Fino ad oggi solo silenzio assordante iniziato dopo le ultime
parole del Premier Renzi che invitava a non parlare, seguite da quelle del
Ministro Gentiloni che informava che si stava discutendo con l’India una
proposta italiana, impegnando anche i nostri Servizi di Intelligence, nemmeno
si stessero barattando ostaggi rapiti da terroristi.
Parole quelle del Ministro degli Esteri confermate improvvisamente
dal suo equivalente indiano e che ricordavano
a chi ha seguito fin dall’inizio la vicenda, un’ipotesi vergognosa per la visibilità
internazionale dell’Italia: quella di accettare che l’India “punisse” i due
Fucilieri di Marina con una modesta condanna, rimandandoli poi in Italia in
base all’accordo bilaterale sullo scambio di prigionieri dell’11 agosto 2012.
Ieri,
improvvisamente, un’ANSA rompe il tacere
istituzionale ed informa che una
delegazione della commissione Difesa della Camera dei Deputati si era recata a
Taranto in visita al convalescente Latorre, proponendoci dichiarazioni del
Presidente della Commissione Difesa delal Camera dei Deputati che inducono,
almeno in chi scrive, un dubbio. Forse da Delhi stanno arrivando notizie non
rassicuranti per la soluzione della vicenda ed avvicinandosi la scadenza del 12
aprile dopo tanto silenzio era opportuno un segnale “politico”.
Scarne parole
di circostanza quelle dell’Onorevole Elio Vito "Massimiliano è un uomo forte,
ma allo stesso tempo è provato e segnato da questa esperienza''. Un umano
segnale di vicinanza alla persona sofferente, ma che non ci dicono nulla su
quello che lo Stato sta facendo per risolvere il problema.
Il dubbio
aumenta continuando a leggere la dichiarazione del Presidente. ''Siamo
venuti qui per esprimere alla vigilia della scadenza del rientro in India una
diversa consapevolezza ……. Noi pensiamo che non dobbiamo discutere in questi
giorni se Massimiliano
Latorre deve o meno tornare in India, ma dobbiamo discutere
di come Salvatore Girone deve tornare in Italia''.
Affermazioni
che inducono un unico pensiero : il tempo del confronto dovrebbe essere finito
ed invece si continua a brancolare nel buio. Siamo ancora lontanissimi da una
soluzione della vicenda che non sia fondata su compromessi, anche se l’Onorevole
Vito conclude riaffermando “la necessità di ricorrere alle autorità
internazionali per la risoluzione del caso'' e sollecita che le Istituzioni ringrazino i nostri
militari impegnati in operazioni rischiose, delicate, nell'interesse del Paese.
Parole che
abbiamo già sentito varie volte in questi tre anni, ripetute in ogni
circostanza ufficiale ed anche “ritagli” di discorsi ufficiali ai massimi
livelli Istituzionali. Sempre eguali nei contenuti e nella terminologia,
riproposte senza nemmeno tentare di rinnovarne la forma ricorrendo alle diverse
opzioni lessicali che la lingua italiana mette a disposizione.
Anche questa volta viene rispettata una tradizione tutta italiana
mai mutata nel tempo. Parole molte, fatti pochi . Espressioni di intenti
istituzionali che mi tornano alla mente a distanza di qualche decennio. Parole che
in un certo senso offendono l'intelligenza e l'etica dei militari che operano
nel mondo per garantire sicurezza, in particolare per coloro (morti, feriti ed
invalidi) che hanno donato la loro vita
allo Stato per affermare i valori dell’Onore e della lealtà.
Testimonio, per averlo vissuto in prima persona molti anni orsono,
che le abitudini non sono mutuate nel
tempo, le parole di oggi sono pressoché
analoghe a quelle che udivo ogni volta
che partivo o rientravo da una missione all'estero a partire dagli anni ’80.
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