essere sfuggiti all’azione di confisca voluta dalle Nazioni Unite, insieme a uranio o altri derivati se le recenti informazioni fornite dall’Intelligence USA ed Israeliana rispondono in realtà.

Anche in Iraq potrebbero essere accessibili vecchi depositi militari di aggressivi chimici abbandonati dall’Esercito di Saddam e sfuggiti ai controlli e potrebbero essere disponibili anche tonnellate di munizionamento all’Uranio Impoverito o inesplose o solo frantumate, sparse nel deserto in particolare ai confini con il Kuwait ed intorno a Bassora.

Una goccia di gas nervino SARIN allo stato liquido può  uccidere una persona, qualche grammo di materiale radioattivo inquinare una vasta area. Non è necessario, quindi,  disporre di un grosso arsenale  per poter rappresentare una minaccia nel quadro di un “ricatto terroristico globale”.

Per quanto attiene al biologico poco si conosce ed è difficile esprimersi sulla base di dati concreti. Qualche vecchio laboratorio in Iraq durante la gestione di Saddam, altri  forse in Libia, ma dati certi è difficile configurarli. Minacce biologiche sono in ogni caso presenti. L’Ebola per ora concentrata in Africa potrebbe, ad esempio, essere “veicolata” su possibili obiettivi di interesse terroristico.  

Materiale letale che rappresenta la materia prima da aggiungere ad un normale IED (Improvised Explosive Device) realizzato con esplosivo convenzionale per incrementare il livello di danno all’atto dell’esplosione dell’ordigno.

IED “sporchi” che possono essere facilmente costruiti o assemblati nello scantinato di un’abitazione o in una modesta officina di riparazioni meccaniche e che rendono quanto mai reale la minaccia di atti terroristici “sporchi” specialmente se portata avanti da organizzazioni terroristiche come l’ISIS,  organizzata e militarmente preparata, con grande disponibilità di risorse economiche.

Qualche notazione tecnica per meglio comprendere il problema, riferendoci in particolare agli IED con l’aggiunta di  materiale radioattivo di più semplice reperimento e gestione da parte delle cellule terroristiche rispetto a quello chimici e biologici. 

La Bomba sporca (in Inglese secondo la terminologia tecnica Radiological Dispersal Device – RDD) è un normale ordigno realizzato con dinamite e/o tritolo, al quale vengono aggiunte scorie radioattive in modo da inquinare significativamente l’ambiente  all’atto dell’esplosione. E’ possibile realizzarla con modeste conoscenze scientifiche e disponendo di un normale livello  tecnologico.

Fra le possibili sostanze radioattive l’Uranio Impoverito (DU) potrebbe essere di uso ricorrente trattandosi di scoria delle centrali nucleari e componente base di alcuni armamenti. Peraltro, all’atto dell’esplosione convenzionale il DU oltre a provocare un inquinamento ambientale di natura radiologica satura l’ambiente con ossidi di uranio, polveri finissime che se ingerite o inalate possono provocare nel medio termine significative patologie mediche.

Oltre all’Uranio impoverito, nelle “Dirty Bombs” si può utilizzare anche  Stronzio 90 Cesio 137, Americio 241 e Cobalto 60,  recuperabili anche abbastanza facilmente.  

L’esplosione di una “Bomba Sporca”, in sintesi, somma gli effetti distruttivi di una qualsiasi esplosione al danno radiologico provocato dall’ingestione e/o inalazione degli agenti tossici di natura nucleare contenuti nell’ordigno. Danni che possono essere immediati compromettendo le cellule polmonari e dell’apparto gastrointestinale o differiti nel breve periodo una volta che il materiale venga metabolizzato dall’organismo. Dannosissimi nel lungo termine se entrano a contatto con le falde acquifere e con la catena alimentare animale e vegetale.  

Se “l’attentato sporco” viene realizzato utilizzando sostanze chimiche letali, queste potrebbero essere disperse nell’ambiente anche senza ricorrere ad esplosivo ottenendo, specialmente in ambienti chiusi, un effetto letale immediato con risultati devastanti ed differito nel tempo a seconda della tipologia dell’aggressivo chimico  utilizzato.

Infine, nel settore biologico, gli effetti terroristici potrebbero essere raggiunti utilizzando virus e tossine per inquinare gli acquedotti e le sostanze alimentari o vaporizzando nell’ambiente gli agenti patogeni. 
Escludere a priori la minaccia di azioni terroristiche con l’impiego di ordigni “sporchi” è, quindi, un lusso che gli analisti non possono permettersi in un momento storico in cui è evidente come le formazioni eversive sfruttino efficacemente la moderna tecnologia per portare in tutte le case una comunicazione di massa in tempo reale ad incutere semplicemente terrore. Un attentato con “ordigni sporchi” potrebbe quindi rappresentare una ribalta internazionale di sicura efficacia.

Non è azzardato ipotizzare che l’ISIS sia in grado di portare a termine un attentato “sporco”. Lo Stato islamico ha  la possibilità di recuperare il materiale necessario anche acquistandolo attraverso un mercato clandestino e dispone sicuramente di personale in grado di allestire e gestire un IED del genere. Mujaheddin provenienti dall’Afghanistan od ex combattenti nei Balcani od anche provenienti dalle file di Al Qaeda, in precedenza addestrati per portare a termine atti terroristici complessi e su vasta scala.  
Sicuramente il rischio esiste e la valenza mediatica che L’ISIS potrebbe ottenere con un “attentato sporco” conferirebbe all’organizzazione prestigio nelle aree di arruolamento e fra i fanatici estremisti che vivono in Occidente. Non solo boia o combattenti destinati all’estremo sacrificio ma anche professionisti esperti in grado di esaltare gli effetti delle Dirty Bombs. Gente disposta a mettere a disposizione la professionalità maturata nel campo nucleare, chimico e medico nelle Università o laboratori occidentali a favore della causa del Califfato.
Sottovalutare questo pericolo potrebbe rappresentare un errore gravissimo da parte dell’Intelligence occidentale, con conseguenze difficilmente quantificabili ma sicuramente gravissime per la sicurezza internazionale.
Fernando Termentini, 3 ottobre 2014, ore 17,0