martedì 28 settembre 2010

Paramilitari in Afghanistan

Il 22 settembre il quotidiano USA Washington Post ha confermato la notizia sulla presenza di paramilitari impiegati in Afghansitan nel contrasto alle forze talebane. Truppe che dovrebbero essere acquartierate in un fortino di mattoni di fango “Forte Alamo”, in territorio afgano a circa 7 chilometri dal confine con il Pakistan. Ufficialmente la base è chiamata “Firebase Lilley” ed è considerata un punto strategico per l’organizzazione ed il coordinamento della lotta segreta contro Al - Qaeda. La base è utilizzata come un centro nodale per la formazione dei circa 3000 paramilitari ed il loro impiego sul terreno, suddivisi in squadre antiterrorismo nelle varie Province afgane. La struttura operativa è formata sul modello delle forze speciali Usa. E’ chiamata “Counterterrorist Pursuit Team (CPT)” ed ha il compito principale di infiltrarsi nei territori controllati da talebani e da Al Qaeda per acquisire informazioni ed individuare possibili obiettivi. I CPT sono utilizzati per la sorveglianza del territorio, in raid ed in operazioni di combattimento e rappresentano un significativo elemento nella lotta contro i Talebani insediati in Pakistan. L'esistenza di queste squadre è confermata dai documenti classificati inseriti recentemente nel sito web WikiLeaks sulla guerriglia afgana dal 2004 alla fine del 2009 che riportano di attività svolte da paramilitari in particolare lungo il confine del Pakistan, con lo scopo prioritario di individuare i leaders talebani. Oltre a Firebase Lilley dovrebbero essere operative basi anche nella Provincia di Patika, Khost ed a Kandahar. La presenza di queste strutture ha consentito di coprire nel tempo i vuoti di informazione ricorrenti fino a quando le attività di intelligence nelle aree tribali sono state esclusivo appannaggio dell’ISI pakistano che ha gestito le notizie con valutazioni spesso particolari e discutibili. Gli americani e la NATO potendo fare riferimento solo a questo flusso informativo il più delle volte sono arrivati in ritardo per contrastare la possibile presenza di Al Qaeda o di eventuali forze talebane a ridosso del confine con l’Afghanistan, in particolare nella North West Frontiere pakistana. Una carenza di informazioni che spesso ha anche vanificato la possibilità di catturare lo stesso Bin Laden. L’operatività dei CPT è cresciuta nel tempo con risultati affidabili che ormai consentono di disporre sul terreno di un network in grado di acquisire informazioni e, se del caso, di guidare da terra ed in tempo reale blitz con l’impiego di forze terrestri o anche solo di Drone. Lo confermano i risultati conseguiti in recenti attacchi della NATO effettuati con successo nelle Aree Tribali pakistane anche se hanno provocato la reazione di Islamabad. Due elicotteri Apache hanno colpito una base talebana in territorio pakistano, uccidendo oltre cinquanta guerriglieri della cosiddetta 'Rete Haqqani', vicina ad Al Qaeda, senza provocare, come in passato, danni collaterali. In un’altra azione condotta con Drone nella provincia orientale afgana di Khost sono morti 49 guerriglieri. Si è trattato del 19esimo raid compiuto negli ultimi 24 giorni dagli aerei senza pilota Usa sulle aree tribali del Pakistan, storiche roccaforti di Al Qaeda e dei Talebani ed anche in questo caso i bombardamenti non hanno provocato vittime fra la popolazione civile. Successi che indicano una maggiore e più affidabile attività di intelligence sul territorio ottenuta proprio con l’impiego dei CPT, strumenti che, però, devono essere gestiti con attenzione per non correre il rischio che possa essere prevaricata “l’etica di guerra” a danno della popolazione civile e per non pregiudicare le già pessime relazioni tra Pakistan e Afghanistan ed i rapporti del Pakistan con gli USA.
28 settembre 2010

lunedì 20 settembre 2010

Afghanistan, otto bambini massacrati dall’esplosione di un razzo contro carro

Una domenica assurda nella provincia settentrionale afgana, otto bambini sono stati uccisi dall’esplosione accidentale di un razzo RPG7 raccolto integro sul terreno perchè non esploso. Sicuramente un’arma utilizzata da Talebani considerandone la tipologia assai diffusa nel Paese. Habibullah Mohtashim, capo del distretto dove è avvenuto l’evento ha riferito di “sette dei bambini sono morti sul colpo e un altro è deceduto successivamente durante il trasporto in Ospedale” (Ansa/Reuters). L’episodio dimostra che in Afghanistan anche settori essenziali come quello della bonifica del territorio e della sensibilizzazione della popolazione a convivere e difendersi da ordigni bellici non esplosi, non occupano più l’interesse di chi dal 1989 si è impegnato nel Paese per affrontare lo specifico problema. Un evento tragico su cui non si deve speculare, ma che non può essere sottaciuto in particolare in previsione di “lasciare tutto in mano agli afgani dal prossimo 2011”. L’episodio ci riporta al passato, quando fatti simili rientravano nella ineluttabilità del quotidiano e non meravigliava più di tanto. Un concetto fatalistico che, oggi, non può più essere accettato in particolare considerando che proprio in Afghanistan è iniziata nel 1989 la prima operazione internazionale per affrontare il problema della bonifica dei territori post bellici inquinati da mine ed ordigni bellici inesplosi pronti ad uccidere (ERW - Explosive Remants of the War). A Kabul negli anni ’90 fu fondata la prima struttura di Coordinamento di queste attività specifiche gestita dalle Nazioni Unite e da cui sarebbe nata l’Agenzia ONU UNMAS (UN Mine Action Service). In quegli anni furono addestrati e coordinati anche da esperti militari italiani migliaia di afgani specialisti nelle attività specifiche che nel tempo hanno dato vita a locali Organizzazioni Non Governative locali ed imprese commerciali strutturate per occuparsi di bonifica del territorio da ERW. In sovrapposizione programmi di informazione capillare a favore della popolazione civile, in particolare donne e bambini, per aiutarli a convivere con il pericolo specifico senza incorrere in incidenti (Mine Risk Education e Mine Awarennes). A partire dal gennaio 2002, dopo la fine della guerra, l’attività, in parte contrastata durante il periodo dei Talebani, è ripartita su larga scala con la partecipazione di decine di esperti internazionali accompagnati da decine di milioni di dollari donati dalla Unione Europea, dalle Nazioni Unite e direttamente dai singoli Stati fra cui l’Italia. Danaro impegnato per riorganizzare la struttura di bonifica, per attivare a macchia di leopardo sul territorio veri e propri centri di formazione / informazione della popolazione in particolare scolare e rurale sui comportamenti da tenere in caso di presenza di ERW. A partire da marzo del 2002 centinaia di migliaia di cartelli con fotografie, messaggi di avvertimento, schemi di comportamento redatti nelle due lingue principali locali ed in inglese, sono stati posti nei villaggi, lungo le strade, davanti alle scuole portando in 6 mesi ad abbattere in maniera significativa il numero di incidenti. Per garantire al sistema affidabilità in questi anni sono stati rivitalizzate ONG locali come Omar, Halo Trust, ATC, per citare le più importanti, con lo scopo specifico di bonificare ed accompagnare e precedere le attività operative con quelle di sensibilizzazione a livello scolastico e villaggio per villaggio. Ieri otto ragazzini hanno raccolto un razzo contro carro. Lo hanno probabilmente confuso con un bastone perché a loro mancava l’informazione che qualcuno doveva fornire. L’arma è esplosa e li ha uccisi. Sicuramente qualcosa in precedenza è stato omesso o sottovalutato. Un gap inaccettabile che deve essere immediatamente colmato prima che altri eventi del genere si ripetano. Innanzi tutto controllare se l’utilizzo delle risorse finanziarie disponibili è gestito con attenzione ed oculatezza per raggiungere gli obiettivi prefissati e se l’impegno e la preparazione di coloro cui sono affidate le risorse è adeguata. Investigazioni cui dovrebbero partecipare anche gli esperti militari nel settore della bonifica del territorio, punte di eccellenza di tutti i Contingenti militari che fanno parte della Coalizione Nato. Iniziative destinate a salvare delle vite e per verificare, “prima di lasciar l’Afghanistan agli afgani”, se la corruzione sta insinuandosi anche in questo particolare settore che per molti ha sempre rappresentato un business di tutto rispetto.
20 settembre 2010

domenica 19 settembre 2010

Osama Bin Laden, rappresenta ancora una minaccia ?

Dopo nove anni dall’attentato alle Torri Gemelle del 11 settembre 2001 qualcosa anche di inedito aiuta a comprendere come mai Osama Bin Laden, se vivo, è ancora latitante. Quasi nove anni fa, Bin Laden ed altri membri della leadership di Al Qaeda, in previsione di quanto sarebbe accaduto dopo l'attentato alle Tori Gemelle, abbandonarono i loro rifugi nelle grotte delle montagne di Tora Bora, raggiungendo le Aree Tribali pakistane a ridosso del confine con l’Afghanistan. In questi anni la pressione bellica esercitata sull’Afghanistan dalla coalizione anglo americana negli anni immediatamente prima dell’attacco all’IRAQ e poi dal Contingente multinazionale della NATO ha imposto a Bin Laden prudenza nel riorganizzare il network terroristico. Non gli ha impedito, però, di incontrare nel febbraio del 2003 in Pakistan Khalid Sheikh Mohammed ideatore e coordinatore dell’attentato negli USA, poco prima dell’inizio degli attacchi a Bagdad ed immediatamente prima che costui fosse catturato. E’ indubbio, quindi, che nonostante una situazione di assoluta non sicurezza Osama abbia sempre potuto fare sempre riferimento a coperture che gli hanno consentito di muoversi ed operare sul territorio. Per cercare di comprendere l’origine di questo network di protezione e come in qualche modo sia ancora efficace è necessario approfondire le origini del terrorista e quanto sia stata favorita nel tempo la sua affermazione sullo scenario internazionale. Bin Laden negli anni ’80 - ’90 ha avuto un rapporto intenso e consolidato con la CIA che lo ha coinvolto nella resistenza afgana contro l’Unione Sovietica e, successivamente, perché impegnato ad appoggiare gli Stati Uniti nel 1991 durante la Guerra del Golfo. Un rapporto che varie fonti riportano consolidato per anni, fin dal momento che la rete di Al Qaeda fu creata come una struttura per attività di intelligence “in ombra”, finanziata, armata, addestrata e protetta in tutto il mondo da importanti Agenzie fra cui quelle degli Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Arabia Saudita, e Pakistan. Ingenti flussi di danaro avvenuti in quegli anni fra banche arabe ed europee su conti intestati a Bin Laden ed alla sua famiglia confermano queste ipotesi. Tra il 1990 ed il 1997 Osama gestiva in Svizzera cospicui conti correnti bancari insieme ad un suo fratellastro Yeslam bin Laden. Nel 2000 aprì un conto presso la sede della Deutsche Bank di Ginevra intestato a una società denominata Cambridge, una filiale SBG (Saudi Bin Laden Group) dal quale immediatamente dopo trasferito danaro in Pakistan per un controvalore di € 241.000.000 versati su un conto intestato a Osama Bin Laden ed a qualcuno di nazionalità pakistana. Movimenti di denaro che come informa il quotidiano tedesco “Der Spiegel” sono stati assicurati negli anni dalla “élite saudita” e da tutta la monarchia e bancari di primo piano del Medio Oriente. Molti altri gli intrecci fra la famiglia e l’Occidente. Dopo la morte del padre di Osama. Salem bin Laden, fratello di Osama, divenuto capo della società, Arabia Binladen Group (SBG) stringe legami consolidati (come riferisce sempre Der Spiegel) con l'elite politica americana e fonti dei servizi segreti francesi, aiuta l'amministrazione Reagan a canalizzazione 34 milioni dollari ai ribelli di destra che operano in Nicaragua. Inoltre, nel 1990, quando re Fahd dell'Arabia Saudita in occasione della Prima Guerra del Golfo concede agli americani basi militari in Arabia Saudita, la SBG provvede alla costruzione. Nello stesso periodo Osama lascia l’Afghanistan ormai liberato dall’invasore sovietico per andare in Sudan ed organizzare al meglio la sua rete terroristica facendo leva sui somali che si opponevano a Mogadiscio al Contingente internazionale di pace dell’ONU. Solo nel 1994 per un’intensa pressione pubblica, l'Arabia Saudita e la famiglia Bin Laden dichiararono pubblicamente di aver rotto qualsiasi legame con Osama. Un’improvvisa e “storica” espulsione della pecora nera della famiglia saudita, forse per gettare fumo negli occhi del mondo, come la stessa sorella di Osama ha affermato, ”Io non credo assolutamente che i Bin Laden abbiano rinnegato Osama. In questa famiglia, un fratello è sempre un fratello, non importa quello che ha fatto”. Osama, tornato in Afghanistan nella metà degli anni 1990, inizia a collaborare con i talebani pur mantenendo contatti con il principe saudita Turki responsabile dell’intelligence del suo Paese, che avrebbe portato "doni" (decine di camions ed altre attrezzature) per ottenere la garanzia che Al Qaeda non avrebbe mai colpito in Arabia Saudita. Si arriva al 9 gennaio 2001 e nonostante che Osama sia stato “cacciato” dalla sua famiglia, la madre e due fratelli partecipano in Afghansitan al matrimonio di un suo figlio. Il 4 luglio dello stesso anno è quasi certo che Osama si rechi negli Emirati Arabi dal Pakistan per essere ricoverato presso il Reparto di urologia dell’Ospedale Americano in Dubai. Mentre è in ospedale viene visitato da vari membri della sua famiglia e, sembra, anche dal principe Turki al Faisal e dal responsabile della CIA a Dubai. Il 10 Settembre 2001, la notte prima degli attacchi alle Torri Gemelle, Osama Bin Laden tornato in Pakistan, è ricoverato presso l’ospedale militare di Rawalpindi per un trattamento di dialisi renale. Per chi conosce il Pakistan non poteva avvenire che il viaggio a Dubai ed il ricovero a Rawalpindi potessero avvenire senza il coinvolgimento della potente struttura di Intelligence pakistana (Inter Services Intelligence - ISI) impegnata fin dal 1970 attraverso il Club Safari a fornire copertura ed assistenza alle più importanti Agenzie di Intelligence occidentali che operavano in Medio Oriente ed allo stesso Osama. Fondamentale anche l’appoggio locale dei clan residenti nelle Aree Tribali del Pakistan, prima fra tutte la North West Frontier Province, sede peraltro del più importante insediamento dell’ISI ed una delle zone più sicure da cui gestire l’eversione in Afghansitan, prima contro l’invasione sovietica, poi a favore dei Talebani e successivamente per garantire sicurezza alla nomenclatura di Al Qaeda. Alleanze consolidate dalla fine degli anni ’90 attraverso accordi per la fabbricazione dell’eroina ricavata dal papavero da oppio afgano e dal commercio della droga insieme a quello delle armi dirette alla malavita occidentale fabbricate in Aree Tribali limitrofe come Darra. Alleanze che nel tempo hanno permesso a Bin Laden di potersi stabilire in zone rurali della più importante Area Tribale del Pakistan e di spostarsi continuamente costringendo l’Intelligence occidentale e giocare di rimessa. A partire dal 2004, si parla di una ristrutturazione organizzativa di Al Qaeda con un riavvicinamento anche territoriale di Bin Laden al suo Vice Al Zawahiri, sembra oggi ambedue posizionati in aree tribali contermini che consentono loro di comunicare facilmente e senza ricorrere a sistemi tecnici intercettabili dall’avversario. Lo scorso mese di luglio è emerso (sito Wikileaks) che Bin Laden ed il suo staff sono concentrati ad occuparsi a riorganizzare Al Qaeda su un piano globale superando i confini dell’Asia Centrale. Probabilmente con lo scopo di interfacciarsi attraverso il Golfo di Aden, con le cellule in parte già operative nel Corno d’Africa e nelle regioni sub sahariane del Mali e della Mauritania. Sembra, anche, che gli Stati Uniti siano in procinto di catturare Osama, anche se il Direttore della Cia Leon Panetta nel mese di giugno ha dichiarato che si dispongono di ben poche informazioni sui suoi movimenti. Quanto ancora Osama possa rappresentare una minaccia è azzardato quantificarlo. La sua partecipazione diretta alla riorganizzazione di Al Qaeda potrebbe essere priva di fondamento, ma se fossero false le notizie che lo danno per morto o gravemente ammalato e se non sarà fatta chiarezza sui possibili collegamenti ed interessi strategici che ancora potrebbero collegarlo al mondo islamico radicale potrebbe ancora esserci il rischio di un atto terroristico più eclatante rispetto a quello dell’11 settembre 2001, con nuovi obiettivi: il rifornimento delle risorse energetiche necessarie all’Occidente.


19 settembre 2010

giovedì 16 settembre 2010

In Afghansitan i Talebani sono ancora vincenti

In occasione del consueto briefing settimanale il Gen. Petraeus, Comandante del Contingente Multinazionale in Afghanistan, ha dichiarato che durante l’ultima settimana la NATO ha conseguito sostanziali successi per contrastare l’impiego di IED (Improvised Explosive Device) utilizzati dai Talebani per realizzare agguati lungo le strade. Il Generale, inoltre, in un'intervista al Wall Street Journal pubblicata martedì scorso ha affermato che in Afghanistan è diminuito l’impiego di IED, anche e soprattutto per la pressione che stanno esercitando le Special Forces sugli insorti. Le dichiarazioni del Generale contrastano, però, con i dati ufficiali del Pentagono dove fonti informate riferiscono, invece, che a partire dall’inizio del 2010 si è avuto uno strisciante trend positivo a favore dei Talebani, con un incremento di attentati terroristici anche significativi in particolare nel nord dell’Afghanistan. Numeri e percentuali assolutamente coerenti con quanto riporta la “Joint Improvised Explosive Device Defeat Organization” (JIEDDO), struttura operativa americana, creata per affrontare il problema degli IED. JIEDDO informa, infatti, che nei primi otto mesi del 2010 si è avuto un incremento del 40% degli attentati realizzati con IED sistemati lungo le strade con un numero di feriti fra i militari della NATO e dell’Esercito afgano di quasi il doppio rispetto al 2009. Dati confermati dal Centro di Studi Strategici e Internazionali che a luglio ha pubblicato uno studio dal quale si ricava che dai 250 attacchi a giugno 2009 si è passati ai 900 nel maggio 2010, con un aumento medio mensile di 54 incidenti. I dati sono, quindi, discordanti perché probabilmente dettati da una differente interpretazione. L’evidente indicatore di una mancanza di incisività e successo dello sforzo bellico internazionale è stato trasformato in un indicatore di progresso ricavato dal numero degli incidenti. L’analisi dei dati conferma che gli Stati Uniti e le Forze della NATO non sono ancor riuscite a conquistare la fiducia della popolazione nelle province pashtun, dove i talebani sono più forti. Valutazione, peraltro, condivisa dal Tenente Generale Michael Oates Comandante di JIEDDO, che in una recente intervista rilasciata a “ USA Today” ribadisce che è fondamentale guadagnare la fiducia della popolazione afgana per proteggersi dalla “guerra degli IED”. In questa situazione non appare credibile che il ritiro delle Truppe internazionali dall’Afghanistan possa essere concentrata entro il mese di agosto 2011, piuttosto si dovrà pensare ad una “exit Strategy” graduale e progressiva come lo stesso Petraeus ripete ormai da tempo. Il Generale ha anche precisato che la battaglia in corso "Non è una battaglia convenzionale. Il progresso è lento con passi avanti ma, anche, con passi indietro". Una dichiarazione da cui traspare la convinzione che sul terreno c’è ancora molto da fare ed un messaggio alla classe politica americana per sollecitare una maggiore prudenza nelle affermazioni di facile vittoria. E’ certo che i Talebani controllano ancora molte parti vitali del territorio afgano ed è altrettanto sicuro che faranno leva su questa loro potenzialità per arrivare al tavolo della pace non da sconfitti ma come interlocutori in grado di contrattare. In questo contesto, il rischio di un incremento di agguati IED non è remoto e potrebbe tornare a coinvolgere di nuovo la popolazione afgana per ridurre quel minimo consenso che il Contingente militare internazionale sta tentando a fatica di conquistare.
16 settembre 2010

mercoledì 15 settembre 2010

Le origini di Al Qaeda

L’anniversario dell’11 settembre a nove anni dall’attentato alle Torri Gemelle accompagnato dalle insulse prese di posizione dei predicatori americani propugnatori di una cristianità intollerante, fa riemergere preoccupazioni in tutto il mondo per il rischio di un risveglio di Al Qaeda. Un incitamento alla rivolta quello che arriva dagli Stati Uniti che sta innescando la caccia al cristiano fra le minoranze sparse nel mondo. Se simili personaggi non saranno “oscurati” la lotta al terrorismo sarà destinata a non finire mai. Piuttosto è evidente come Al Qaeda stia cercando di espandersi oltre i confini dell’Afghanistan e dell’Iraq e stia arrivando in Corno D’Africa ed in Yemen a ridosso del Golfo di Aden. Una conferma che il gruppo terroristico è ancora in grado di operare attivamente e che sta connotandosi come un’organizzazione globale, agevolata in questo dall’iniziale sottovalutazione delle grandi potenze Occidentali. Quanto accaduto l’11 settembre 2001 ha scosso l’immaginario collettivo a livello internazionale perché avvenuto improvvisamente ed ha proposto inaspettatamente al mondo l’esistenza di un certo Osama Bin Laden che, nascosto in una grotta in Afghanistan, aveva gestito 19 terroristi suicidi che erano riusciti a realizzare il primo grande attentato della storia del mondo. Ma Osama era noto fin dalla resistenza dei mujahadeen afgani sviluppata negli anni ’80 contro l’invasore sovietico, in quel periodo “usato ed aiutato” da strutture di Intelligence americane, francesi, iraniane, marocchine, che ne fecero un leader di primo ordine in un teatro strategicamente importantissimo per il futuro del mondo. Proprio in quegli anni, Zbigniew Brzezinskilk, famoso politologo di nazionalità polacca ed emigrato negli USA durante la Seconda Guerra Mondiale, esprimeva per l’appunto la sua preoccupazione che "Un arco di crisi si estende lungo le coste dell'Oceano Indiano, con le fragili strutture sociali e politiche in una regione di vitale importanza. Il caos politico risultante potrebbe essere riempito da elementi ostili ai nostri valori". L'area critica si estendeva dall'Indocina al sud Africa, dal subcontinente indiano alla Turchia, ed a sud, attraverso la Penisola Arabica, versoi il Corno d'Africa. In quegli stessi anni anche la rivista del “Council on Foreign Relations” confermava l’importanza dell’area affermando che "Il Medio Oriente costituiva un nucleo centrale la cui posizione strategica era incomparabile. L'ultima grande regione del mondo, direttamente adiacente all'Unione Sovietica, che conservava nel suo sottosuolo circa i tre quarti delle riserve mondiali accertate di petrolio e luogo dove maggiormente era radicato il nazionalismo arabo”. La situazione politica favorì quindi la scelta di Osama che fu fatto rientrare in un più ambizioso progetto di intelligence internazionale gestita dal Safari Club, fondato il 1 settembre del 1976 dal capo dei servizi segreti francese SDECE ed a cui aderirono immediatamente Arabia Saudita, Francia e Egitto, seguiti nel tempo da molte Nazioni dell’Africa settentrionale. In quegli anni il gruppo operava soprattutto in Africa e Medio Oriente e nel 1979 ebbe un ruolo molto importante nel trattato di pace USA - egiziano - israeliano. Il ruolo del Safari Club risulterà fondamentale per la resistenza dei mujaheddin afgani contro l’invasore sovietico, la cui vittoria, peraltro, rappresentò un significativo passo per accelerare i tempi della caduta del muro di Berlino. Le iniziative politiche furono seguite immediatamente da quelle di natura economica e molte banche occidentali iniziarono a stringere accordi con l’Arabia Saudita i cui “fondi sovrani” potevano rappresentare significative riserve di danaro liquido da investire sui mercati internazionali. Bin Laden appartenente ad una famiglia di ricchi imprenditori sauditi, laureato a Londra e figura emergente del mondo arabo trovò ampi spazi di manovra in questa realtà e dimostrò immediatamente l’intelligenza di sfruttarla avviando una strategia di lungo termine. Contemporaneamente, in Afghanistan crollava per mano di fondamentalisti islamici il governo filo comunista retto da Taraki inducendo l’Unione Sovietica ad accelerare la già programmata invasione del Paese. Alla vigilia di Natale del 1979 l’Armata rossa entrò nel paese scatenando la resistenza dei mujahadeen, appoggiata dalla CIA, dall’ISI pakistano e dalla stessa Arabia Saudita patria di Osama il quale iniziò a garantire ai ribelli consistenti risorse economiche. Poco a poco con l’aiuto delle importanti strutture di intelligence mondiali fu costituita in Afghanistan una vera e propria legione straniera di musulmani jihadisti, i cosiddetti afgani arabi che poi avremmo ritrovato in tempi recenti in Iraq. In quegli anni e fino al 1992 più di 100.000 militanti islamici furono addestrati in Pakistan in campi supervisionati dalla CIA e dallo MI6, con la SAS (forze speciali britanniche) per la formazione di esperti nella fabbricazione di bombe e di operazioni militari “mascherate”, futuri combattenti talebani che confluirono ben presto in Al Qaeda e che compariranno poco dopo anche sugli scenari bellici dei Balcani. La vittoria dei mujahadeen contro l’invasore sovietico che abbandonò l’Afghanistan nella primavera del 1989, non riuscì a stabilizzare politicamente il paese, piuttosto favorì l’emergere di fazioni tribali gestite dai cosiddetti “Signori della Guerra”, molti ex capi della resistenza interessati più alla spartizione del potere piuttosto che a favorire l’uscita degli afgani dal Medioevo. Personaggi che durante la guerriglia si erano arricchiti con il commercio della droga coltivata lungo le umide rive del fiume Kabul. La situazione interna ben presto diventò ingestibile, Osama ed Al Qaeda iniziarono a amministrare il Paese con la connivenza di gruppi estremistici locali insieme a giordani, iraniani ed egiziani, consegnando ben presto Kabul agli studenti islamici. Nel 1990, Osama Bin Laden dalle montagne di Tora Bora iniziò ad organizzare la struttura operativa creando, anche, una forza aerea ombra destinata a sostenere le sue attività terroristiche. Lo fece utilizzando la compagnia aerea nazionale afgana, l’Ariana. che fu rinforzata da vecchi velivoli militari americani e da jet charter ceduti da paesi ombra, non ultimi il Sudan e la Somalia. Con i voli di Ariana per più di quattro anni furono traghettati in Afghansitan militanti islamici, armi, denaro e oppio attraverso i cieli degli Emirati Arabi Uniti e del Pakistan. Parte dei voli furono anche impegnati per trasportare i comandanti ed istruttori militari di Al Qaeda in Sudan con lo scopo di addestrare i somali che in quegli anni si opponevano al Contingente militare della Forza Multinazionale ONU, impegnata in Somalia per il mantenimento della pace. Al Qaeda cresceva e la situazione sfuggiva, di fatto, agli americani ed a tutto il mondo occidentale, favorendo anche se "involontariamente" la crescita di Bin Laden e la sua lotta terroristica contro l’Occidente. In questo contesto, significativo il ruolo dell’Intelligence pakistana (ISI) che favorì l’insediamento di strutture di Al Qaeda nelle Aree Tribali prospicienti al confine con l’Afghansitan con lo scopo, almeno ufficiale, di garantire sicurezza indiretta ad Islamabad. Anche in questo caso, però, Bin Laden e la nomenclatura di Al Qaeda hanno dimostrato e stanno confermando la capacità di saper gestire con fantasia ed efficacia la loro “dominanza” arrivando ormai da tempo a minacciare Islamabad ed il mondo intero con la proiezione sugli scenari internazionali di “Talebani pakistani”. Ricorsi storici di Al Qaeda che dovrebbero indurre a pensare contromisure di carattere particolare e puntuale per evitare che un giorno si ripetano attentati come quelli delle Torri Gemelle, anche con il possibile rischio dell’uso di “bombe sporche”.
15 settembre 2010












lunedì 13 settembre 2010

Il Mullah Omar si riaffaccia sulla scena internazionale

Un’Agenzia di stampa (AFP) informa da Dubai che il leader talebano Mullah Omar, ha lanciato un messaggio in occasione della Eid al-Fitr, la festa che chiude il mese sacro di digiuno del Ramadan. La notizia sembra sia stata resa pubblica dal servizio di monitoraggio statunitense SITE Intelligence Group. Il Mullah ha sottolineato come la coalizione militare a guida NATO stia perdendo la guerra in Afghanistan ed invitato gli afgani ad impegnarsi per raddoppiare la loro lotta contro l’invasore straniero e per costringere gli Stati Uniti a ritirarsi. Un passaggio del messaggio di Omar è diretto a tutte le cellule di Al Qaeda sparse nel mondo, quando dice, "La vittoria della nostra nazione islamica contro l’invasione degli infedeli è imminente ed il motore di questa è la consapevolezza dell’aiuto di Allah e della coesione di tutto il mondo islamico”. Un messaggio che forse per la prima volta abbandona i toni di un proclama di un Iman pronunciato in moschea durante la preghiera del venerdì per essere un vero e proprio annuncio politico rivolto non solo agli afgani ma a tutto il mondo islamico, anche moderato. Il silenzio del Mullah Omar è rotto nel momento in cui il “Daily Telegraph” informa, sempre da Dubai, che la famiglia del Presidente Karzai ed in particolare il fratello, Mahmood Karzai, ex emigrato proprietario di un piccolo ristorante del Maryland e diventato grazie al fratello presidente uno degli uomini d’affari più in vista di Kabul, ha creato un impero di 110 milioni di dollari acquistando immobili negli Emirati Arabi. I soldi sono stati presi “in prestito” dalla Kabul Bank ora sull’orlo del fallimento. Se la notizia fosse confermata, il fratello del Presidente le cui attività sono ben note ad Omar in quanto originari dalla stessa regione afgana di Kandhar, conferma la sua propensione a gestire traffici illeciti. Fino ad oggi il commercio della droga, attualmente anche investimenti immobiliari approfittando dei fiumi di denaro depositati dalla comunità internazionale nella banca di Kabul e destinati ad assicurare lo sviluppo del paese ed a migliorare le condizioni di vita della popolazione. La truffa, se vera, è emersa ad una settimana dalle elezioni parlamentari ed il messaggio di Omar suona come “una chiamata della sua gente” facendo leva sull’orgoglio nazionale, in un momento in cui migliaia di afgani preoccupati dei loro risparmi stanno cercando di ritirare i propri soldi dalla Kabul Bank e quando in Afghanistan si accingono ad eleggere il Parlamento. Un messaggio diretto anche al potere politico di Kabul ed alle costituende strutture militari e di Intelligence afgane destinate a breve a garantire sicurezza nel Paese. Personale sottopagato e per taluni aspetti sfruttato che assiste allo scempio della corruzione dilagante, peraltro a danno della popolazione afgana.

13 settembre 2010

domenica 12 settembre 2010

Bruciate copie del Corano negli USA

L’ANSA ha appena pubblicato la notizia che “Nonostante la rinuncia del pastore Terry Jones, due leader religiosi hanno comunque dato alle fiamme copie del Corano nel giardino di casa. E' accaduto a Springfield, nel Tennessee. Il reverendo Bob Old e il reverendo Danny Allen hanno dichiarato che il rogo non ha nulla a che fare con l'11/9. E' una questione di fede, e' una questione d'amore, mentre il Corano e' un libro di odio". Tra gli obiettivi, hanno aggiunto, quello di difendere la Costituzione degli Stati Uniti e il popolo americano”. Amore per chi ? Per le loro idee, per loro stessi, non sicuramente affetto verso la collettività che sicuramente non ha motivo di rallegrasi per quanto accaduto. E’ assurda la stupidità umana di chi condanna l’estremismo islamico e nello stesso tempio compie azioni radicali estemporanee destinate a minacciare in maniera anche grave la sicurezza di inermi cittadini. Costoro non hanno il diritto, in nome di una cattiva interpretazione della democrazia, di poter professare le loro idee attraverso manifestazioni di intemperanza dimenticando che il “terrorismo della parola” può innescare atti incontrollati da parte di fanatici, e non solo islamici, sparsi nel mondo. I reverendi americani Bob Old e Danny Allen con la loro azione e le loro affermazioni sul Corano hanno dimostrato di non conoscere il testo e la cultura islamica e la facilità con cui gli Imam riescono a gestire i fedeli che frequentano le moschee. Il loro gesto inconsulto potrebbe attivare nell’immediato forme di terrorismo artigianale difficili da prevenire a totale danno della sicurezza collettiva.
12 settembre 2010

venerdì 10 settembre 2010

Copenaghen, una persona tenta di farsi esplodere

La polizia danese ha arrestato un uomo che ha tentato di farsi saltare in aria in un albergo di Copenhagen (AGI news on), per fortuna senza causare feriti. La piccola esplosione si è verificata in un albergo nel centro della capitale danese, probabilmente scelto come simbolo in quanto si affaccia su Israeli Square. Il sospetto attentatore suicida è stato arrestato e sembra che sia rimasto ferito alla testa. L’episodio ripropone la Danimarca come uno degli obiettivi europei privilegiati del fondamentalismo islamico da quando nel 2005 furono pubblicate su un giornale locale le vignette su Maometto. In Belgio, un’organizzazione islamica integralista incita a commemorare gli attentati dell’11 settembre 2001 bruciando le bandiere americane in tutta la città. Il quotidiano belga la Gazzetta di Anversa, riferisce che Abu Imram - portavoce della “Sharia in Belgio” - ha annunciato per domani 11 settembre forme clamorose di protesta. Forse solo parole e gesti di piccoli estremisti “fai da te” che, comunque, sono segnali di tensione in crescita proprio in coincidenza della ricorrenza dell’attentato terroristico che ha cambiato la storia del mondo, anniversario che quest’anno cade il giorno dopo la fine del Ramadan. Tornano alla ribalta le schegge impazzite dell’estremismo islamico, coloro che si abbeverano quotidianamente alla fonte della propaganda estremista ed agiscono perché plagiati dalle parole piuttosto che supportati da convinzioni personali. Proprio per questo, costoro rappresentano un pericolo di estrema valenza, difficile da prevedere e quindi da prevenire. Episodi anche modesti come quello di Copenaghen od i proclami in Belgio non devono essere, quindi, sottovalutati, ma letti ed interpretati con analisi incrociate, per evitare di commettere gli stessi errori di previsione che portarono gli USA a non dare peso ad episodi che precedettero l’11 settembre. Alla stessa stregua di come ha dimostrato di saper fare Al Qaeda che ogni probabilità in questo momento sta monitorando tutti i Capi di Stato del mondo occidentale, a partire dal Presidente OBAMA che come noto proprio oggi si è affrettato a condannare il suo predicatore che aveva annunciato di voler bruciare copie del Corano.

10 settembre 2010

mercoledì 8 settembre 2010

11 settembre 2010, giorno a rischio dopo la fine del Ramadan

Il Ramadan cade nel nono mese dell’anno del calendario mussulmano ed ha un profondo significato religioso per l’Islam. Il Corano tramanda che in questo mese Maometto abbia ricevuto dall’Arcangelo Gabriele “rivelazioni di contenuto mistico”. La ricorrenza cambia anno dopo anno in quanto fa riferimento al calendario lunare di dodici mesi adottato proprio da Maometto. Durante il mese del Ramadan i musulmani debbono astenersi - dall'alba al tramonto - dal bere, mangiare, fumare e dal praticare attività sessuali ed in alcuni paesi mussulmani la non osservanza di queste regole che fanno parte dei cinque pilastri dell’Islam, è punita penalmente. Quasi ogni anno l’inizio del Ramadan è segnato da atti cruenti, in particolare nei paesi islamici che ospitano teatri di guerra, e spesso anche nei giorni a seguire la fine del digiuno. In Iraq il Ramadan 2010 è iniziato puntualmente con l’uccisione di otto soldati iracheni e tre civili nella provincia orientale di Diyala. In Afghanistan due attentatori suicidi sono rimasti uccisi per l’esplosione prematura delle cinture esplosive che indossavano, mentre erano in procinto di compiere un attentato nei pressi di una moschea a Farah, nell’ovest del Paese. Per la prima volta dall’attentato dell’11 settembre 2001, il Ramadan quest’anno termina il 10 settembre, una coincidenza che difficilmente si ripeterà nel breve termine e che avviene in un momento quando ancora il terrorismo internazionale ed Al Qaeda non sono stati sconfitti. Una prossimità di date che preoccupa sotto il profilo sicurezza per le possibili azioni eclatanti che eventuali terroristici islamici potrebbero effettuare e per possibili reazioni di occidentali accecati da “islamofobia", in particolare negli Stati Uniti dopo la notizia della possibile costruzione di una moschea vicino a Ground Zero a New York. Non in ultimo anche l’annuncio del predicatore Terry Jones che dalla Florida ha lanciato la sconcertante provocazione che l’11 settembre ha intenzione di fare un grande falò davanti alla sua chiesa gettando al rogo circa duecento copie del Corano. Situazione di tensione che coinvolge la componente islamica oltranzista e che in questi giorni potrebbe aggravarsi anche per l’unanime reazione del mondo occidentale contro la condanna a morte dell’iraniana Sakineh, oggi sospesa, ma che non è escluso sia eseguita proprio al termine del mese di digiuno. E’, dunque, sicuramente alto il livello della minaccia di possibili attentati anche compiuti da semplici “schegge impazzite” o fanatici terroristi invasati dalla ricorrenza dell’11 settembre e dalle dichiarazioni provocatorie che arrivano dagli USA. Un insulto quello Terry Jones e dei suoi adepti “cristiani fondamentalisti” che preoccupa lo stesso Generale David Petraeus, comandante supremo delle forze Usa in Afghanistan che ha condannato le parole del predicatore. Oggi, in Afghanistan migliaia di persone hanno manifestato contro l’iniziativa del religioso americano, dimostrando quanto gli estremisti guardino con attenzione al mondo occidentale e siano in grado di gestire la folla con immediatezza ed incisività. La preoccupazione del Comandante americano che ben conosce quelle aree e la cultura di quella gente dovrebbe rappresentare una preoccupazione globale nel momento che l’attentato alle Torri Gemelle non è stato un fatto solo ed esclusivamente americano. Forse, per questo, sarebbe auspicabile che tutte le istituzioni, i Capi di Governo e quanti altri si sono schierati contro la sentenza iraniana, facciano sentire la loro voce ed il loro dissenso anche nei confronti del pastore americano, con esplicita condanna delle sue dichiarazioni e rivalutando il rispetto delle scritture religiose dell’Islam. Un messaggio che molto probabilmente farebbe piacere a tutti i mussulmani, anche a quelli più estremisti e che per taluni aspetti potrebbe concorrere ad allontanare il rischio che Sakineh sia lapidata proprio l’11 settembre 2010, magari in concomitanza con un eclatante atto terroristico.
08 settembre 2010

domenica 5 settembre 2010

Karzai convoca i Talebani al tavolo della pace

Il presidente afgano Hamid Karzai ha comunicato di aver dato il mandato ad un “Consiglio Superiore” di aprire colloqui di pace con i Talebani, coinvolgendo anche i gruppi eversivi ancora impegnati sul terreno in azioni terroristiche. La decisione di Karzai di creare l'Alto Consiglio sembra che sia stata approvata nel mese di giugno da una "Jirga di pace" riunita a Kabul con la partecipazione di comunità, rappresentanti di tribù, capi religiosi e politici provenienti da tutto il paese comprese le Province a rischio di Helmand e Kandahar . Il Consiglio dovrebbe comprendere anche leaders della jihad e rappresentanti del popolo, comprese le donne. Una decisione presa mentre i Talebani continuano a respingere qualsiasi apertura di pace ed attraverso i loro portavoce deridono il governo Karzai definendolo fantoccio degli Stati Uniti. L'annuncio arriva nel momento in cui le attività dei ribelli si sono intensificate in tutto l’Afghanistan ed il numero delle vittime fra le truppe straniere subisce un quotidiano incremento con cinque soldati americani deceduti martedì scorso in due diversi attentati. L’iniziativa di Karzai con ogni probabilità scaturisce dall’esigenza di dover mantenere equilibri politici interni a favore della gestione della sicurezza che nel breve periodo sarà controllata in proprio dagli afgani. Ben diversa l’interpretazione sul piano operativo. I Talebani hanno ancora il controllo del territorio e possono dettare condizioni politiche e militari che impensieriscono il governo di Kabul. La decisione di Karzai, oltre a tutto, potrebbe rappresentare un pericoloso precedente concedendo, forse per la prima volta nella storia, l’opportunità di trattare ad un gruppo che la comunità internazionale considera “organizzazione terroristica” in un momento in cui Washington annuncia di avere inserito il gruppo pachistano Tehreek-e-Taliban sulla sua lista nera delle organizzazioni terroristiche ed i Talebani pachistani minacciano di attaccare gli Stati Uniti e l'Europa. Spontanea, quindi, la domanda se stiamo di fronte ad un’evoluzione politica di Karzai o piuttosto il provvedimento scaturisce dall’estrema instabilità che si sta creando in tutta la regione, in particolare dopo il ritiro americano dall’Iraq e l’inizio dei lavori per la pace fra israeliani e palestinesi. La storia insegna che l’avversario, specialmente se forza eversiva, può essere coinvolto nei processi di stabilizzazione solo dopo che la sua struttura di vertice è stata sconfitta e non, invece, perché rappresenta una minaccia difficile da gestire. Una verità confermata di recente da ciò che è avvenuto in Angola ed ha segnato la fine di una guerra civile durata più di venticinque anni. Nel 2002 con un’azione militare fu ucciso Savimbi il Capo indiscusso e figura carismatica dei ribelli dell’UNITA (Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola - União Nacional para a Independência Total de Angola). Dopo sei mesi fu firmata la pace con le forze governative dello MPLA (Movimento Popolare di Liberazione dell'Angola - Movimento Popular de Libertação de Angola - Partido do Trabalho, MPLA-PT), coinvolgendo rappresentanti di rilievo delle forze rivoluzionarie, alcuni dei quali chiamati anche a far parte dell’esecutivo di Luanda. In Afghanistan invece, Al Qaeda ed i Talebani non dimostrano di essere stati sconfitti né di temere la presenza delle Forze militari NATO e tantomeno quelle afgane. Bin Laden ed il Mullah Omar seguitano a minacciare direttamente ed indirettamente il mondo intero, spesso facendo seguire le parole da episodi terroristici rilevanti ed ottenengono che loro rappresentanti partecipino alle trattative di pace. Spontaneo, quindi, qualche dubbio sull’efficacia delle scelte pragmatiche del Governo di Kabul per arrivare ad una pace stabile in Afghanistan e per accelerare la sconfitta del terrorismo internazionale. Piuttosto, seguendo questa strada si corre il rischio di arrivare ad accordi basati sul compromesso difficili da gestire nel tempo ed a totale danno della sicurezza sia locale e sia a livello internazionale.
5 settembre 2010

giovedì 2 settembre 2010

Ancora gas in Afghanistan

I gas tornano a colpire le scuole femminili in Afghanistan. Il 28 agosto quarantotto studentesse sono finite in ospedale a Kabul dopo che la loro scuola e' stata attaccata con gas presumibilmente avvelenato (ANSA). Il Ministero della Salute afgano informa che si tratta di un secondo episodio del genere verificatosi nella Capitale afgana nell’arco di tre giorni e che, ancora una volta, ha colpito scuole femminili. Vertigini, vomito e svenimenti i sintomi ricorrenti, che portano a pensare ad un possibile avvelenamento da aggressivi chimici propagati nell’aria per lanciare un messaggio intimidatorio verso la popolazione scolastica femminile. Come racconta Khaled Hosseini nei suoi bestseller le bambine non devono studiare, ma l’autore del ’Cacciatore di aquilonì” non poteva immaginare che i talebani sarebbero arrivati ad utilizzare gas tossici contro le scuole femminili. Un primo episodio a maggio 2009, quando 90 ragazze nella provincia di Kapisa finirono in ospedale. Il 28 agosto di questo anno un episodio simile a Kunduz. I Talebani alla ricerca di una legittimazione politica naturalmente negano ogni responsabilità e condannano l’accaduto per il tramite del loro portavoce Zabibullah Mujahid. Per contro, il portavoce del presidente Hamid Karzai indica costoro come responsabili di questo altro subdolo attacco terroristico. Il 31 agosto sono stati resi ufficiali i risultati degli esami clinici effettuati che confermano una misteriosa serie di casi di tossicità nelle popolazione scolastica femminile coinvolta negli eventi. Il portavoce del Ministero della Sanità Pubblica di Kabul, il Dr. Kargar Norughli, ha precisato, inoltre, che il suo ministero e l'Organizzazione Mondiale della Sanità hanno accertato la presenza, non a dosi letali, di sostanze tossiche come “fosfati organici”, confermate dai sintomi manifestati da chi è stato colpito dai gas. Salivazione, lacrimazione, incontinenza urinaria, diarrea, disturbi gastrointestinali e vomito. I composti chimici di riferimento sono ampiamente usati in insetticidi e erbicidi e costituiscono gli ingredienti attivi di possibili armi chimiche, tra cui gas nervini Sarin e VX. Il Dr. Norughli ha ammesso che ancora non si conoscono le modalità di come il gas sia stato propagato anche se l’episodio è ascrivibile ad un “messaggio di avvertimento” non essendoci stati morti nonostante l’elevata letalità intrinseca del materiale utilizzato. I fatti dimostrano una preoccupante realtà. Gli insorti sono in grado di gestire anche armi non convenzionali e, quindi, all’occorrenza impiegare IED “sporchi”. Il Sarin ed il VX sono gas ad elevatissima letalità anche in dosi minime ed una loro minima propagazione non controllata nell’ambiente provocherebbe migliaia di morti immediati ed moltissime vittime differite nel tempo. Se tutto ciò non è avvenuto, chi ha gestito l’utilizzazione dei gas lo ha fatto con elevata capacità tecnica limitandosi a lanciare un avvertimento alla stessa stregua di come avrebbe fatto utilizzando una bomba carta piuttosto che un IED ad alto potenziale esplosivo. Una dimostrazione di efficienza e preparazione in un settore specifico come quello NBC (Nucleare, Biologico, Chimico) che non può essere sottaciuta, ma che deve indurre ad immediate contromisure sul piano dell’intelligence preventiva e per quanto attiene alla predisposizione di efficaci sistemi di rilevamento e difesa.
2 settembre 2010
2 settembre 2010