giovedì 28 ottobre 2010

Gli attentati terroristici "sporchi"

Fra le centinaia di documenti pubblicati recentemente dal sito Wikileaks ce ne sono alcuni che forniscono indicazioni sulla effettiva disponibilità in Iraq di armi chimiche. Consistenza tale da non giustificare forse l’azione bellica della Coalizione anglo - americana e la successiva invasione dell’Iraq, ma che conferma che il regime iracheno era riuscito a nascondere molto materiale alle varie ispezioni delle Nazioni Unite. L'Iraq aveva cominciato a costruire armi chimiche ben prima dell'operazione Desert Storm e negli anni 70-’80 le aveva utilizzate nella guerra contro l'Iran e contro la popolazione curda. Durante la prima Guerra del Golfo si manifestò la minaccia reale che l’Iraq potesse utilizzare missili a caricamento chimico per colpire Israele. Solo il timore di pesanti ritorsioni del mondo occidentale consigliò a Saddam di recedere da questo proposito. Chi scrive nel 1991 constatò sul campo che il 5% del munizionamento di bordo della maggior parte dei carri da combattimento iracheni e dei semplici veicoli blindati adibiti al trasporto truppa, era a “caricamento speciale”. Nello stesso periodo le Nazioni Unite istituirono una speciale commissione (UNSCOM) che fu inviata in Iraq per individuare, distruggere, rimuovere o rendere innocue "tutte le armi chimiche e biologiche, le scorte di agenti chimici e biologici, i sottosistemi e relativi componenti di armi non convenzionali e la strumentazione necessaria alla ricerca e produzione nello specifico settore. Nel dicembre 1998, UNSCOM lasciò l'Iraq dopo aver verificato l’avvenuta distruzione del potenziale bellico iracheno a caricamento chimico che era stato rinvenuto durante l’attività ispettiva. Un elenco riportava che erano state alienate circa 88.000 munizioni chimiche, oltre 600 tonnellate di agenti chimici, 4.000 tonnellate di sostanze base, “precursori” di agenti chimici e circa 980 parti di attrezzature per la produzione e 300 attrezzature utili per le analisi di laboratorio. Nello stesso documento era riportato anche che l’Iraq aveva prodotto circa 250 tonnellate di Tabun e 812 tonnellate di Sarin, gas nervini ad elevatissima letalità, con cui aveva caricato negli anni le testate di razzi contro carro modello RPG-7, granate da mortaio da 82 e 120 millimetri, bombe di aereo da 250 e 500 libbre, granate di artiglieria da 155 mm. e una trentina di testate speciali del missile di produzione nazionale di Al-Hussein (una variante dello SCUD). Nessun cenno di UNSCOM se anche questo ultimo materiale fosse stato rinvenuto e distrutto. E’ molto probabile, quindi, che una parte del potenziale iracheno NBC (Nucleare, Biologico, Chimico) sia andato disperso nel deserto durante la prima Guerra del Golfo o sia rimasto nascosto nei depositi segreti mai scoperti né dai funzionari dell’ONU né dall’intelligence occidentale. Un’ipotesi confermata almeno in parte da quello che è stato trovato dopo l’invasione dell’Iraq del 2003. Documenti ufficiali USA riferiscono della scoperta di 500 proiettili a caricamento chimico e di una vasta tipologia - seppure in modeste quantità - di altri aggressivi chimici trovati in varie parti del Paese e addirittura acquistati nei mercati clandestini di Bagdad e Bassora. Inoltre, da quanto riportato in un file pubblicato da Wikileaks e datato 26 novem¬bre 2010 risulta che nella zona di Falluja roccaforte dei ribelli iracheni siano stati localizzati laboratori artigianali per la realizzazione di aggressivi chimici. Dati oggettivi che confermano che Saddam disponeva di aggressivi chimici, in particolare iprite e gas nervini e di specialisti in grado di gestire ed utilizzarli. Materiale che potrebbe essere stato abbandonato dall’esercito iracheno in fuga insieme alle tonnellate di munizionamento attivo disperso nel deserto o ancora conservato nei depositi militari. Scorte enormi a disposizione del mercato clandestino e del terrorismo, parte delle quali già utilizzate in occasione di importanti attentati avvenuti in Iraq ed anche in Afghanistan. L’esplosivo convenzionale insieme alle sostanze chimiche tossiche consentirebbe di realizzare “IED sporchi” con grave pericolo per le comunità locali ed internazionali. Una minaccia reale che non può essere sottaciuta e che dovrebbe indurre ad un attento monitoraggio della situazione che in questo momento caratterizza le aree del Centro Asia dove maggiore è la tensione politica e militare. Ne consegue che dovrebbe essere avviata un’attenta acquisizione di informazioni con un’azione di “intelligence mirata” sviluppata anche attraverso il costante monitoraggio della rete telematica per sviluppare analisi mirate in particolare dei flussi finanziari che possono essere collegati al commercio delle armi, della droga proveniente dall’Afghansitan ed ai flussi dell’emigrazione clandestina i cui “costi” sicuramente non possono essere sostenuti da chi fugge da realtà sociali che garantiscono un reddito procapite di 2 dollari americani al giorno. E’ più probabile, invece, che i costi dei traghettamenti siano sostenuti da organizzazioni eversive in cambio della disponibilità dei clandestini di entrare a far parte di un network di “cellule dormienti” legato alla malavita della “Nazione Ospite” retribuita con forniture di droga ed armi per assicurare il necessario supporto logistico. Un’attenzione investigativa che dovrebbe rappresentare la routine quotidiana per tutte le Forze di Polizia e degli apparati di sicurezza privati di uno Stato e che proprio oggi ha evidenziato la sua cui efficacia. A Washington un cittadino americano di ori¬gini pakistane è stato arrestato mentre stava preparando un attentato alla metropolitana. L’uomo aveva attirato l’attenzione delle forze dell’ordine per avere cercato di pro¬curarsi “materiali sospetti”.

venerdì 15 ottobre 2010

Cautela nel formulare ipotesi di Exit Strategy dall'Afghanistan

Dopo la recrudescenza degli attacchi terroristici in Afghansitan rappresentanti dei Governi della Coalizione NATO si affannano a parlare di ritiro, di ipotizzare date e forme di “possibili exit strategy”, preannunciando nel contempo ulteriore impegno nel migliorare lo strumento militare ed incrementare la presenza di esperti specializzati in particolari attività. L’opportunità che questa sia la strada migliore per dissuadere i Talebani ed Al Qaeda dalla loro azione eversiva, è alquanto opinabile, se non altro per aspetti di sicurezza e riservatezza che non possono essere sottovalutati. Il network comunicativo ed informativo che Al Qaeda ed i suoi affiliati ormai gestiscono sul piano globale è tale da permettere ai Talebani di disporre in tempo reale di elementi di analisi essenziali solo leggendo le notizie di stampa. Costoro conoscono benissimo quali procedure, tempi ed impegni logistici deve affrontare un Contingente militare che decide di ripiegare dopo una permanenza di 10 anni Teatro. Ne consegue che conoscere prima anche solo ipotesi di tempi facilita l’organizzazione di una resistenza mirata, da sviluppare all’ultimo momento contro chi ripiega, con tattiche di guerriglia in cui gli afgani sono espertissimi e già abbondantemente sperimentate dai mujaheddin dal settembre 1988 al marzo 1989 durante l’uscita dal paese delle Truppe sovietiche. Peraltro, la rete viaria e la logistica dell’ Afghanistan non sono tali da permettere a chi deve andarsene di poter scegliere alternative di ripiegamento diverse in “modo da confondere” l’avversario che, invece, se informato in tempo può scegliere e predisporre per tempo zone di agguato. Anche la popolazione locale potrebbe essere preoccupata da queste notizie che rilanciano con un approccio molto ottimistico la futura autonomia afgana, ed essere invogliata a riaprire contatti e collusioni con i Talebani e con i Signori della Guerra locali, con i quali saranno poi costretti a confrontarsi. Inoltre, ormai da tempo uno dei problemi fondamentali dell’Afghansitan è stato completamente dimenticato pur rappresentando una valenza importantissima per la stabilità del paese e per l’intera comunità internazionale. E’ stato dimenticato il narcotraffico che, invece, è cresce, alimentato dalla produzione del papavero da oppio e dalla sua trasformazione in eroina. Un potenziale economico che dagli anni ’70 ha consentito alle forze eversive di disporre delle necessarie risorse economiche per garantirsi il successo. L’argomento “droga” è oggi dimenticato, non esiste. Ampio spazio, invece, ad altri problemi forse di maggiore impatto comunicativo ma che, seppure importanti, potrebbero trovare soluzione automatica affrontando in maniera incisiva il tema della droga. I Talebani, minacciano il mondo occidentale con gli attentati dinamitardi me nello stesso tempo indeboliscono le strutture e le nuove generazioni attraverso la vendita della droga. La medesima cosa fanno in Afghansitan con la diffusione gratuita fra la popolazione giovanile di sostanze stupefacenti come si evidenzia dai centinaia di ricoveri giornalieri di adulti e giovani tossicodipendenti. Peraltro, la droga ha sempre rappresentato una merce di scambio per eccellenza per alimentare instabilità locali e golpe in tanti paesi, garantendo, peraltro, connivenza e complicità con le organizzazioni criminali locali, essenziali per assicurare la protezione delle cellule eversive sparse nel mondo. In Afghanistan molti degli attentati che avvengono e probabilmente anche l’ultimo che ha coinvolto i militari italiani, sono resi possibili perché la popolazione locale protegge gli insorti, in particolare quelle componenti coinvolte con il male affare dei Signori della Guerra e che in quelle realtà sono in grado offuscare le più sofisticare attività di intelligence. Una complicità garantita da merce di scambio preziosa, l’oppio dei papaveri, così come è avvenuto subito prima dell’attentato dell’11 settembre, quando i Talebani hanno fatto distruggere tutte le coltivazioni afgane e hanno regalato il contenuto dei magazzini alle Agenzie Tribali pakistane a ridosso del confine afgano destinate a garantire la protezione della nomenclatura di Al Qaeda. Maggiore cautela quindi nel divulgare intenzioni e propositi che possono dare indicazioni sulle future pianificazioni militari ed operative in Afghanistan e nello stesso tempo affrontare il problema del commercio della droga facendo riferimento ad “una intelligence incrociata”, soprattutto fuori del territorio afgano, per individuare ogni possibile collusione delle organizzazioni criminali interessate allo specifico commercio come la mafia. In questo scenario continuare a portare avanti una propaganda politica di facciata, anche se indotta da eventi tragici come la morte di militari o di civili, che dichiara il ritiro delle Truppe in tempi brevi e si impegna ad un impegno sul terreno sempre più pacifico per affrontare un avversario che non conosce questa parola, è una esemplificazione non condivisibile. Forse dichiarazioni di questo tipo possono acquisire consenso, ma a svantaggio di coloro che in uniforme operano in quei deserti e della stessa sicurezza internazionale.
15 ottobre 2010

mercoledì 13 ottobre 2010

Mahmud Ahmadinejad oggi in Libano

Il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad e' arrivato questa mattina a Beirut per una visita ufficiale che durerà tre giorni (ANSAmed). Sono stati programmati incontri con le massime autorità libanesi e con quelle degli Hezbollah, compreso il leader Sayed Hassan Nasrallah. E’ previsto che il Presidente iraniano si recherà anche nel Sud del Paese, nei pressi della linea blu di demarcazione con Israele. Un evento sicuramente programmato e che coincide con l’apertura del Presidente afgano Karzai verso i leader moderati talebani, con i quali risulta che proprio in questi giorni abbia aperto i primi contatti per un coinvolgimento al tavolo della pace delle forze eversive afgane che hanno intensificato i loro attacchi contro le Truppe NATO per guadagnare visibilità. Azioni terroristiche combinate con veri e propri atti tattici realizzate anche impiegando IED potenti e sofisticati, sicuramente non autocostruiti. Giunge anche notizia che la significativa componente sunnita libanese radicata a nord del Paese stia manifestando contro la visita del Presidente iraniano e la tensione sale in particolare a Tripoli, principale porto libanese a nord e roccaforte dell’Islam sunnita integralista. Azioni che, come riportato dall’Agenzia libanese NNA, sono dirette in particolare contro i sostenitori del partito Al Mustaqbal molto vicino all’Arabia Saudita ed hanno come protagonisti i loro rivali alawiti, appoggiati invece dalla vicina Siria alleata dell’Iran. Contemporaneamente anche in Iraq riemergono diverse tensioni fra la componente sunnita e quella sciita, con disordini ed attentati nella zona centrale del Paese. La visita di Ahmadinejad potrebbe avere una significativa valenza se fosse stata voluta per rinsaldare le promesse di amicizia fatte all’inizio dell’anno dal Presidente Karzai alla Siria ed all’Iran e, quindi, influire positivamente sul processo di pace in Afghanistan coinvolgendo questi due importanti Paesi islamici per un confronto costruttivo con la nomenclatura talebana più distante dall’Arabia Saudita. Possibili ingerenze che però non sono condivise da una parte di Al Qaeda che attraverso una propria formazione armata sunnita ha lanciato una serie di minacce in vista dell'arrivo in Libano del presidente iraniano. Secondo quanto riferisce la tv araba 'al-Jazeera', il gruppo in questione si fa chiamare 'Brigate Abdullah Azzam', una sigla poco nota nel 'Paese dei cedri'. (Adnkronos/Aki). Se quanto accadrà in questi tre giorni andrà, invece, a complicare l’appena iniziato ed ancora vacillante processo di pace fra palestinesi ed israeliani, scuramente si avranno ricadute negative in tutta l’area geografica, in particolare in Afghansitan ed Iraq ed a vantaggio del ruolo che il Pakistan potrebbe avere nell’intera regione con Islamabad peraltro preoccupata dal progressivo aumento dell’ingerenza indiana nella Repubblica Islamica afgana.
13 ottobre 2010

domenica 10 ottobre 2010

Dieci anni di guerra ed ancora caduti in Afghanistan

9 ottobre 2010, altri quattro militari italiani uccisi in Afghanistan per un attacco combinato dei Talebani. Ormai non si può più parlare di “esplosione” di uno IED posizionato nel terreno con uno scopo terroristico finalizzato a se stesso, ma di una vera e propria azione tattica coordinata in cui l’esplosione dell’Ordigno rappresenta uno degli elementi dell’azione, ma non il solo. Eventi che per ottenere successo devono fare riferimento ad un affidabile controllo del territorio dei Talebani, che nella realtà afgana può essere garantito solo da un’affidabile connivenza con gli abitanti del posto. Le modalità dell’attacco di ieri confermano queste ipotesi. Il tutto è avvenuto dopo poche ore dopo dal primo passaggio dell’autocolonna logistica diretta a nord. Non sufficienti ad organizzare per il giorno successivo un agguato del genere se gli insorti non hanno potuto fare riferimento ad una logistica ed a un supporto locale. Lo IED è saltato al passaggio del mezzo militare inserito in una colonna di altri 70 autocarri. Sicuramente è stato attivato a “ragion veduta” e non per il casuale impatto su un accenditore a pressione, magari ricavato da una mina anti carro posizionata in precedenza e collegata alla carica principale qualche giorno prima, con il rischio che esplodesse al passaggio di un bus locale adibito al trasporto di civili. Veicolo che, a pieno carico, esercita una pressione sul suolo sicuramente superiore a quella di un Lince seppure in assetto operativo. Peraltro, i soldati sono caduti nell’imboscata, mentre tornavano da una missione nella valle del Gulistan, nella provincia sud-occidentale di Farah, dopo essere stati “messi alla prova” il giorno prima da forze di insorti. Quanto avvenuto segue e si sovrappone ad un’altra azione quasi contemporanea, avvenuta nelle Aree Tribali pakistane contro una colonna logistica della NATO, sincronismo che sicuramente non fornisce spunti rassicuranti sulla stabilizzazione definitiva dell’Afghansitan, anche rallentata dalla preoccupazione di una componente dell’Intelligence del Pakistan (ISI) che teme un avvicinamento di Kabul all’India con un conseguente peggioramento della compromessa situazione nel Kashmir. Motivi molto simili a quelli che negli anni ‘90 spinsero l’ISI ad aiutare i Talebani nella loro ascesa iniziale al potere. E’ anche certo che Islamabad non può improvvisamente cancellare la realtà delle Aree Tribali e dei Signori della Guerra che le gestiscono e non può abbandonare i suoi alleati storici, tra cui i Talebani pakistani e la rete di Haqqani. "I Haqqani rappresentano un elemento importante del pashtun", ha detto Shuja Nawaz, direttore del Centro Sud Asia presso il Consiglio Atlantico. "Tribù che vivono a cavallo della frontiera, la cui presenza rinforza il potere del governo pakistano diminuendo la probabilità che gli indiani possano radicarsi a Kabul dopo aver già consolidato il proprio rapporto con l’Alleanza del Nord, stabile ormai dal 2001”. E’ quasi certo che Sirajuddin Haqqani gestisce gran parte della guerriglia attiva in tutto l'Afghanistan orientale. Insurrezione, autobombe, sequestri ed uccisioni di cooperanti occidentali o personale locale a loro vicino, compresi gli attacchi spettacolari ad installazioni militari americane. Sirajuddin ha probabilmente stretto alleanze con Al Qaeda e con i leader del ramo dei talebani afgani che fanno riferimento al mullah Muhammad Omar. La risposta a queste domande potrebbe accelerare il processo di pace e di riconciliazione dell’Afghanistan di oggi. Qualcosa si sta muovendo nella giusta direzione, ma il cammino è ancora lungo ed è prematuro dichiarare che gli afgani potranno gestire da soli i loro problemi a partire dalla fine del 2011. Poco si ottiene nel breve tempo solo attraverso l’incremento della popolazione scolastica afgana di cui il 35 per cento bambine e l’inserimento di donne nell'Assemblea Nazionale. La situazione è destinata, a rimanere un vacillante “castello di carte” se l’emancipazione non raggiungerà le campagne ancora feudi dei Signori della Guerra e dei commercianti di droga, convincendo i contadini che forse coltivare ortaggi è più conveniente che piantare papavero da oppio. Un target che può essere raggiunto solo attraverso fatti concreti che convincano la gente ad abbandonare gli insorti talebani per favorire la crescita globale del Paese e non limitarsi solo a garantire flussi ininterrotti di danaro, peraltro gestiti per lo più da organizzazioni internazionali destinate ad essere fagocitate da chi detiene il potere tribale. E’, piuttosto, auspicabile assicurare alla popolazione agricola quanto necessario per uscire dalle condizioni medioevali in cui ancora vive, assicurando loro vie di comunicazione per favorire un continuo interscambio culturale e conoscitivo che prevarichi le realtà dei clan, portando nelle zone rurali energia elettrica e quanto altro indispensabile per non circoscrivere la proiezione dell’Afghanistan verso l’era moderna limitatamente a Kabul, Herat e Kandhar.
Il generale David Petraeus, dopo l’attentato al convoglio italiano, ha elogiato “il coraggio e l’altruismo” dimostrato dai soldati italiani essenziale per assicurare successo all’impegno internazionale per sconfiggere una rivolta che vuole privare il popolo afgano della sicurezza e della stabilità, facendo diventare questo paese ancora una volta un santuario per i terroristi”. Un successo che non può essere disatteso se non si vuole rischiare di compromettere il sacrificio degli italiani e di tanti altri soldati del Contingente NATO caduti negli ultimi dieci anni, con un danno irreversibile per la sicurezza internazionale.
10 ottobre 2010


lunedì 4 ottobre 2010

L’Europa a rischio di attentati

L’intelligence statunitense, forse con un approccio poco attento, ha lanciato pubblicamente l’allarme di rischio attentato in Europa risvegliando il sopito interesse dell’informazione internazionale. Immediate le ipotesi più disparate sui possibili target a rischio, con la formulazione di vere e proprie graduatorie, quasi a gestire una “lotteria” degli obiettivi di possibile interesse del terrorismo internazionale. La Torre Eiffel piuttosto che Notre Dame. La porta di Brandenburgo invece della metropolitana di Berlino e così via. Valutazioni tutte riduttive che mal si conciliano con una minaccia globale e con l’evoluzione di Al Qaeda nel gestire i nuovi possibili attacchi. Una trasformazione e maturazione dell’organizzazione terroristica la cui prova generale fu fatta a Kabul in occasione dell’attentato in cui morì il funzionario dell’intelligence italiana e che ha confermato la sua concretezza con gli eventi di Mubai, quando Al Qaeda ha dimostrato di essere in grado di gestire un evento terroristico attraverso atti coordinati e tatticamente complessi. Un’evoluzione che dovrebbe consigliare di non escludere qualsiasi ipotesi o obiettivo, ma sviluppare analisi incrociate e globali per cercare di intercettare ogni possibile disegno terroristico. Se è acclarato che l’attenzione di Bin Laden è sull’Europa, tutte le Nazioni europee devono essere considerate a rischio, forse anche allo stesso livello di allarme. Non può essere determinante o discriminante l’aver catturato simpatizzanti di Al Qaeda naturalizzati tedeschi piuttosto che britannici o aver intercettato un cittadino francese invece che uno spagnolo o italiano. Chiunque, infatti, in possesso di passaporto europeo può muoversi liberamente nell’Area Schengel senza limitazione alcuna e portarsi dove è stato deciso di intervenire senza destare sospetto, ma solo attivando i link con le cellule dormienti sparse su tutto il Vecchio Continente e nel resto del mondo. Personale che dopo periodi trascorsi nei campi di addestramento del Waziristan pakistano sono rientrati in patria e sono pronti a rispondere alla “chiamata” del leader massimo, operando secondo le sue indicazioni. Cittadini europei insospettabili come i pakistani / inglesi coinvolti nell’attentato alla metropolitana di Londra o l’egiziano da anni residente in Italia che ha fallito l’attentato alla Caserma S. Barbara di Milano. Gruppi di fuoco in letargo ma pronti ad interpretare i messaggi di Bin Laden applicando un codice noto solo ad Al Qaeda. Bin Laden in questi giorni ha parlato in due messaggi proponendosi come “il buon samaritano” piuttosto che come terrorista sanguinario. Un passaggio dovrebbe lasciar pensare. Lo sceicco saudita fa riferimento alle alluvioni in Pakistan e afferma che "il numero delle vittime provocate dai cambiamenti climatici nel mondo musulmano è grandissimo, più pesante di quello delle vittime di guerra. Una catastrofe enorme e difficile da descrivere che esige un'azione rapida e seria da parte di uomini coraggiosi per portare soccorso ai fratelli musulmani del Pakistan …….". Lo scopo dichiarato è quello di aiutare i fratelli pakistani, ma il riferimento all’azione di uomini coraggiosi generalizza il concetto ed invita a compiere qualcosa di rapido e concreto. Bin Laden ha parlato al mondo mussulmano ed occidentale non escludendo nessuno, particolare che impone un’attenta valutazione del rischio sviluppata su un piano globale senza esclusioni aprioristiche che, invece, potrebbero facilitare il compito dell’avversario che ha deciso di attaccare e quindi di per sé favorito nella scelta dei tempi, delle modalità e dell’obiettivo.
4 ottobre 2010

sabato 2 ottobre 2010

Quando le parole possono diventare un’arma impropria

Matteo scrive nel Vangelo (mt 13, 24-30) “……mentre tutti dormivano venne il nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania…….”. Per non essere sorpresi e perché la zizzania non soffochi il grano è necessario essere attenti per isolare immediatamente chi semina male attraverso il linguaggio utilizzato per innescare convinzioni esasperate. Evidenze che oggi portano a considerare la parola “arabo” come sinonimo di “terrorista” e ad accettare uccisioni e violenze, in nome della “lotta del bene contro il male”. Attraverso il linguaggio si orienta la folla, si costruisce il consenso o il dissenso e si prepara il terreno perché alle parole seguano i fatti. Una manciata di parole, in particolare se suggestive, sono sufficienti per indurre qualcuno ad agire anche autonomamente per compiere gesti eclatanti anche non leciti. Nell’era della globalizzazione e della comunicazione di massa il linguaggio può veicolare la folla ad accettare e fare proprie forme estreme di manifestazione del pensiero attraverso atti contro la società ed i singoli. Conseguenze sicure quando le parole sono proferite da “capi manipolo” che approfittando di situazioni di disagio come può essere un’adunanza di lavoratori a rischio di licenziamento, in mancanza di altre risorse dialettiche usano parole estreme per contestare gli avversari politici che vengono proposti alla folla esasperata come “i Satana colpevoli di tutti i mali”. A questo punto il linguaggio diventa una vera e propria “arma di distruzione di massa” e può innescare le reazioni più disparate nel momento che è raccolto da singoli o collettività di per sé influenzabili. Dopo i fatti dell’11 settembre è generalizzato il parlare di rischio di azioni terroristiche di Al Qaeda che attraverso i proclami dei suoi Leader o degli Iman durante la preghiera del venerdì possono provocare l’azione di “schegge impazzite” che autonomamente inventano e compiono un’azione terroristica. Un rischio reale che non è, però, patrimonio unico del terrorismo islamico ma contraddistingue tutte le società che per motivi contingenti vivono momenti di disagio collettivo, particolare troppo spesso dimenticato da chi, invece, cerca il consenso seminando zizzania. Questo in Italia è ormai ricorrente e sta avendo i suoi effetti per fortuna ancora isolati. Tartaglia, quando ha lanciato il modellino del Duomo di Milano contro il Presidente del Consiglio, era reduce da un ascolto quasi ossessivo di critiche contro il Premier non sempre solo ed esclusivamente politiche. Il Senatore Schifani è stato letteralmente assalito, per fortuna solo verbalmente, da una folla che non accettava il confronto, ma voleva imporre le sue idee. Il Senatore Dell’Utri zittito da un gruppo che era reduce da un’altra piazza dove qualcuno aveva pronunciato l’oracolo “il mafioso deve essere zittito in tutte le piazze”. Il Segretario della Cisl Raffaele Bonanni è stato colpito con “un’arma impropria”, un fumogeno lanciato da una manifestante “figlia della disperazione”. Ora il mancato attentato a Maurizio Belpietro avvenuto subito dopo un momento politico in cui tutti i cittadini hanno ascoltato in diretta televisiva anche parole non concilianti ed a ridosso della pubblicazione del video rubato alla privacy di Berlusconi e pubblicato sul portale di Repubblica. A questo punto sono condivisibili le ipotesi che fanno presagire il ritorno degli anni di piombo, peraltro in un momento di esasperazione sociale molto simile a quello degli anni ’70. Se si è consapevoli di questo e si ha un minimo di coscienza istituzionale e dello Stato, è necessario riappropriarsi di un linguaggio consono facendone buono uso per avanzare ipotesi, criticare, dubitare e portare avanti le proprie idee, ma evitando i toni esasperati per escludere il rischio di futuri scenari di contrapposizione violenta.
2 ottobre 2010