A
breve dovrebbe essere ufficializzato il Libro Bianco della Difesa, per ora
preceduto da linee guida pubblicate “online”, molto ermetiche e presentate
ricorrendo ad un linguaggio complesso, comprensibile solo ad una modesta
cerchia di “addetti ai lavori”.
In
tempi passati l’uso del condizionale era d’obbligo nella redazione dei
documenti ufficiali dei vari SM, prerogativa che dava ampi spazi di
interpretazione e possibilità di rimodulare “senza danno” posizioni e
valutazioni. Nel redigere le Linee Guida, invece, questa tradizione è
decaduta, sostituita da un modo verbale diverso, solo presente e futuro. Un testo involuto e quindi preda di ogni
interpretazione ritrattabile in
qualsiasi momento. Un risultato migliore di quanto la tradizione del “gerundio” avrebbe consentito e destinata a
lasciare poco spazio a possibili soluzioni condivise, ma rimandando a pochi la decisione finale.
Un
testo la cui stesura, con buona certezza, non è stata affidata ad un Gruppo di
Lavoro articolato composto da militari e
tecnici del settore, integrati da professionalità consolidate della società
civile e che evidenzia anche la mancanza del supporto di pensiero della rappresentanza militare, il COCER.
Una
conferma della volontà di voler gestire
il problema solo sul piano politico, relegando i tecnici del settore a meri
esecutori passivi. Un approccio assolutamente diverso da quello seguito da
quasi tutti i maggiori Paesi occidentali impegnati a riorganizzare uno
strumento militare che in futuro sarò destinato a coniugare la congiuntura
economica con l'esigenza di affrontare in maniera affidabile le nuove minacce
globali che si affacciano all’orizzonte.
Un’ermeticità
di linguaggio che non chiarisce nemmeno in maniera esplicita ed inequivocabile
quali saranno le prospettive lavorative dei cittadini che decidessero di
arruolarsi. Una grave carenza che se confermata nel testo finale indurrebbe
disaffezione per le FFAA, penalizzando pesantemente gli arruolamenti. Chi
sceglierebbe, infatti, di fare il militare con la prospettiva di interrompere
improvvisamente il rapporto di lavoro senza che lo Stato garantisca nulla sul
piano lavorativo ?
Un
dubbio indotto da un passaggio
importante delle Linee Guida di un documento che dovrebbe raccontarci come
saranno le nostre FFAA nei prossimi quindici anni, quando si fa riferimento
all’esigenza di disporre di Forze Armate
giovani. Forse si pensa ad un tipo di
servizio come avviene in molti Paesi europei, ad esempio con una ferma
ventennale ?
Un
principio condivisibile che tiene conto del peculiarità dello status militare
ma che nello stesso tempo manca, però,
di una precisazione fondamentale. Cosa faremo fare ai nostri militari dopo venti anni di
servizio ? Si sarà disposti a riconoscere la peculiarità dello status come
avviene in molti Paesi europei ricollocando il personale in altre mansioni
pubbliche o saranno semplicemente collocati in congedo ?
In verità ci saremmo aspettati,
quindi, di leggere Linee Guida più lineari, meno ermetiche nei
contenuti, più concrete nella analisi dello scenario politico-strategico e più
esplicite sul modo con cui si intenderà interagire con le realtà internazionali
di cui l’Italia fa parte. Solo un cenno sfumato e generalizzato ai doveri
conseguenti all’appartenenza alla NATO, nessun
riferimento preciso alle Nazioni Unite, poco, e comunque nulla di
concreto, all’Unione Europea.
Non si legge nemmeno la volontà di affrontare temi importanti,
come quello di un’auspicabile modifica della Costituzione che consenta al
Consiglio Supremo di Difesa di operare anche come Consiglio di Sicurezza, a totale vantaggio della sicurezza nazionale
qualora minacciata da eversione interna
o terroristica, soluzione già in essere in molti Paesi europei.
Nessun cenno nemmeno sull’opportunità di
prevedere una Riserva / Guardia Nazionale dislocata sul territorio su base
areale, pronta e formata per essere impiegata anche Fuori Area in interventi
di stabilizzazione a “bassa valenza” e
sul territorio nazionale anche e soprattutto in caso di Pubbliche Calamità. Si
fa, invece, riferimento all’intenzione di preparare le nuove FFAA “ad uno stretto coordinamento con il
personale diplomatico e di altri dicasteri, ma anche di organizzazioni
internazionali, governative e non”.
Una dichiarazione di intenti, questa
ultima, che per specifica esperienza pregressa di chi scrive potrebbe essere
destinata a fallire in quanto dichiarata unilateralmente in un documento alla
cui stesura non è detto che abbiano fornito un supporto di pensiero i
rappresentanti delle realtà con cui si auspica il coordinamento. Una scelta
completamente diversa da quelle adottate da altri Paesi come la Francia, la
Germania la Gran Bretagna
e gli USA.
Si
legge, invece, che probabilmente l’intero Libro Bianco sarà elaborato
sviluppando un teorema fondato su astrusi acronimi matematici ( “I” ed
“E”, elevato alla terza potenza). Ossia
“Interforze, Internazionale, Interoperabile” e che sia “Efficace, Efficiente ed
Economico”- Parametri poco coerenti fra
loro nel momento che la collocazione internazionale e l’interoperabilità mal si
coniugano con l’economicità e l’efficienza. Peraltro nulla è detto sulla
riorganizzazione formativa che dovrebbe portare a conseguire un siffatto
obiettivo attraverso un addestramento attualizzato e multidisciplinare,
sicuramente costoso ma indispensabile in termini di costo / efficacia. Nemmeno,
poi, un riferimento all'esigenza di
formazione e sviluppo nel campo della capacità di una "cyberdefence",
autonoma nella
produzione dei sistemi di sicurezza e che accresca l'affidabilità dei sistemi
informativi dello Stato e dei grandi operatori.
Quasi
certamente un’elaborazione affidata ad una cerchia ristretta di “pensatori”
dando anche poco spazio agli Stati Maggiori
di Forza Armata, seguendo un metodo di lavoro molto diverso da quello
applicato nei maggiori Paesi europei. In Francia, per esempio, per la stesura
del Libro Bianco della Difesa avviata nel 2013 per realizzare un modello di
difesa valido fino al 2025 è stata
istituita una Commissione composta da 3 deputati (Presidente della Commissione
Difesa e due membri della stessa) e 3 senatori (Presidente e due vicepresidenti
della Commissione Esteri), responsabili delle amministrazioni
della Difesa, degli Affari Esteri, dell'Economia e finanze, dello
Sviluppo produttivo, dell'Interno, della Ricerca, nonché numerose personalità
qualificate del mondo scientifico (come
la Direttrice dell'EDA omologo francese del CNR), dell'Università, Consiglieri
di Stato e della Corte dei Conti. Inoltre ne hanno fatto parte anche un rappresentante della Germania e uno del
Regno Unito, per sottolineare l'apertura dei lavori ad una piena dimensione
europea ed internazionale.
La
Commissione francese incaricata della stesura del Libro bianco ha sviluppato il
lavoro istituendo gruppi di lavoro
tematici, quali: contesto strategico, quadro d'azione e obiettivi politici,
sicurezza nazionale, informazione, strategia di ingaggio e coerenza dei sistemi
di forza, tecnologia e industria, economia della difesa, gli uomini e le donne
della difesa e sicurezza
nazionale
Inoltre,
il Ministero della Difesa francese ha dato ampia voce al proprio personale
aprendo nella rete Intranet (Intradef) un sito dedicato alla riflessione sul
Libro Bianco consentendo al personale
civile e militare
della Difesa (compresa la Gendermerie), di seguire i lavori ed esprimere
pareri, anche sotto pseudonimo. Contributi di pensiero, soprattutto in materia
di risorse umane, raccolti e consegnati alla Commissione che le ha recepiti ed
inseriti nel Libro Bianco.
Leggendo
le Linee Guida del Libro Bianco della Difesa italiana. non emerge, invece, un concorso di pensiero
così allargato. Piuttosto, si ha l’impressione che sia mancato l'auspicabile
coagulo di expertise dei vari attori protagonisti nel settore sostituito
dall'enunciazione di intenti, riconducibili ad
un gruppo di “intelligenze illuminate” non per esperienza specifica, ma
per incarico istituzionale rivestito.
Un
dubbio rilevante indotto soprattutto dall’assenza di riferimenti su come si
intenda rivitalizzare l’apparto formativo militare e come si intenda gestire il
ruolo di una futura rappresentanza militare. Un COCER del domani che ormai in
tutte le FFAA delle democrazie evolute costituisce una vera e propria
rappresentanza sindacale.
Molti,
quindi, i “buchi neri” nell’ermeticità delle Linee Guida. In
particolare come accennato in precedenza nel settore della formazione
ed in quello della rappresentanza militare. Per quanto attiene all’aspetto
addestrativo poco viene detto e con ogni probabilità poco spazio troverà nella
stesura finale del Libro Bianco. Si parla solo di “elemento umano che è e
rimarrà centrale in ogni soluzione potenzialmente individuabile al fine di
rendere pienamente efficace il modello valoriale ed operativo che sarà definito
appare ineludibile interrogarsi sulla coerenza, attualità ed economicità
dell’attuale impostazione formativa ….”. Concetti ermetici che poco o nulla
dicono.
Nulla
è specificato sul diritto dei militari di poter avere una rappresentanza
sindacale, disattendendo un aspetto importante della futura riorganizzazione di
FFAA del futuro, destinate ad avere un ruolo attivo in una democrazia moderna.
Tutto ciò nonostante che i diritti
sindacali rappresentano una legittimità costituzionale anche per i militari e
nonostante i pronunciamenti della Corte Europea dei diritti umani che ha
depositato due sentenze affermando in entrambe la violazione dell’Articolo 11
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo da parte degli Stati che
vietano la costituzione di sindacati o di associazioni professionali tra i
militari.
Un
diritto sancito fin dal 1981 dalla “Convenzione relativa alla protezione del
diritto di organizzazione e alle procedure per la determinazione di impiego
della Funzione pubblica entrata in vigore il 25/02/1981, (Convenzione OIL
C151/78), che all’articolo 1 riporta testualmente “La presente convenzione si
applica a tutte le persone impiegate dalle autorità pubbliche, nella misura in
cui non vengono loro applicate delle disposizioni più
favorevoli contenute in altre convenzioni internazionali del lavoro” e
puntualizza “La legislazione nazionale determinerà la
misura in cui le garanzie previste nella presente convenzione si applicheranno
alle forze armate e di polizia”.
Se
questo tipo di dialogo sociale ben regolato funziona in Danimarca, Svezia,
Paesi Bassi, Germania e molti altri Paesi, non si comprende perché non dovrebbe
essere possibile anche in Italia. Peraltro, il Presidente di Euromil, l’organizzazione che rappresenta sindacati e
associazioni militari in Europa, ha recentemente espressamente dichiarato che
l'Italia dovrebbe prevedere i sindacati per i militari non perché
"l'Europa lo vuole", ma perché l'Italia rispetta la legislazione internazionale!
Solo
un cenno al problema della “peculiarità militare”, ma zero su come essa potrà essere garantita
in assenza di rappresentanze di categoria con vere e proprie connotazioni
sindacali. Il problema viene affrontato, invece, con una circonlocuzione di parole che nulla
chiariscono quando si parla di “tutela e valorizzazione e dei vincoli di ordine
umano e sociale che la stessa (peculiarità militare) sottende”.
L’articolo
68 delle Linee Guida esprime, piuttosto, un concetto arcaico laddove tratta il
riconoscimento della peculiarità militare con una frase che non è azzardato
definire sibillina: “riconoscendo a tale
condizione una differenza tanto marcata
dal pubblico impiego da superare il rapporto di genere e specie che fino ad ora
ha condizionato entrambi i domini”. Una dichiarazione di principi che lascia
intendere l’intenzione dell’assoluta esclusione della possibilità
dell’istituzione di un sindacato militare che garantisca dignità
e morale al nostro personale. Si è preferito, invece, ritornare su un concetto
arcaico, quello di "superare il
rapporto di genere e di specie" che rimanda le FFAA indietro di almeno
20-30 anni, lasciando intendere che tutto sarà attualizzato con decisioni
verticistiche senza coordinarsi con
una rappresentanza che rappresenti
l’elemento vitale di qualsiasi apparto militare, le risorse umane.
Un
diritto che invece almeno 23 Nazioni riconoscono alle loro FFAA e che lasciano
ancora una volta quelle italiane al “palo” nonostante che sempre di più saranno
destinate a cooperare con realtà che prevedono nel loro ambito l’esistenza di
organismi con il compito di tutelare la dignità del personale.
Un
documento che ancora una volta evidenzia la volontà di riscrivere
l’organizzazione del sistema Difesa / Sicurezza del Paese affidandola
principalmente al pensiero di realtà politiche, escludendo la riflessione di
altre oggettività nazionali alle quali si fa puranche riferimento come
possibili componenti del network operativo del futuro e, soprattutto,
escludendo il coinvolgimento del COCER che rappresentala la realtà delle nostre
FFAA nelle caserme, negli aeroporti e sulle navi.
Un’unica
speranza : una volta che il Libro Bianco sarà assegnato alla valutazione del
Parlamento, si auspica che emergano queste dicotomie e si ricorra almeno al
parere consultivo di chi in base all’esperienza acquisita potrà fornire un
supporto di pensiero costruttivo sulle esigenze di formazione delle
nostre FFAA e di coloro che come parte attiva dei COCER vivono
quotidianamente i problemi ed i disagi dei colleghi operativi.
Un
lavoro integrativo assolutamente necessario, se si vorrà evitare che ancora una
volta le nostre FFAA siano “diverse” da quelle di altri Paesi con le quali
saranno sicuramente chiamate ad operare all’emergenza.
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