Un pensiero quello espresso in maniera
semplice e chiara dal dott. Montanari,
che si va ad aggiungere alle iniziative in corso portate avanti dalla
Campagna Internazionale per la messa a bando delle armi all’Uranio Impoverito. (http://www.bandepleteduranium.org/).
URANIO IMPOVERITO:
VEDIAMO DI FARE UN PO’ DI CHIAREZZA
dott. Stefano Montanari –
Laboratorio Nanodiagnostics – Modena
Sull’uranio impoverito io sono impegnato insieme con mia
moglie,
Dopo averne detto e scritto innumerevoli volte, evidentemente
senza risultato apprezzabile, vedrò di essere quanto più semplice possibile,
sperando di fare breccia anche nei cervelli più impervi.
Nel corso delle guerre combattute nei Balcani e in quelle intorno
ai pozzi di petrolio del Medio Oriente non era affatto insolito assistere al
ritorno di militari che presentavano una collezione di sintomi che, allo stato
della Medicina di allora, in associazione reciproca risultavano ben poco
comprensibili quando non del tutto misteriosi. Spesso nello stesso soggetto si
presentavano insieme irritabilità fino all’aggressività, insonnia, perdita di
memoria a breve termine, dolori nella minzione e nell’eiaculazione, sudorazione
profusa soprattutto di notte, spossatezza e, dulcis in fundo, cancri. Cancri al
plurale perché di quelli ne compariva una varietà ragguardevole, anche se i
casi a carico del sistema linfatico e del sangue erano i più frequenti. Ora
vediamo anche cancri tripli, cioè tre tipi diversi di tumori presenti
contemporaneamente nello stesso soggetto. Il tutto iniziava e inizia quasi di regola con un po’ di febbre
e, magari, un po’ di diarrea che vengono catalogate come segni di un’influenza
ed non vengono presi in considerazione nemmeno dal paziente.
Nessuna meraviglia essendo la cosa “normale”: all’inizio, del
fatto non si diede notizia pubblica. Poi le cose cominciarono a trapelare e,
come da copione, le si negò. Questo fino a che negarle non fu più possibile e,
allora, ecco scatenarsi le ipotesi. Lasciando da un canto le più bizzarre,
furono tirate in ballo le tende in cui i militari dormivano, per varie ragioni
tende irrorate da farmaci. Poi furono i medicinali che ai militari venivano
somministrati, a volte senza alcuna indicazione, a volte totalmente al di fuori
di quanto sta scritto nella più elementare prudenza (es. la piridostigmina).
Poi, in maniera più specifica, furono i vaccini da cui i soldati sono
bersagliati in modo tutt’altro che scientifico e senza le più ovvie
precauzioni. Di tutto questo pandemonio di accuse quasi sempre sostenute da
perfetti incompetenti tra cui giornalisti e membri laici di comitati, tutti,
comunque, senza esperienza in proposito, qualcosa resta ancora in piedi, e
questo anche al cospetto di un’evidenza che dovrebbe essere decisiva: delle
stesse sindromi (una sindrome è un insieme di sintomi) soffrono pure tanti
civili che non hanno mai dormito nelle tende, non hanno mai preso i farmaci dei
militari e meno che mai si sono vaccinati.
Ecco, allora, comparire sul banco degl’imputati un accusato
molto più credibile: l’uranio impoverito.
Mi si permetta ora una digressione, peraltro doverosa, visto
che tanti, soprattutto tanti giornalisti, ne dissertano ma pochi sanno di che
cosa stanno parlando: che cos’è l’uranio impoverito che d’ora in avanti
sigleremo come si fa abitualmente DU (Depleted Uranium)?
L’uranio è un elemento metallico niente affatto raro nella
crosta terrestre dove è presente per circa 1,3 parti per milione ed è molto più
comune di altri metalli come, ad esempio, l’argento (0,055 parti per milione).
In natura esistono tre isotopi di uranio (lo stesso elemento chimico può
esistere con masse diverse perché nel suo nucleo ci sono più o meno neutroni;
le proprietà chimiche sono le stesse, mentre variano quelle fisiche).
Nell’uranio naturale gl’isotopi sono il 238, il 235 e il 234, con il primo
presente per il 99,3%, il secondo per lo 0,7 e il terzo è estremamente raro.
È il 235 ad avere interesse perché trova applicazione per
scopi nucleari, dalle bombe alle centrali di energia. Se si vuole ottenerlo per
questi usi si mette in atto un’operazione piuttosto complessa con cui si
arricchisce il 238 con il 235 prelevato da grandi quantità di altro uranio
naturale. Quello che si ottiene è da una parte uranio arricchito del prezioso
235 e dall’altra ciò che resta, cioè tanto 238 quasi privo di 235, e questo è
il famoso DU: di fatto un rifiuto.
A questo punto sorge il problema di che cosa fare di questo
DU che risulta imbarazzante un po’ per il suo altissimo peso specifico (otre 19
volte quello dell’acqua) e molto perché è radioattivo. Al di là dei nascondigli
più o meno efficaci in cui si cerca di sottrarlo alla percezione comune,
qualche impiego gli si è trovato nei contrappesi per ascensori, nelle chiglie
delle barche da competizione, nei bilanciamenti degli aerei, nelle punte delle
sonde petrolifere e negli schermi che si usano come ripari per i raggi X, ma di
quella roba da sistemare da qualche parte ne resta ancora tanta perché, per
produrre uranio arricchito, in particolare quello per uso bellico dove è
necessario moltissimo 235, occorrono quantità enormi di uranio naturale. Il
colpo di genio degli Anni Settanta fu di accorgersi che il rifiuto DU può
essere usato nei proiettili grazie al suo essere un ottimo penetratore e alla
sua piroforicità, vale a dire alla sua proprietà di sviluppare una temperatura
di un po’ più di 3.000 °C
quando, in ambiente di aria, subisce uno shock. Così gli scienziati militari
statunitensi cominciarono a studiare proiettili all’uranio impoverito,
strumenti bellici quanto mai efficaci che avevano il vantaggio collaterale di
liberarsi di un po’ di uranio ormai inutilizzabile trasformandolo in particelle
visibili solo al microscopio elettronico. Di fatto la Legge di Conservazione
della Massa ci assicura che, qualunque cosa si faccia, non va perduto un solo
atomo, ma occhio non vede…
A fine Anni Settanta il centro militare USA di
Eglin approntò un documento che restò per lungo tempo segreto, per poi
comparire quatto quatto, senza la minima pubblicità, parecchio più tardi. In
quelle poche pagine s’illustrano gli esperimenti compiuti e si sottolinea come
pochi chilogrammi di DU, un piccolo volume a causa dell’altissimo peso
specifico di quel metallo, potessero di fatto vaporizzare il bersaglio
producendo poi particelle sferiche di piccolissime dimensioni. Allora di
nanopatologie, cioè di malattie da micro- e nanoparticelle, non si parlava
ancora, ma già chi compilò il rapporto sollevò il problema sanitario: quelle
polveri così sottili potevano essere inalate provocando danni alla salute.
Esattamente quali non era ancora nell’esperienza medica, ma che i danni ci
fossero era già ovvio quasi quarant’anni fa.
Il 1° marzo 1991,
a distanza di oltre una dozzina d’anni dal documento di Eglin,
il Laboratorio Nazionale di Los Alamos nel New Mexico scrisse un breve
memorandum in cui diceva che, salvo obiezioni dovute all’efficacia del DU,
queste armi potrebbero diventare “politicamente inaccettabili ed essere
cancellate dall’arsenale.” Il problema era l’impatto pesantissimo
dell’armamento sull’ambiente, cosa di cui gli americani, ancora ignari degli
effetti reali sugli organismi viventi, erano comunque già ben consci.
Ma il DU era troppo bello per essere accantonato e il suo uso
s’intensificò, con le zone di cui ho detto sopra, Balcani e Medio Oriente,
diventati teatri consueti del suo uso, ma è del tutto plausibile che il DU sia
stato usato anche in qualcuna delle tante guerre, magari poco note, che si
combattono sul Pianeta . Non so se sia il caso di sorprendersi se gli americani
che tra ex Jugoslavia e Iraq combattevano presero delle vistose anche se un po’
rozze precauzioni mentre altri eserciti, non saprei dire se per mancata
informazione o per superficialità, di precauzioni non presero altra se non
quella di negare che il DU fosse utilizzato.
Nel tempo, poi, i documenti americani che provano come le
conseguenze dell’uso di quei proiettili fossero sempre più note si sono
accumulati.
Molto in breve, vediamo che cosa accade quando si spara uno
di quei proiettili.
Come ho detto, a causa della sua piroforicità bersaglio e
proiettile vengono di fatto aerosolizzati e trasformati, così, nei loro
costituenti di piccolissime molecole o, più spesso, di atomi. Queste sostanze
vengono scagliate relativamente lontano dal punto d’impatto e trovano in breve
un ambiente di gran lunga più freddo dei 3.036-3063 °C in cui si sono
formate. In questo ambiente più freddo atomi e piccole molecole si condensano
velocemente in modo del tutto casuale, tanto da avere composizioni chimiche
elementari anche molto complesse, formando delle sfere cave con la superficie
cristallina ed estremamente fragile, tanto da rompersi al minimo urto in
frammenti come è naturale ancora più piccoli. Queste particelle sono talmente
minuscole e leggere da comportarsi sotto diversi aspetti come gas e, come tali,
galleggiano nell’aria potendo compiere viaggi anche di migliaia di chilometri.
Giusto come noterella di attualità, è di questi giorni la scoperta nei ghiacci
delle Ande dei residui grossolani (rispetto alle polveri di cui ci stiamo
occupando) di piombo e arsenico provenienti da una miniera d’argento sfruttata
dagli spagnoli dal 1572 al Settecento. Quei residui uccisero migliaia di
persone e sono stati trovati intatti a 5.600 metri d’altitudine,
a 800 km
dalla miniera. Le nostre polveri pesano anche molte migliaia di volte meno di
quelle andine e, dunque, non è difficile immaginare che distanze possano
coprire.
Deve essere chiaro che quelle polveri sono molto spesso
“eterne”, con ciò intendendo che moltissime di loro non sono degradabili.
Dunque, una volta prodotte è per sempre e terra, aria e acqua non se ne
libereranno mai. Non ci si illuda che siano possibili bonifiche, e questo non
solo per motivi economici. Le quantità, la diffusione, la mobilità, la
dimensione con la capacità d’insinuarsi dovunque renderebbero qualunque
tentativo appena efficace su una frazione talmente esigua dei materiali in
gioco da renderlo velleitario.
Quei piccolissimi frammenti di materia ora così diversi chimicamente
da ciò da cui avevano avuto origine vengono inalati e respirati raggiungendo
zone molto profonde dell’apparato respiratorio, fino ad entrare almeno in parte
negli alveoli polmonari. Da lì, nel volgere di poche decine di secondi, passano
nel sangue dove, nei soggetti che non producono nel loro organismo alcune
sostanze capaci di contrastare la formazione di trombi (attivatori del
plasminogeno) provocano un’ipercoagulazione del sangue con conseguenti
tromboembolie polmonari nel comparto venoso oppure, in arteria, ictus e
infarto. Negli altri soggetti quelle polveri proseguono il loro viaggio fino ad
entrare in qualunque organo, compreso il cervello che non pare essere dotato di
alcuna protezione particolare, con la barriera emato-cerebrale, in altre
circostanze protettiva, priva di efficacia. Entrate nell’organo o nel tessuto,
le particelle vengono catturate come accadrebbe in qualunque filtro meccanico,
e non esistono processi fisiologici o farmacologici per liberarsene. Così quei
granelli solidi e inorganici restano in loco, venendo percepiti per quello che
sono: corpi estranei. La reazione a questa intrusione ineliminabile è la
formazione di un tessuto infiammatorio che circonda e isola le particelle. Una
condizione simile è all’origine di forme di cancro, come riporta un’enorme
letteratura medica.
Ma quelle polveri fanno anche altro. Se entrano nel cervello,
vanno a provocare danni nervosi come quelli citati tra i sintomi riferiti alle
sindromi contratte nei Balcani e in Medio Oriente; se vanno nel pancreas
possono indurre un diabete di tipo 1 bloccando la formazione d’insulina; se
passano nello sperma danno sterilità e inducono la formazione di piaghe
sanguinanti e dolorose nel canale vaginale della partner sessuale; se ad essere
colpita dalle polveri è una donna gravida, si può avere un aborto o il parto di
un bambino malformato o di un bambino già malato di cancro.
Ad aggravare la situazione c’è la radioattività del DU. Non
si tratta di una radioattività particolarmente marcata, ma è ovvio che, laddove
di DU se n’è usato parecchio, la radioattività c’è eccome e questa condizione è
una concausa responsabile dell’innesco delle patologie, patologie che, non
saprei dire se è anche per questo, nei militari che abbiamo avuto occasione di
analizzare (e sono circa 200), osservandone al microscopio elettronico i
tessuti patologici e trovandoci le particelle incriminate, si manifestano con
una rapidità ragguardevole.
I civili controllabili sono relativamente pochi:
principalmente giornalisti e operatori di organizzazioni non governative. La
soverchiante maggioranza dei civili ammalati appartiene a zone in cui
l’assistenza sanitaria non è certo di prim’ordine né queste persone hanno
accesso al nostro laboratorio, purtroppo l’unico in cui si eseguono le indagini
nanopatologiche del caso. Ci arrivano, invece, i casi di militari e in qualche
occasione questi sono venuti anche dall’estero.
Per ognuno di loro, oltre a dover affrontare la situazione
oggettivamente terribile di una malattia gravissima e del lavoro perso, ci sono
le condizioni umilianti di dover affrontare gravi difficoltà economiche e un
processo contro lo stato datore di lavoro per cercare di far valere i propri
diritti di lavoratore. Non dimentichiamo che, ufficialmente, i militari non
sono mai andati a fare la guerra ma sono andati in missione di pace. Dunque,
lavoratori.
Non è un mistero per nessuno che, dal punto di vista della
propria economia, l’Italia corre su un filo sospeso altissimo da terra e non
sorprenderà nessuno se lo stato cerca di sottrarsi ai propri obblighi legali e,
ancor prima, morali, lasciando i militari ammalati abbandonati e senza un
soldo. Per fare questo ogni appiglio pare possibile. Già qualche anno fa la
Difesa organizzò una riunione di “scienziati” (inevitabili le virgolette)
presso la sede del CNR di Roma e costoro, nessuno dei quali aveva la benché
minima esperienza in proposito al di là di qualcuno che aveva eseguito
esperimenti del tutto privi di qualunque significato (e sono generoso),
conclusero che, in fondo, le particelle come quelle di cui ci stiamo occupando
sono innocue. Al dei là della scienza a livello mondiale, è l’Organizzazione
Mondiale della Sanità a smentire quei personaggi le cui esternazioni, per
quanto grottescamente infondate e basate su un ancora più grottesco “lei non sa
chi sono io”, sono sicuramente servite in qualche circostanza per sottrarsi al
risarcimento dovuto a qualcuno. Per fortuna esistono giudici che fanno
giustizia e per diversi soldati sono già cominciate ad uscire sentenze a
favore.
Naturalmente non è questo ciò di cui mi devo occupare io, per
mestiere relegato nella freddezza di un laboratorio scientifico, ma di tanto in
tanto quei ragazzi li incontro non solo nelle loro biopsie ma per davvero in
carne ed ossa. Non sono tanto le loro sofferenze a lasciarmi senza parole: sono
la loro delusione e la loro dignità.
Dott.
Stefano Montanari- 16 febbraio 2015, ore 09,00
1 commento:
...avevo già letto questa questione ma l'articolo era delle moglie. Poco importa di fatto è una vera tragedia.
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